Tfr e Fondi, gli errori da evitare

Una replica al vice presidente del Fondo metalmeccanici: l'aver sbagliato in passato non significa che sia bene continuare a sbagliare. E' inoltre indispensabile informare bene i lavoratori sulle differenze di costo (e quindi di pensione futura) tra Fondi negoziali, aperti e assicurativi
Su E&L del 24 ottobre, Maurizio Benetti (vice presidente del Fondo Cometa, che gestisce la previdenza integrativa dei metalmeccanici) ha descritto lo "stato dell'arte" dei Fondi previdenziali (vedi qui). Ha pure rinfrescato la memoria su alcuni antecedenti che, a suo giudizio, aiutano a capire meglio gli  sviluppi attuali. In questo contesto Benetti sostiene che non ha molto senso discutere ora (cioè dopo la bocciatura in Consiglio dei ministri della proposta Maroni di decreto delegato) del Tfr nei Fondi.

Le ragioni sono diverse. Ma, se ho interpretato bene, le principali sono un paio. La prima è che l'utilizzazione del Tfr per finanziare la previdenza integrativa non è affatto una trovata recente. Ma viene da lontano ed i sindacati l'hanno assecondata fin dall'inizio. Perché l'avrebbero giudicata la soluzione più appropriata per "evitare una aumento eccessivo di contribuzione a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori".
 
La seconda è che il problema del rendimento dei fondi rispetto al Tfr non si può porre oggi, come se fosse una conseguenza della delega. La questione andava semmai sollevata nel 1995, quando è stata approvata la legge 194 che prevedeva appunto il passaggio del Tfr ai Fondi per tutti i nuovi assunti.

Sul primo punto. Mi sfuggono le ragioni in base alle quale i sindacati avrebbero assecondato questa soluzione. Non sono quindi in grado di esprimere un giudizio di merito. Sulla motivazione (per lo meno quella che ne dà Benetti) sono invece in netto disaccordo. Non si può dire infatti che si è pensato al Tfr per non mettere una contribuzione eccessiva a "carico dei lavoratori". Il Tfr è "salario differito". Quindi il grosso del "contributo" al Fondo è stato messo a carico dei lavoratori, perché è prelevato dalla retribuzione. Sia quella corrente, che quella differita.
 
Sul secondo punto. Concordo con Benetti che il problema del rendimento dei Fondi rispetto al Tfr sarebbe stato meglio sollevarlo fin dall'inizio. Nel disinteresse generale, alcuni (e tra questi E&L) hanno anche cercato di farlo. Credo tuttavia, come diceva il maestro Manzi, che "non sia mai troppo tardi". Perché in questioni  che riguardano il futuro delle persone non si può accettare la becera logica militarista del: "muro o non muro, tre passi avanti". Se così fosse, non rimarrebbe che dire ai lavoratori: "stando così le cose" intanto la decisione più sensata che potete prendere è quella di tenervi stretto il vostro Tfr. Almeno fino a quando non matureranno le condizioni che consentano di passare da Fondi a "contribuzione definita" a Fondi a "prestazione definita". Che, in buona sostanza, è ciò che attualmente viene garantito dalla liquidazione.

Tuttavia, oltre a recriminare su ciò che poteva essere fatto e non è stato fatto (o avrebbe potuto essere fatto meglio) credo che occorra informare i lavoratori anche a proposito delle differenze di costo (e quindi di rendimento) che esistono tra i Fondi chiusi, quelli aperti e le polizze. Se la delega proposta da Maroni venisse approvata, secondo il ministro i lavoratori sarebbero "assolutamente liberi" di potere fare la scelta migliore per loro. Ma per essere liberi di scegliere bisognerebbe essere informati. In materia di previdenza complementare, quanto meno dei costi-benefici in relazione a ciascuna scelta. Si deve invece mestamente riconoscere che il rapporto tra l'informazione e la previdenza integrativa ha lo stesso spessore di quello esistente tra le cartomanti e la metafisica. Sarebbe quindi indispensabile correggere il corso delle cose, in modo da consentire davvero ai lavoratori di fare le loro scelte a ragion veduta. 
 
A questo proposito aiuterebbe certamente sapere che, ad esempio, secondo alcuni calcoli sindacali: con un versamento iniziale di 1000 Euro; un incremento contributivo annuo pari all'1,8 per cento del salario; un rendimento annuo del 3,5 per cento sulle somme accantonate (su cui però è bene non scommettere); i costi dei Fondi chiusi ammontano allo 0,45 per cento; quelli dei Fondi aperti all'1,30 per cento; quelli dei Fondi individuali (polizze) arrivano fino al 2,30 per cento. Insomma, i Fondi aperti hanno costi tre volte superiori a quelli chiusi, mentre le polizze hanno costi addirittura cinque volte superiori.

Queste differenze di costo producono, ovviamente, una parallela differenza del montante accantonato e quindi della pensione integrativa, quando questa verrà erogata. Per avere un'idea delle differenze può essere utile un confronto. Se, ad esempio, con un Fondo chiuso in 35 anni viene accantonato un montante di 81.782 euro, nello stesso  periodo e con la stessa contribuzione in un Fondo aperto il montante accantonato scende a 69.611, mentre con le polizze scende ulteriormente a 58.050.  Insomma i Fondi aperti ed ancora di più le polizze si "mangiano il fieno in erba". Si mangiano cioè in spese (ed in utili per chi li gestisce) buona parte dei contributi accantonati con la speranza di ottenere, quando sarà il momento, una pensione complementare proporzionata ai versamenti fatti. Va quindi bene per banche ed assicurazioni e male per i lavoratori.

Se qualcuno pensa che i conti sindacali siano approssimativi, può sempre prendere in considerazione quelli della Covip (Commissione di vigilanza sui Fondi pensione). Arriverà però alle medesime conclusioni. Infatti anche alla Covip risulta che (sempre sulla base di una partecipazione di 35 anni) i Fondi negoziali hanno costi di gestione inferiori allo 0,5 per cento; i Fondi aperti hanno invece costi sempre superiori all'1,3 per cento; mentre con le polizze individuali i costi si impennano. Arrivano infatti: al 2,3 per cento quelle di durata trentacinquennale; al 3,2 quelle decennali e fino all'8,1 quelle triennali. Perciò mettendo a confronto i diversi tipi di "previdenza coimplementare", la Covip rileva che per arrivare ad avere la stessa pensione integrativa, nei Fondi aperti bisogna versare l'equivalente di quattro anni di contributi in più rispetto ai Fondi chiusi. Per le polizze individuali gli anni in più di contribuzione necessaria arrivano addirittura a sette. Domanda retorica: c'è qualche motivo per tenere i lavoratori all'oscuro di queste comparazioni?

Concludo ritornando al punto da cui sono partito. E' più di dieci anni che si discute (per la verità, più male che bene) di previdenza complementare. Sarebbe stato opportuno, come dice Benetti, indicare fin dall'inizio il catalogo dei problemi da affrontare. In ogni caso, sarebbe stato certamente più razionale. Debbo però francamente dire che non vedo preclusioni sostanziali a fare oggi ciò che non è stato fatto ieri. Del resto Berlusconi non ha avuto nessuna remora a far saltare il banco "in limine litis". Per di più con la poco commendevole motivazione  di favorire un allargamento del business di Mediolanum. Sono quindi convinto che tutte le persone ragionevoli non avrebbero alcuna difficoltà a capire (ed a condividere) una decisone del sindacato capace di costringere,  controparti e governo, all'adozione di misure indispensabili per impedire che un "furto con destrezza" possa essere consumato a danno dei lavoratori.

 
Venerdì, 28. Ottobre 2005
 

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