NellOccidente capitalistico coinvolto nel processo di industrializzazione, il sindacato si è fatto carico del compito di emancipare il popolo degli uomini col colletto blu e le mani callose. Come poteva, il sindacato ha fatto quel che doveva, contribuendo a traghettarli dallo status di sudditi di uno Stato oligarchico e monoclasse allo status di cittadini di uno Stato democratico pluriclasse.
Una conclusione del genere è più emotiva che ragionata. Intanto, il cauto e quasi svogliato ritmo dei cambiamenti in atto nel sindacato dipende non tanto o non solo da pigrizia, ambiguità, paura delle novità, egoismo, predilezione per le micro-discontinuità che peraltro sono una componente della cultura non dei soli rappresentanti sindacali quanto piuttosto da una realtà contraddittoria. Una realtà dove il Novecento che crediamo di avere alle spalle interi continenti, od anche intere regioni di un medesimo paese, ce lhanno invece davanti. Una realtà dai contorni sfuggenti dove il nuovo avanza tanto in fretta da non concedere neanche il tempo delladattamento. Una realtà dove, come scrive Aris Accornero, i sindacati soffrono perché una parte crescente di lavoratori ha un po meno bisogno di loro, mentre unaltra parte ne ha molto più bisogno ma non riesce ad incontrarli e, quando succede, scopre che tra i dirigenti sindacali non cè concordia di opinioni su come interpretare il bisogno di sindacato che manifestano.
La frettolosa conclusione di cui dicevo è sbagliata sul piano del metodo, perché è condizionata dalle suggestioni di un determinismo volgare e banale: la storicità della forma-sindacato più conosciuta nellOccidente non la condanna di per sé allesaurimento; piuttosto, apre interrogativi su come riformarla per adeguarla ai mutamenti sopravvenuti e rimotivarla.
Sospetta perciò è anche la prontezza con cui i più reazionari o (il che può essere lo stesso) i più infatuati della post-modernità sono disposti a predire la morte del sindacato. Padronissimi di seguitare a pensare del sindacato tutto ciò che di lui hanno sempre pensato, devono però rassegnarsi allidea che il sindacalismo è come il comunismo nel pensiero del Papa polacco: un male necessario per reagire alle ingiustizie del capitalismo. Un male che non è estirpabile con facilità non solo perché leconomia di mercato è quella che è, ma anche perché, nel frattempo, il sindacato si è guadagnata unampia legittimazione sociale che ha ricevuto il crisma della legalità costituzionale e, almeno da noi, il trattamento premiante di una legislazione promozionale come lo Statuto dei lavoratori, ossia il più avanzato documento legislativo pro labour che un Parlamento occidentale abbia mai confezionato.
Adesso, però, questa sperimentata attitudine ha perduto smalto nella misura in cui la percezione dellesigenza che percorre le società più evolute di ridisegnare nel sistema giuridico limmagine dellindividuo con le sue istanze di autodeterminazione di fronte ad ogni potere, anche se protettivo e benevolo, è penetrata sì nellorganizzazione sindacale, ma furtivamente e dunque senza esercitare una significativa influenza sulla concezione che il sindacato ha memorizzato del suo ruolo di rappresentanza: una concezione granitica a sostegno di un ruolo blindato a tutela di collettività indistinte.
La denuncia è caduta nel vuoto. Ma la lacuna normativa, che Massimo chiamava il non-detto dello Statuto, non è resa più tollerabile dallabitudine in bilico tra ideologia e apologia di dedurre dallenergia con cui il sindacato sa difendere la democrazia nel paese la certezza che, come gruppo organizzato, non può non averne interiorizzato i principi ordinanti. Adesso, questo pregiudizio favorevole si è rovesciato nel suo contrario.
Vero è che l11 giugno 1995 il legislatore popolare optò per labrogazione perché si era sparsa la menzogna che le trattenute sarebbero state viziate dal più arbitrario degli automatismi in quanto effettuate ope legis e dunque a prescindere dalla volontà degli interessati. Resta il fatto che, se la grossolana falsità trovò ascolto e persuase la maggioranza dellelettorato, ciò significa che si volle punire un potere che, nellimmaginario collettivo, minacciava di trasformarsi in una tirannia e come tale era vissuto. Insomma, il legislatore popolare si pronunciò nel senso che la venerabile concezione di un sindacato la cui agiografia lo descrive incapace di peccare era tramontata. Per questo, revocò il beneficio dellauto-finanziamento sindacale agevolato dalla legge: svanito il pathos delle origini, il sindacato appariva come uno qualunque dei tanti gruppi intermedi di natura volontaristico-associativa rispetto ai quali lo Stato è indifferente. Eppure, il ministro socialista Giacomo Brodolini aveva preannunciato: il disegno di legge che il mio ministero sta elaborando si propone di fare del luogo di lavoro la sede della partecipazione democratica della vita associativa sindacale e della formazione di canali democratici tra il sindacato e la base.
Tuttavia, anche un legislatore meno impacciato o distratto del nostro rischierebbe di fare la figura dellallegrone colpito da ilare amnesia se pretendesse di prescrivere al sindacato istituzionalizzato del tempo presente di tornare ad essere unassociazione genuina e virtuosa. Oramai, lesercizio di consistenti fette di potere sostanzialmente e, spesso, anche formalmente pubblico lo ha irreversibilmente trasformato in unassociazione inautentica e virtuale oscillante tra privato e pubblico, ma più sbilanciata verso il pubblico che verso il privato.
La medesima riluttanza è ancora vivissima allepoca della Costituente. Infatti, linattuato quarto comma dellart. 39 del testo costituzionale riproduce unimmagine di sindacato che sembra estratta dallalbum di famiglia. Come ha scritto Vittorio Foa, essa contiene lidentikit di un libero soggetto di autotutela in una sfera di diritto privato e, nello stesso tempo, soggetto di una funzione pubblica, braccio o segmento dello Stato.
Per questo, bisogna smettere di denunciare con toni scandalistici lavvenuta metabolizzazione dellibridismo. E senzaltro più corretto parlarne senza falsi pudori come di una contraddizione irrisolta che procura risorse. Infatti, i sessantanni trascorsi dallart. 39 cost. aspettando Godot dovrebbero essere archiviati con una formula ossimorica. E stata infatti una necessità storica che il sindacato rifiutasse una legge organica capace di definirne modo dessere e ambiti di azione, perché il nostro era un movimento sindacale con enormi ritardi da recuperare quanto ad esperienza di libertà e autonomia e perciò, sprovvisto comera degli anticorpi necessari per impedire allo Stato di colonizzarlo, meritava la chance di farsi le ossa senza intempestive interferenze. Nondimeno, si trattava di una inutile necessità. Infatti, la bipolarità del sindacato ha trovato spazio e sviluppo nella costituzione materiale malgrado linattuazione del progetto di ordinamento sindacale disegnato dai padri costituenti. Il che vuol dire che la bipolarità preesisteva: il sindacato se la portava dentro e lha custodita tra le pieghe di unesperienza ostentatamente privatistica.
Ciò non toglie che, di fronte alla colossale crescita della componente istituzionale del sindacato dietro gli immutati scenari normativi dei gruppi dinteresse privati che rispondono soltanto ai loro membri, è unesagerazione seguitare a qualificare come manifestazione della libertà sindacale costituzionalmente protetta lallergia del sindacato a regole che rendano compatibile coi fondamenti delle democrazie rappresentative la più esplosiva delle sue performance: quella che gli permette di sommare ai vantaggi di cui gode come libero soggetto di autotutela in una sfera di diritto privato i vantaggi di cui si appropria come soggetto di una funzione pubblica. Anzi, il processo di rilegittimazione di un soggetto storico che dà segni di affaticamento comincia proprio da qui, da questa presa datto. Come dire: visto che il tempo è stato galantuomo, è arrivato il momento di rendergli giustizia stabilendo le regole sulla legittimazione della rappresentanza, sulle garanzie dei rappresentati e sul pluralismo che lo Statuto ritenne di non dover scrivere, mentre come intuiva Massimo DAntona esse sono indispensabili per ridefinire la frontiera del diritto sindacale possibile nel secolo in cui siamo entrati. Dopotutto, il modo dessere e dagire del sindacato interessa allo Stato almeno quanto il modo dessere e dagire dello Stato interessa al sindacato e soltanto il suo ripensamento permette alle collettività rappresentate di trovare nel sindacato un interlocutore al passo coi tempi.