Tfr, una 'terza via' poco conveniente

Una critica alla proposta contenuta nell'appello di Roberto Pizzuti e altri per consentire la scelta di destinare il Tfr all'aumento dei contributi Inps: non tiene conto della fiscalità particolarmente favorevole alla previdenza complementare. Resta, inoltre, il problema dei lavoratori "discontinui"
L'appello di Roberto Pizzuti e di un gruppo di economisti e sindacalisti a favore della facoltà di utilizzare il Tfr anche per aumentare i contributi Inps, ottenendo per quella strada l'aumento della pensione pubblica, merita una attenzione e una discussione che fino ad oggi non mi pare sia stata adeguata.

C'è un evidente "fastidio" di fronte a questa proposta da parte di molti che sostengono la previdenza complementare specie oggi che siamo alla vigilia di un semestre importante, se non decisivo, per il futuro di questa forma di previdenza. Il chiudere gli occhi e il rifiutare una discussione, tuttavia, non è mai utile e rischia di far male non solo all'appello di Pizzuti, ma anche alla previdenza integrativa e alle scelte "coscienti" dei lavoratori.

L'appello, a quel capisco, non respinge la previdenza complementare in quanto tale, e d'altra parte sarebbe difficile farlo ad almeno uno dei primi proponenti, Rinaldini, segretario generale della Fiom, organizzazione che ha promosso la costituzione del Fondo pensione dei metalmeccanici, che ha firmato numerosi accordi in merito al trasferimento del Tfr al Fondo e che è presente anche direttamente con suoi esponenti nel C.d.A. del Fondo.
 
L'appello propone di aumentare le possibilità di scelta dei lavoratori, dando ad essi la facoltà di indirizzare una parte delle risorse destinate ai fondi pensione ad incrementare i contributi pensionistici pubblici. La convinzione dei proponenti l'appello è che questo possa giovare ai lavoratori garantendo loro, in modo "più certo" rispetto alla previdenza complementare, un incremento di pensione assicurato dai meccanismi del sistema pubblico.

E' proprio su questo assunto che, a mio avviso, la proposta non è affatto convincente, ma rischia se accettata, di risolversi in un danno per i lavoratori dato il complessivo quadro legislativo.

La proposta in primo luogo dovrebbe riferirsi ai soli lavoratori che rientrano nel sistema contributivo: solo per questi infatti un incremento di contributi si tradurrebbe in un incremento di pensione. Per i lavoratori che rientrano nel sistema retributivo l'aumento dei contributi non produrrebbe alcun effetto sul calcolo della pensione e altrettanto accadrebbe per la parte retributiva della pensione dei lavoratori che ricadono nel sistema misto.

Ciò che interessa i lavoratori e che incide sulle loro condizioni di vita è naturalmente la pensione netta che ricevono non quella lorda. La distinzione è importante perché nella normativa che entrerà in vigore dal 1° gennaio dell'anno prossimo, stante la finanziaria e il decreto legge Damiano, la tassazione Irpef sulle prestazioni di previdenza integrativa sarà particolarmente favorevole. In poche parole la pensione integrativa non sarà tassata con l'Irpef, ma avrà una tassazione separata pari ad un massimo del 15% che potrebbe scendere al fino al 9%. Ad essere tassata poi, non sarà, l'intera prestazione, ma solo la parte derivante dai contributi versati e non quella derivante dai rendimenti di gestione del Fondo complementare. Viceversa la parte di pensione prodotta da un incremento dei contributi all'Inps sarebbe tassata "interamente" con l'Irpef e, dato che sarebbe aggiuntiva, con l'aliquota marginale, pari nel migliore dei casi al 23%.

In pratica fatta 100 la prestazione integrativa questa sarebbe tassata solo per un 70/80% (ipotizzando rendimenti annui del 2% o dell'1%) con un'aliquota del 9%, garantendo un valore netto di circa 93. L'analoga prestazione aggiuntiva di previdenza pubblica sarebbe tassata interamente con aliquota minima del 23% o superiore in presenza di redditi anche medio-bassi, garantendo un netto massimo pari a 77.  Da notare che anche in assenza di rendimenti e quindi di un assoggettamento totale della prestazione complementare a tassazione il suo valore netto sarebbe pari a 91, comunque superiore all'alternativa Inps.

Molto forte, e pertanto molto improbabile, dovrebbe essere la differenza tra crescita del Pil, che indicizza i contributi pubblici, e rendimenti del Fondo per produrre un risultato in termini netti che assicuri una convenienza del trasferimento di risorse a previdenza pubblica rispetto alla previdenza integrativa.

Sempre stante la legislazione in vigore, rafforzata da quella che sarà applicata dal prossimo gennaio, il lavoratore dirottando parte dei contributi all'Inps perderebbe altri vantaggi. Le norme sulla previdenza integrativa già oggi consentono agli iscritti ai Fondi la possibilità di ottenere anticipi di quanto maturato (Tfr, contributi e rendimenti goduti) per motivi di salute o per l'acquisto della prima casa. Dal prossimo gennaio questi anticipi godranno di una tassazione più favorevole rispetto agli analoghi anticipi del Tfr e saranno parzialmente ottenibili anche senza motivazioni specifiche. I contributi versati all'Inps come ulteriore contribuzione pubblica difficilmente potrebbero ottenere lo stesso trattamento salvo una diversa configurazione di questa contribuzione. Se così fosse il lavoratore che optasse per questa scelta vedrebbe annullata la sua possibilità di godere di un anticipo.

Per diventare competitiva e conveniente la proposta fatta dovrebbe pertanto prevedere profonde modifiche della legislazione attuale e non limitarsi ad un "semplice" aumento delle possibilità di scelta del lavoratore. Se così non fosse sono convinto che non si offrirebbe ai lavoratori un potenziale vantaggio, ma solo un'illusione di maggior tutela pubblica. Per essere competitiva la proposta dovrebbe prevedere una gestione separata di questi contributi all'Inps sottoposti alle stesse regole della previdenza integrativa. Tutto questo peraltro trasformerebbe sensibilmente la previdenza pubblica e richiederebbe un profondo intervento.

Una cosa è certa: i tassi di sostituzione ottenibili con il sistema contributivo pubblico non garantiscono ai lavoratori dipendenti una pensione adeguata, c'è bisogno di una pensione aggiuntiva. La previdenza complementare rappresenta una risposta più o meno soddisfacente, ma la sua semplice negazione significherebbe non affrontare un problema reale. Sistemi alternativi più efficaci è doveroso discuterli, ma debbono essere tali.

Personalmente concordo sul fatto, affermato dai proponenti l'appello, che "la previdenza privata può opportunamente svolgere la funzione integrativa per la quale è stata pensata e offerta ai lavoratori, ma non può convenientemente assumere un ruolo anche parzialmente sostitutivo di quella pubblica". La previdenza pubblica resta, e deve rimanere, il principale strumento di tutela previdenziale dei lavoratori e la previdenza a capitalizzazione non può che essere integrativa. La legge Maroni e il suo anticipo non mutano la sostanza di questo rapporto dal punto di vista del singolo lavoratore. Il peso delle due componenti non viene cambiato rispetto a quello già esistente, non vi è una riduzione della componente pubblica.

Non vi sarebbe riduzione della componente pubblica nemmeno nell'ipotesi di una conferma della revisione dei coefficienti di trasformazione dei montanti in rendita nel sistema pubblico, dato che questa revisione è norma nella previdenza integrativa. Queste revisioni non muterebbero il peso reciproco dei due sistemi, ma diminuirebbero il peso complessivo di entrambi e questo è un altro problema.

Concordo anche sul fatto che "la previdenza privata a capitalizzazione non è lo strumento più efficace ed efficiente per garantire alla generalità (sottolineatura mia) dei lavoratori pensioni almeno sufficienti ad una dignitosa sussistenza nell'anzianità", ma non lo è nemmeno la proposta contenuta nell'appello. Tutta la discussione sulla previdenza integrativa e lo stesso appello, si rivolgono ai lavoratori che godono del Tfr e di una retribuzione/reddito sufficiente a contribuire alla previdenza integrativa. Gli stessi primi accenni alla prossima riforma delle pensioni si soffermano soprattutto sul problema dell'età di pensionamento. Poca, se non nulla, è l'attenzione che si presta alla futura adeguatezza delle pensioni per molti lavoratori non dipendenti regolari.

Eppure il problema principale per il nostro sistema pensionistico del futuro è proprio questo. I tassi di sostituzione per molti lavoratori dipendenti, parasubordinati e autonomi, con carriere irregolari dal punto di vista retributivo e contributivo e con aliquote contributive ridotte, saranno estremamente bassi con forti probabilità di essere, per una parte di queste figure, sotto la soglia di povertà.

La previdenza integrativa non è una soluzione per questi lavoratori, così come non lo è la proposta contenuta nell'appello, data la mancanza del Tfr e, spesso, della possibilità di contribuire. La stessa legislazione fiscale di incentivazione alla previdenza complementare non aiuta questi soggetti, ma soprattutto i redditi medio-alti.

Il sistema pensionistico italiano uscito dal processo di riforma degli anni passati è modellato sul lavoratore dipendente regolare a cui assicura, tra previdenza pubblica e privata, una pensione adeguata. Per chi non rientra in questa categoria l'attuale sistema non offre invece una copertura sufficiente sia nella parte pubblica, sia in quella integrativa, e la proposta contenuta nell'appello non esce da questo schema.
E' auspicabile che la prossima trattativa affronti questo problema, drammatico in prospettiva, non limitandosi ad una discussione sull'età di pensionamento.
 
Una critica all'appello su di un diverso uso del Tfr non significa che non si debba discutere sulla previdenza complementare e sulla sua convenienza. L'anticipo al primo gennaio prossimo dell'entrata in vigore della legge Maroni  se costituisce un risultato positivo ai fini di una possibile maggiore copertura pensionistica per i lavoratori dipendenti non affronta alcuni problemi esistenti come quelli attinenti al sistema complessivo di tassazione, all'erogazione delle rendite, o, più in generale, alla disponibilità sul mercato italiano di possibilità di investimento delle risorse gestite.
Sono tutti temi, come altri, sui quali un'ampia discussione è non solo auspicabile, ma anche doverosa soprattutto considerando che i lavoratori saranno chiamati a decidere nei prossimi mesi sulla destinazione del loro Tfr.
Martedì, 5. Dicembre 2006
 

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