Tra Israele e Palestina - Il discorso di Barack Obama

"L’America allineerà la sua strategia su quella di coloro che perseguono la pace. Gli Stati Uniti non accettano la legittimità di insediamenti che continuino a essere costruiti. Tutti abbiamo la responsabilità di lavorare per il giorno in cui Gerusalemme sarà la culla sicura e permanente per ebrei e cristiani e mussulmani"

 

[…] La seconda principale fonte di tensione che abbiamo bisogno di discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e tutto il mondo arabo.

I forti legami tra l’America e Israele sono ben conosciuti. Si tratta di un legame indistruttibile basato su vincoli di natura culturale e storica e sul riconoscimento che le aspirazioni a una patria per gli ebrei sono radicate in una storia tragica che non può essere negata.

Per secoli gli ebrei sono stati perseguitati in giro per il mondo, e in Europa l’antisemitismo ha trovato il culmine in un Olocausto senza precedenti. Domani, sarò in visita a Buchenwald, che fu parte della rete di campi dove gli ebrei vennero schiavizzati, torturati, fucilati e gassati dal Terzo Reich. Sei milioni di ebrei sono stati così mesi a morte— più dell’intera popolazione di Israele oggi. La negazione di questo fatto è priva di fondamento, segno d'ignoranza e cosa odiosa. Minacciare di distruzione Israele – o la ripetizione di ignobili stereotipi sugli ebrei – è profondamente sbagliato e serve solo a evocare negli israeliani la più dolorosa delle memorie, rendendo irraggiungibile la pace che i popoli di questa regione si meritano.

D’altra parte, è anche innegabile che il popolo palestinese – musulmani e cristiani – ha sofferto alla ricerca della sua patria. Per oltre 60 anni ha dovuto sopportare il dolore della dislocazione dal suo territorio. Sono in molti ad aspettare da allora nei campi profughi della Cisgiordania, di Gaza e dei paesi vicini di poter condurre la loro vita in condizioni di pace e di sicurezza di cui mai hanno goduto. E sopportano le umiliazioni quotidiane – grandi e piccole – che di per sé derivano dall’occupazione. Per questo non ci devono essere dubbi. La situazione per il popolo palestinese è intollerabile. E l’America non volterà le spalle alle aspirazioni legittime dei palestinesi alla dignità, ad avere le loro opportunità e a uno Stato loro proprio (applausi).

Da decenni, dunque, siamo inchiodati allo stallo: due popoli, con proprie aspirazioni legittime, ciascuno di loro con una storia dolorosa alle spalle che rende restii al compromesso. E’ facile accusare - i palestinesi indicano la dislocazione imposta loro dalla creazione di Israele e gli israeliani mostrano l’ostilità e gli attacchi costanti nel corso della loro storia dall’interno come dall’esterno dei loro confini. Ma se continuiamo a guardare al conflitto soltanto da una parte o dall’altra, allora non riusciremo a vedere la verità: che l’unica soluzione capace di venire incontro alle aspirazioni di entrambe le parti è quella di due Stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere ciascuno in pace e in sicurezza (applausi).

E’ questo l’interesse di Israele, questo l’interesse della Palestina, l’interesse dell’America e l’interesse del mondo. Ed è la ragione per cui intendo personalmente perseguire questa soluzione con tutta la pazienza e l’impegno che un simile compito esige (applausi). Gli obblighi sono chiari— gli obblighi che ambo le parti hanno concordato nella road map. Perché possa arrivare la pace, è ora che loro – e tutti noi – onoriamo le nostre responsabilità.

I palestinesi devono mettere fine alla violenza. La resistenza condotta con la violenza e con le uccisioni è sbagliata e non ha successo. Per secoli i neri in America hanno subito da schiavi le sferzate della frusta e l’umiliazione della segregazione razziale. Ma non è stata la violenza a vincere per loro diritti pieni e uguali. E’ stata la pacifica e decisa ostinazione nel richiamarsi agli ideali che sono al centro della fondazione dell’America. Un’identica storia possono raccontare le genti del Sudafrica e dell’Asia sudorientale, dall’Europa orientale all’Indonesia. E’ una storia fondata su una verità semplice: che la violenza è un vicolo cieco. Non è segno né di coraggio né di potenza lanciare razzi contro bambini che dormono o far saltare in aria donne anziane su un autobus. Non è così che si rivendica un’autorità morale; così essa viene dilapidata.

Questo è, dunque, il momento per i palestinesi di focalizzarsi su quel che possono costruire. L’Autorità palestinese deve sviluppare la sua capacità di governo, con istituzioni che servano i bisogni del suo popolo. Hamas, che ha in effetti sostegno tra alcuni palestinesi, deve anche riconoscere le sue responsabilità. Per giocare il suo ruolo e dare pienezza alle aspirazioni palestinesi, per unificare il popolo palestinese, Hamas deve mettere fine alla violenza, riconoscere gli accordi raggiunti in passato, riconoscere il diritto di Israele ad esistere.   

E gli israeliani, allo stesso tempo, devono riconoscere che, proprio come non può essere negato il diritto all’esistenza di Israele, non può essere negato il diritto all’esistenza della Palestina. Gli Stati Uniti d’America non accettano la legittimità di insediamenti che continuino a essere costruiti (applausi). Si tratta di fabbricati che violano accordi precedentemente raggiunti e minano gli sforzi tesi a raggiungere la pace. E’ tempo di fermarli, dunque (applausi).

Israele deve poi anche far fronte all’obbligo che è il suo di assicurare ai palestinesi la possibilità di vivere e lavorare e sviluppare la loro società. La continua crisi umanitaria di Gaza non solo devasta l’esistenza delle famiglie palestinesi ma non serve neanche alla sicurezza di Israele; né la serve la mancanza permanente di opportunità che schiaccia la Cisgiordania. Il progresso nella vita quotidiana della popolazione palestinese deve essere parte cruciale del cammino verso la pace e Israele deve prendere misure concrete per mettere in moto tale progresso.  

Infine, gli Stati arabi devono riconoscere che l’iniziativa araba di pace* è stato un inizio importante ma non è la fine delle loro responsabilità. Il conflitto arabo-israeliano non dovrebbe più essere utilizzato per distrarre le nazioni arabe dai loro altri problemi. Deve essere, invece, la causa per agire e aiutare il popolo palestinese a sviluppare le istituzioni che puntelleranno il suo Stato, per riconoscere la legittimità di Israele e per scegliere di andare avanti piuttosto che di focalizzarsi in modo controproducente a recriminare il passato.

L’America allineerà la sua strategia su quella di coloro che la pace perseguono. E noi diremo sempre in pubblico quel che diciamo in privato tanto agli israeliani quanto ai palestinesi e arabi (applausi). Noi non possiamo imporre la pace. Ma, in privato, sono in molti i musulmani a riconoscere il fatto che Israele non sparirà. E sono, ugualmente, molti gli israeliani a riconoscere la necessità di uno Stato palestinese. E’ dunque tempo che ciascuno di noi agisca in base a quella che tutti sappiamo essere la verità.

Sono state sparse già troppe lacrime. E’stato sparso già troppo sangue. Tutti abbiamo la responsabilità di lavorare per il giorno in cui le madri di israeliani e palestinesi possano veder crescere i loro figli senza paura; per il giorno in cui la terra Santa delle tre grandi fedi sia il luogo di pace che Dio aveva inteso che fosse; quando Gerusalemme sarà la culla sicura e permanente per ebrei e cristiani e musulmani e il posto in cui tutti i figli di Abramo potranno pacificamente convivere, come racconta la storia di Isra (applausi) — come nella storia di Isra  quando Mosé, Gesù e Maometto si riunirono insieme a pregare (applausi) […]

*Si tratta della pproposta del 2002, rilanciata nel 2007 dall’Arabia saudita, e cui Obama chiaramente sottoscrive, di uno scambio: il “riconoscimento pieno” da parte dei 22 Stati membri della Lega araba contro il “ritiro di Israele nei suoi confini di prima del 1967, così da consentire ai palestinesi di fondare un loro Stato indipendente capace di sopravvivere sul 22% della terra che era la Palestina storica” (parole con cui sintetizza l’offerta lo statista e negoziatore palestinese Fuad Siniora, l’11.5.2007 sul New York Times) — N.d.T.

(Traduzione di Angelo Gennari)

Domenica, 7. Giugno 2009
 

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