Tassazione delle rendite, le vecchiette sono salve

Su un conto corrente con 30.000 euro che goda di un interesse dello 0,5% (oggi difficile da ottenere) l’aggravio è di 9 euro l’anno, su un conto di deposito remunerato al 2,5% si sale a 75. Chi ha di più è difficile considerarlo “povero”. Ma ora diventa ancor più rilevante la differenza di tassazione con i titoli pubblici, che non è stata cambiata

Alti lai si sono alzati a fronte dell’aumento della tassazione delle rendite finanziarie con l’innalzamento dell’aliquota dal 20 al 26%. Capisco molti giornalisti ed esperti finanziari, presumibilmente ad alto reddito, che vedranno colpiti i loro risparmi, ma tirare in ballo le vecchiette e i risparmi di pensionati “poveri” come molti hanno fatto non sta in piedi.

 

L’aumento dell’aliquota non riguarda i capitali, ma il loro rendimento; se questo fosse pari a zero l’aumento di imposta sarebbe nullo per mancanza di imponibile. Che tasso di interesse avete sui vostri conti correnti? Qualcuno l’ha superiore allo 0,5%, escludendo i conti di deposito? (se sì, quella della banca che lo applica è un’informazione che andrebbe data a tutti…). La Cgia di Mestre ha provato a calcolare l’aumento di tassazione su depositi di 5.000 o 30.000 euro con tassi di interesse attorno allo 0,1%. Il risultato è un aggravio di 0,2 euro l’anno per un deposito di 5.000 euro, di 2,3 euro l’anno per un deposito di 30.000 euro. Portiamo allo 0,5% il tasso di interesse l’aggravio diventa rispettivamente di 1,5 e di 9 euro.

 

Certo per chi ha conti di deposito l’aumento è maggiore. Supponiamo depositi di 30.000 o di

50.000 euro con interesse del 2,5% (un po’ al limite oggi): abbiamo un incremento i tassazione rispettivamente di 45 e di 75 euro. E se uno ha risparmi maggiori? Allora usciamo dalla categoria delle “vecchiette e dei pensionati poveri” ed entriamo nelle categorie di ceto medio, di ceto alto e di

ricchi. Facciamo un salto, passiamo a 300.000 euro in conti deposito: avremo un aumento di tassazione di 450 euro annui, con 1.950 euro di tassazione su 7.500 di interesse, invece dei 1.500 precedenti. Scandaloso, insopportabile? Se lo stesso soggetto, lavoratore o pensionato,  avesse, dato i risparmi, un reddito superiore a 55.000 euro imponibili l’anno, su di un aumento annuo di reddito da lavoro o da pensione di 7.500 euro verserebbe al fisco il 41% ossia 3.075 euro. Con un reddito tra i 28.000 e i 55.000 euro su di un aumento retributivo anche questo soggetto subirebbe (considerando la diminuzione della detrazione) un taglio percentuale analogo.

 

Certo i depositi, i titoli e così via subiscono anche l’imposta di bollo dello 0,2%, ma questa è una patrimoniale. Non si voleva una patrimoniale sui capitali mobiliari e immobiliari?

 

Il Tesoro stima, sulla base della distribuzione della ricchezza mobiliare per decili, che dei 2.800 milioni di euro di maggiori entrare derivanti dal provvedimento, 1.500 ricadranno sul decile più ricco della popolazione e solo 200 sui cinque decili più bassi. E’ quindi un provvedimento molto equo dal punto di vista redistributivo; se poi lo aggiungiamo al provvedimento sulla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia…..

 

Quindi va tutto bene in questa parte del decreto Renzi? A mio avviso no. Positivo che l’aumento non sia servito ad aumentare le entrare ma a finanziare uno sgravio fiscale in un’ottica di un “primo” riequilibrio nelle diverse tassazioni. Negativo, anche se comprensibile, il fatto che l’aumento non abbia riguardato i titoli del debito pubblico. La differenza di tassazione è ora rilevante e non ha giustificazione dal punto di vista economico. Certo avrebbe colpito solo le famiglie, avrebbe potuto determinare una partita di giro (aumento della tassazione e aumento dei tassi), siamo in campagna elettorale. Ci possono essere giustificazioni, ma è una differenza che in futuro dovrà essere ridotta.

 

Vi è poi una differenza tra investitori qualificati e non. I primi, coloro che possiedono pacchetti azionari superiori al 2%, portano in tassazione Irpef il 49,72% dei dividendi azionari. Se sono tassati con un’aliquota Irpef del 43% (difficile immaginari possessori di pacchetti azionari

superiori al 2% di società quotate con redditi più bassi) i dividendi sono tassati complessivamente con una aliquota del 21,38%, contro il 26% con cui saranno tassati piccoli e medi azionisti. E’ un vantaggio non giustificabile, è augurabile che in Parlamento ci sia una modifica in merito aumentando la quota di dividendi che i grandi debbono portare in Irpef.

 

Ma è proprio così impossibile oggi portare in Irpef per tutti i redditi da capitale?

 

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Commenti

 

Ruggero Paladini

Condivido tutte le osservazioni di Maurizio. Quanto alla domanda finale, la risposta è: no, non sarebbe impossibile, visto che gli Usa lo fanno da sempre. Però va detto che in Europa la tendenza è stata in senso inverso. Da noi solo i dividendi delle azioni nominative (non quelle a risparmio) entravano in Irpef (dal 1978, legge Pandolfi) accompagnate dal credito d'imposta. Varando l'Ires Tremonti ha lasciato solo le azioni qualificate in Irpef, e solo per il 40%, portato poi da Visco al 49,72%. Questa percentuale non è casuale, ma è quella che assicurava che, per coloro che hanno redditi nell'ultimo scaglione, il peso complessivo fosse del 43%. Ora non è più così, ed è giusto che la percentuale venga aumentata.

Mercoledì, 30. Aprile 2014
 

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