Tra etica e farsa

Berlusconi continua i sui disperati tentativi di dimostrare che i partiti e i politici "sono tutti uguali". Ma al di là del teatrino del leader del centro destra, su alcuni punti sarebbe bene riflettere

Silvio Berlusconi, e con lui numerosi esponenti del centro destra, continua i suoi attacchi sul caso Unipol nel disperato tentativo di accreditare la tesi che "i partiti (e i politici) sono tutti uguali".

Siccome evidentemente gli risulta complicato dimostrare la sua specchiatezza in fatto di etica, non gli resta di meglio che cercare di dimostrare che "questa" è la politica, e chi sembra senza peccato è solo perché non è stato ancora scoperto. D'altronde, ci aveva già provato con la vicenda Telecom-Serbia e con il dossier Mitrokhin.

Lasciamo il centro destra ai suoi affannosi tentativi di discredito e cerchiamo di fissare alcuni punti.

Il primo è di tipo, potremmo dire, socio-antropologico. Quando è scoppiato il caso Unipol-Consorte il "popolo di sinistra" non è rimasto solo a guardare: ha subissato di lettere ed e-mail il partito, i giornali, i siti Internet. Risulta a qualcuno che sia accaduto altrettanto in occasione degli innumeri casi giudiziari di Berlusconi o dei suoi sodali, Previti, per dire? Si può ricordare qualche sollevazione, nel centro-destra, in occasione, per esempio, della depenalizzazione del falso in bilancio, che tanto comodo ha fatto al leder di Forza Italia?

Non vogliamo dire, con questo, che i militanti e gli elettori del centro destra  sono tutti ladri e farabutti, per carità: ma possiamo rilevare, quantomeno, una certa differenza di sensibilità di fronte a certi argomenti?

Il "collateralismo". Il movimento cooperativo nasce come un modo diverso di stare nell'economia e sul mercato. Diverso dal capitalismo liberista, intendiamo. E a chi mai avrebbe dovuto essere vicino, tra le forze politiche? Non a quelle, ipotizziamo, che del capitalismo liberista fanno una bandiera.

Detto questo, bisogna pur riconoscere che tra le critiche che sono state fatte ci sono alcuni aspetti che sarebbe bene approfondire. E' giusto che le coop abbiano la possibilità di competere a tutto campo, crescendo quanto possono e facendo finanza se è opportuno. Non devono essere "figlie di un dio minore". Ma, forse, neanche "figlie di un dio migliore": finché mantengono le loro caratteristiche di forte socialità e mutualità, è giusto che questo sia riconosciuto anche attraverso agevolazioni normative e fiscali. Ma se diventano grando imprese, non c'è più ragione che siano avvantaggiate rispetto alle altre. Si dovrebbe pensare di porre un limite, per esempio di fatturato, superato il quale si cessa di essere una cooperativa e si diventa un'imprersa come tutte le altre. E se poi il "collateralismo" si spinge a un appoggio anche pratico a determinati partiti, non c'è niente di scandaloso: a patto che questo avvenga in modo esplicito e con la massima trasparenza (come avviene in America, del resto).

Perché - ultimo punto - il rapporto fra politica e affari non è un problema di etica: in una democrazia moderna è un problema di regole. Regole che debbono essere stabilite in modo chiaro, e che debbono essere rispettate puntualmente: e per chi non le rispetta, ci debbono essere le samzioni previste dalle leggi. Evitando, possibilmente, di cambiare le leggi dopo aver infranto le regole, come ha fatto in varie occasioni chi oggi vorrebbe ergersi a censore. E che, quando parla di etica, cade inevitabilmente nella farsa.

Martedì, 17. Gennaio 2006
 

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