La ricerca ossessiva dellevento mediatico che caratterizza loperato dei Rettori delle maggiori università italiane ha portato quello della Cattolica di Milano ad invitare il prof. Giulio Tremonti a tenere la prolusione alla inaugurazione dellanno accademico. Egli é pro-tempore Ministro delleconomia e delle finanze e, come tale, autore del DL 112 convertito nella famigerata legge 133/2008, che taglia i fondi alle scuole di tutti i livelli e allUniversità. Dalle cronache non è dato di capire se il Rettore abbia chiesto qualche spiegazione al Ministro delleconomia e delle finanze sui tagli. Probabilmente no. Del resto il tema su cui Tremonti era chiamato a dire la sua era ben altro. Intendeva parlare delleconomia sociale di mercato e delletica, volando alto. Sono note le qualifiche che il MEF ha nelle suddette materie. Commento il testo, probabilmente non rivisto, pubblicato il giorno dopo da il Foglio.
Tremonti ha detto che nessuno ha spiegato mai cosa significhi esattamente economia sociale di mercato. Probabilmente è vero che lui, da tributarista, non se nè mai occupato. E così, nel suo discorso, ignora totalmente che lart. 42 della Costituzione italiana dice che la proprietà privata è riconosciuta e garantita della legge, . allo scopo di assicurarne la funzione sociale. E strano che mentre dà conto delle ricerche della Rivista Ordo di Friburgo, poi non ricordi il modello economico e sociale europeo, come legiferato nel punto 3) dellart. 3 della Costituzione europea. Questa dice che lUnione si adopera per lo sviluppo sostenibile dellEuropa, basato su una crescita economica equilibrata, uneconomia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dellambiente. LUnione promuove il progresso tecnico e scientifico. Promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri .. Seguono poi le norme strumentali.
Verrebbe di dire, delle due luna: o non ha mai letto la Costituzione europea oppure non sa veramente che cosa sia leconomia sociale di mercato. Ma probabilmente il suo era solo un espediente retorico per introdurre male un discorso che meriterebbe comunque maggiore attenzione da parte di una delle massime autorità di politica economica di questo paese. Tanto più che subito dopo, egli dà conto delle esperienze politiche iniziate in Germania a partire dal dopoguerra, con successo, e poi transitate e ricalcate ancora nei programmi dei partiti popolari europei. Per non parlare dei dibattiti degli anni 20 e 30 mirati a individuare modelli economici e sociali intermedi rispetto al capitalismo USA e al collettivismo sovietico. Per non dire della Enciclica Quadragesimo Anno (1931) che riprendeva la Rerum Novarum del 1892, con le quali la Chiesa Cattolica si era pronunciata su detti modelli. Senza trascurare che negli anni 30, Amintore Fanfani insegnò economia corporativa proprio alla Cattolica retta da Agostino Gemelli. Anche leconomia corporativa era prospettata come modello alternativo sia al capitalismo sia al comunismo.
A giudizio di Tremonti, la causa della crisi sta nella globalizzazione che ha subito una forte accelerazione in seguito agli accordi per la liberalizzazione del commercio mondiale (Marrakech, 1994) e della successiva ammissione della Cina alla WTO nel 2001. Un punto che ripete spesso. Ognuno, ovviamente, è libero di scegliere le cause e le date che vuole ma non dovrebbe ignorare che alcune cause sono ricorrenti. Ad esempio i fallimenti di circa 1.000 Saving and Loan Association nella seconda parte degli anni 80 causati dalla bolla speculativa immobiliare di allora, gonfiata dalla deregolamentazione di Reagan e, anche allora, dai mutui fondiari concessi con leggerezza da manager irresponsabili. Non dovrebbe ignorare quello che è successo nei venti anni intercorsi tra quella crisi e quella che stiamo vivendo: la bolla della cosiddetta new economy, le IPO, i casi Enron, WorldCom, ecc. specialmente se si vogliono fare osservazioni sul destino finale del capitalismo in parallelo con quello del comunismo.
Andando avanti nella lettura del testo, sembrerebbe che la crisi finanziaria nasca dalla mancanza di un idealtipo di società per azioni sottostante gli hedge fund, gli equity fund e altre istituzioni e intermediari finanziari. In altre parole, Tremonti sembra attribuire la crisi a forme di governance societaria inadeguate che eludono il controllo societario vero e proprio: quello della maggioranza degli azionisti. In breve, ad una codificazione non adeguata. Ma non era stato proprio lui, nella sua precedente esperienza di governo, in seguito agli scandali Cirio e Parmalat, a portare a termine, con grande fatica, lapprovazione della legge n. 262/2005 sul risparmio per tutelare gli investitori? Se quella riforma in Italia non ha funzionato, cosa aspetta a mettere in cantiere una nuova riforma della governance societaria?
Secondo me, si tratta di spiegazione inadeguata che non coglie le cause più profonde (lassoggettamento delleconomia reale USA a Wall Street) e non distingue bene la differenza tra quanto è avvenuto e sta avvenendo in USA e in Europa. Come se il problema del velo societario e dellautoreferenzialità dei manager non fossero mai esistiti specialmente nelle cosiddette public company e/o in situazioni come quella italiana dove patti di sindacato minoritari hanno fatto per decenni il bello e il cattivo tempo. Ma non è lui che nel 1997 teorizza lo Stato criminogeno (Laterza) che con le sue leggi alluvionali e complesse manda assolti i più forti e colpisce quelli più deboli?
Se così, lanalisi di Tremonti tocca solo marginalmente il funzionamento delleconomia reale e della finanza. Negli USA lacutizzarsi della concorrenza (scatenata dalla deregolamentazione e dalla rivoluzione tecnologica) e il declino del sindacato hanno portato nellultimo trentennio ad una più forte concentrazione della ricchezza con un impoverimento delle classi intermedie sia pure in misura diversa. Negli USA vi hanno concorso anche la rapacità dei manager e lavidità degli azionisti. Nei principali paesi europei la classe media arretra per effetto dellelevato grado di monopolio e sfruttamento imposto dalla insufficiente concorrenza e dai settori e dalle categorie protette, dalla regolamentazione tradita o non implementata. Né la Direttiva Bolkestein (pure addolcita nel febbraio 2006) né i provvedimenti Bersani (luglio 2006) sono riusciti a intaccare significativamente le varie rendite.
Con unaltra differenza significativa che mi preme sottolineare. Tremonti nello sforzo di sintesi caratterizza il modello occidentale come quello dei consumi tutti superflui e finanziati a debito. A parte lappropriatezza del termine superfluo per tutti i consumi, tale paradigma sarà pure, in parte, vero per gli USA ma certo non lo è per molti paesi della UE e tra questi lItalia dove alti tassi di disoccupazione, forme diffuse di lavoro flessibile e/o precario, e salari mediamente bassi non fanno pensare a consumi massicciamente finanziati a debito. Anche perché la propensione media al risparmio delle famiglie è comunque positiva. E i consumi superflui sono quelli dei ricchi. Quindi le situazioni dei due continenti che si affacciano sullAtlantico sono significativamente diverse, come diverse sono le cause che hanno innescato la crisi. E diversi sono soprattutto i modelli sociali. Quello europeo dello Stato sociale ci è invidiato da tutto il mondo proprio per la maggiore protezione sociale che assicura a tutti seppure in maniera diseguale.
Come detto sopra, Tremonti non menziona in alcun modo, da un lato, leccezionale innalzamento del grado di concorrenza che si è sviluppato negli USA negli ultimi 30 anni e, dallaltro, labbondanza di risparmio (global saving glut, Bernanke, 2005) che si è determinata a livello mondiale e di cui certamente la finanza americana ha approfittato. Ma nessuno ha imposto alle autorità cinesi o a quelle di altri paesi di sterilizzare il risparmio nazionale, accumulare riserve in dollari o investire negli USA ora anche con i fondi sovrani.
Se poi si considera che i guadagni dei manager sono commisurati al valore solo prospettico che essi creano cosa spesso trascurata - in realtà si determina un forte incentivo a gonfiare anche artificiosamente il fatturato. E se è così e anche quando sono coinvolti prestiti a lunga, la macchina non si ferma a valutare attentamente la solvibilità anche perché in alcuni casi le valutazioni sono fondate su previsioni a medio e lungo termine e nelle previsioni tutti possono sbagliare.
La finanza, essendo più avanti nel processo di globalizzazione, suddivide il rischio al suo interno (ossia, a livello mondiale) attraverso gli strumenti derivati. Così, il rischio diventa sistemico e di esso alcuni hanno avuto consapevolezza nelle Università e altrove cè ampia letteratura al riguardo (2) - ma nessuno a livello decisionale se nè preoccupato. Non quelli che lo creavano e continuavano a guadagnarci sopra. Non le autorità di vigilanza che, costruite su logiche nazionali, non riescono a cooperare a livello internazionale. Non i politici non di rado catturati dalla finanza e dalleconomia come fa vedere bene Robert Reich nel suo libro Supercapitalismo. E così le ricorrenti bolle speculative si gonfiano progressivamente fino a che scoppiano nella sorpresa generale come se si trattasse di un fenomeno, ogni volta, del tutto nuovo. Di questi problemi Tremonti si è occupato nellaprile scorso, quando era solo ministro in pectore, quando il governatore della Banca dItalia Draghi presentò le 65 proposte del Financial Sability Forum da lui presieduto da alcuni anni e creato badate bene nel 1999 per fronteggiare la crisi finanziaria. Secondo le cronache, con sarcasmo, Tremonti ebbe a dire: è come dare unaspirina per una malattia molto grave; e, sulle proposte di rafforzamento della vigilanza: è come mettere i topi a guardia del formaggio. Ma alla Università Cattolica cerano Cardinali e prelati, e ora egli è ministro dellEconomia e delle finanze. Ha le sue responsabilità e preferisce prendere in giro gli economisti che, in generale, non ci prendono.
Ora il punto che mi sta a cuore non è la difesa degli economisti. Anche Marx sbagliò le sue previsioni sulla fine del capitalismo, ma tutti sanno che quello delle previsioni a medio e lungo termine è un terreno infido, minato. Il problema di oggi non è se la fine del comunismo sarà seguita da quella del capitalismo che Tremonti evoca. Il ministro forse non ha letto il bel libro di Giorgio Ruffolo intitolato Il capitalismo ha i secoli contati. Il ministro evidentemente ama parlare daltro, probabilmente, per non dire quello che veramente pensa o non rivelare progetti. Il problema serio è oggi che, se il ministro e gli economisti che gli stanno attorno, non fanno unanalisi corretta delle cause della crisi finanziaria e della situazione sociale, il paese è nei guai seri. Perché se non la fanno è alto il rischio che si adottino terapie sbagliate. È questo sarebbe un errore ancora più grave di quello di non avere previsto anticipatamente la crisi e/o di non sapere quando essa finirà. Non basta fare confessioni socratiche sapere di non sapere. Questa è roba da intellettuali. Un ministro delleconomia è chiamato a decidere oggi e non fra 6 mesi. Sembra un paradosso sentire un ministro vantarsi di avere previsto tutto e correttamente in altre sedi, e, quindi, tergiversare ormai da sei mesi prima di assumere qualsiasi provvedimento (3). Ma non cè né inerzia né ritardo se prendiamo sul serio la sua riflessione sulla economia sociale di mercato e/o la sua ricerca di una visione etica dello Stato e delleconomia. Sarà un campo afferma testualmente quello che sostituirà al paradigma della domanda di beni consumo superflui possibilmente a debito, un paradigma morale, civile, politico che organizza la domanda sugli investimenti collettivi fatti per il bene complessivo: non per il presente, ma per il futuro. E non fatti sul debito ma sul solido di una prospettiva fondativa. Ma si possono fare investimenti pubblici rilevanti senza indebitarsi? Si può rilanciare leconomia sociale di mercato sacrificando totalmente i consumi presenti? La risposta netta e chiara è NO. Lascio perdere perché, tra un una riunione dellEurogruppo e una del G20, probabilmente, Tremonti non ha avuto il tempo di rivedere il testo.
Aldo Schiavone, dalle colonne di Repubblica del 24.11.2008, ci avverte della svolta di Tremonti che si sarebbe convertito dal purismo di mercato allinterventismo pubblico, alla necessità di immettere unalta dose di etica nelleconomia. Schiavone, evidentemente, non ricorda che nel passato Tremonti si è definito seguace di Colbert e che tra i primi provvedimenti del governo Berlusconi, nellestate 1994, cerano lesenzione degli utili reinvestiti delle imprese, una forte flessibilizzazione del procedimento di accertamento delle imposte, con lintroduzione del concordato, la conciliazione giudiziale in ogni grado della giurisdizione che introducono nel sistema da allora da nessuno modificato una sorta di condono permanente per non parlare della raffica di condoni straordinari del 2002 (4) e del pacchetto fiscale del 2003 che riduce le tasse ai ricchi e, da ultimo, dellabrogazione dellICI sulla prima casa anche dei ricchi. Con i provvedimenti del 1994 Tremonti diventò uno dei ministri delle finanze più amati dal popolo delle partite IVA dellultimo trentennio. Non sono questi interventi pubblici nelleconomia? Non cè - solo in Italia una gestione politicizzata degli accertamenti unanimemente condivisa da tutte le forze politiche?
Infine il richiamo alla phronesi di Platone. Se essa è la capacità di raggiungere un certo obiettivo con riguardo alla crisi finanziaria, cè da dubitare che Tremonti sia in grado di farlo visti i limiti di analisi e gli strumenti (del tutto insufficienti) che fin qui è riuscito a mobilitare. Anche perché se lobiettivo fosse sul serio quello di coniugare etica e finanza privata, come sembra sostenere nella sua prolusione quando a partire dalla crisi finanziaria prospetta una sorta di evoluzione etica delleconomia sociale di mercato, la missione sarebbe impossibile. Citando le scritture gli si potrebbe obiettare: Non si può servire Dio e Mammona (Matteo 6, 24). Punto di domanda: Tremonti pensava alla finanza islamica? Forse, ma alla Cattolica, alla presenza di Cardinali e prelati, non poteva dirlo!
Daccordo, comunque, sulla phronesi se è una azione programmatica per il cambiamento per il meglio ma senza visioni integraliste né di Stato etico né di intelligenza guidata da Dio. A Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Matteo cap. 22, v. 21).
P.S.: A proposito della phronesi di Tremonti, è chiaro che egli si contraddice quando, da un lato, parla della phronesi, ossia, della saggezza, della virtù che dovrebbe guidare le azioni degli uomini implicitamente assumendo che le loro scelte possono essere diverse e, quindi, imprevedibili -, dallaltro, quando critica gli economisti che, in generale, non ci prendono o non ci azzeccano come direbbe Di Pietro. Qui lassunto implicito è che leconomia sia una scienza esatta come quelle fisiche e questo è sbagliato. Leconomia è una scienza sociale ed ha a che fare con i comportamenti degli uomini. In questi termini, questa confutazione vale anche per le recenti e medesime critiche fatte agli economisti da Giovanni Sartori. Questi è un politologo e grande esperto di ingegneria costituzionale. Tremonti di diritto tributario. Il diritto è scienza sociale come leconomia. I giuristi pretendono la precisione dagli economisti ma non da se stessi. Perché loro, comunque, sono portatori della cosiddetta "cultura dellorologio", del tutto previsto come lo scorrere del tempo e di meccanismi che infallibilmente lo misurano. Quando scrivono una costituzione o, più semplicemente, uno statuto, sulla carta, prevedono tutto: come si nomina il presidente, come lo si vota, cosa deve fare e non fare, come lo si sostituisce, ecc.. Poi, magari, il meccanismo non funziona perché gli uomini delle istituzioni non si comportano necessariamente secondo le norme studiate e scritte dai giuristi. Ma questo è un altro discorso, e gli economisti, rendono pan per focaccia ai giuristi, dicendo che le norme erano state scritte male.
Note