Per le dimensioni qualitative e quantitative che la crisi finanziaria ed economica in corso ha già assunto finora (non sappiamo come andrà a finire) possiamo dire che questa è la terza grande crisi degli ultimi ottantanni, dopo quella del 29 e quella degli anni 70 normalmente associata agli shock petroliferi. Non sarà la fine del capitalismo (anche perché non si vede da cosa e ad opera di chi oggi sarebbe sostituito), ma sicuramente sta crollando la forma che era andato assumendo negli ultimi tre-quattro decenni.
Così come si sta manifestando, la crisi attuale ha origine nella vorticosa moltiplicazione delle attività finanziarie avvenuta negli ultimi decenni, nel loro collegamento sempre più flebile con la base patrimoniale su cui si regge la leva di creazione delle attività creditizie che è fortemente cresciuta, sulla riduzione delle garanzie richieste per la concessione dei crediti e sul progressivo allentamento delle regolamentazioni e della vigilanza delle imprese operanti nel settore. Si può pensare ad una piramide rovesciata in continua espansione, poggiata su una base relativamente sempre più ristretta e con strutture interne sempre meno adeguate ed affidabili. La crescente fragilità di questa costruzione, per quanto evidente a chi solo voleva vedere, si è manifestata a tutti quando contemporaneamente si è sgonfiata la bolla immobiliare (riducendo ulteriormente la base patrimoniale della piramide delle attività finanziarie) ed è stata scoperta la vasta e (ciò che è peggio) limprecisata diffusione dei mutui subprime e di altri titoli creditizi fondati su garanzie inadeguate. Si è così determinata quella di cui adesso tutti parlano come il male estremo, la crisi di fiducia dei e nei mercati, che prima ha messo in sofferenza anche mortale gli istituti finanziari e poi inevitabilmente si è trasferita al settore reale delleconomia, peraltro già sofferente e avviato alla recessione per conto suo.
A questo punto, lincertezza è diventata sovrana, generando il panico; i mercati non funzionano secondo le regole che gli sono attribuite dalle teorie economiche dominanti; in alcuni casi i mercati non funzionano affatto, si ritirano. I corsi azionari crollano e rimbalzano diventando volatili come non avveniva dal 29. Lunica via di salvezza viene unanimemente individuata nellintervento pubblico che, anche se per somma di richieste diverse e non sempre concordanti, viene complessivamente auspicato ed effettivamente praticato a 360 gradi: ingentissime iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali, acquisto dei titoli tossici, nazionalizzazione degli istituti finanziari e sostegno alla necessità di ripatrimonializzarli , erogazione diretta di finanziamenti alle imprese del settore reale, garanzie sui depositi dei clienti delle banche e assicurazione del loro salvataggio dal fallimento, nuove e più stringenti regolamentazioni e forme di vigilanza del settore finanziario.
A riprova della combinazione di cattiva coscienza ideologica e della confusione mentale imperante, nonostante lentità, la molteplicità di forme e lurgenza con cui vengono unanimemente richiesti gli interventi pubblici, abbondano le precisazioni di commentatori e responsabili economici che quegli interventi debbano essere solo momentanei (anche se nessuno può prevederne la durata) e non invasivi rispetto alla logica di mercato (le istituzioni pubbliche e la collettività pagano le perdite generate dalle imprese private, ma i loro proprietari se non anche i loro managers - mantengono il loro ruolo).
Se dallanalisi delle cause scatenanti e più visibili della crisi in corso se ne ricerca qualche radice più profonda, emergono altre considerazioni.
1. La crescente finanziarizzazione delleconomia - che non è certo una novità recente da un lato segnala la necessità di affidarsi alla creazione di castelli di carta per sostenere laccumulazione dei profitti che, evidentemente, fa fatica a realizzarsi (almeno con la stessa velocità e facilità) nella produzione di beni e servizi reali. Daltro lato, la ricchezza dorigine finanziaria interagisce con il settore produttivo, con le grandezze reali delleconomia e, in particolare, con la distribuzione del reddito che negli ultimi decenni è divenuta molto più sperequata. Quella ricchezza, oltre a riprodurre se stessa, genera anche domanda di beni e servizi reali, sia per consumi (prevalentemente di lusso) sia per investimenti nelle attività produttive.
Lintreccio tra il castello della ricchezza finanziaria e il resto delleconomia fa sì che lintero sistema acquisisca gli elementi di fragilità del mondo della finanza, generando malessere e instabilità sociale.
La crisi finanziaria odierna non può dunque essere derubricata a crisi settoriale del sistema economico capitalistico o ad una passeggera crisi di fiducia per ristabilire la quale si accetta anche un momentaneo ricorso allintervento pubblico. E il meccanismo di accumulazione del capitale affermatosi negli ultimi decenni ad essere in crisi. Daltra parte, finora il capitalismo ha dato prova più volte di sapersi rinnovare, e se non emergono le forme di un suo più sostanziale e positivo superamento, non sono affatto indifferenti le modalità del suo rinnovamento.
2. Il processo di finanziarizzazione delleconomia pur non essendo una novità recente - è andato crescendo vorticosamente negli ultimi anni, anche in corrispondenza alla globalizzazione dei mercati che ha riguardato in misura più profonda, per lappunto, i mercati finanziari. Più in generale, con la globalizzazione, i mercati hanno allargato la loro sfera dazione territoriale oltre i confini nazionali che invece continuano a delimitare i poteri delle istituzioni pubbliche. Questa asimmetria i cui effetti potevano essere almeno attenuati se la politica avesse fatto la sua parte (si pensi invece alle deregolamentazioni decise anche in ambito nazionale) - ha contribuito fortemente alla modifica dei rapporti tra Stato e mercato teorizzati dalla teoria economica neoliberista.
3. La grande attenzione innescata dalla crisi attuale per il ruolo della fiducia nei rapporti economici dovrebbe richiamare analoga attenzione allaltra faccia della medaglia, cioè al ruolo dellincertezza. Nonostante le teorie liberiste abbiano cercato di esorcizzarla immaginando ipotetici mercati perfettamente concorrenziali e armonici, operatori pienamente informati e a conoscenza delle regole di funzionamento del sistema economico (naturalmente quelle liberiste) nonché dotati di aspettative razionali capaci di non farli sorprendere dagli eventi (tranne eccezioni irrilevanti) lincertezza rimane il male oscuro stabilmente presente nei mercati e può essere affrontato con efficacia solo con una adeguata presenza dallintervento pubblico.
In sintesi, la ricerca spasmodica del profitto indirizzata verso il settore finanziario - dove è meno diretto e percepibile lo scontro redistributivo con i salariati - e lo squilibrio intervenuto nei rapporti tra Stato e mercato sono tra le cause retrostanti delle vicende che hanno alimentato la crisi attuale. Questa crisi, come quella del 29, non nasce dalla spinta di forze antagonistiche al capitalismo, ma da contraddizioni interne non previste dalle teorie economiche dominanti.
Dalla crisi del 29 si uscì con il contributo della forte crescita dellintervento pubblico, specialmente in campo sociale. Dopo la seconda guerra mondiale, lo sviluppo del ruolo pubblico nelle economie capitalistiche più avanzate, coniugato con la democrazia, determinò tre decenni di grande crescita economica accompagnata da una riduzione della povertà e delle disuguaglianze e da un accresciuto ruolo sociale e politico dei lavoratori.
Questo periodo ebbe fine con laltra importante crisi degli anni 70, che fu innescata dagli shock petroliferi e dallaumento delle materie prime, ma fu preceduta anche da un forte processo di rivendicazioni salariali, sociali e politiche. Da essa però si uscì con la sconfitta progressiva (ancora in corso) della sinistra e con laffermazione delle politiche neoliberiste; queste, nellepoca della globalizzazione (non governata), hanno rilanciato il mercato senza regole, hanno ridimensionato il ruolo dellintervento pubblico e quello dei lavoratori, hanno arrestato e invertito il trend di riduzione delle disuguaglianze, ma non hanno generato un rilancio della crescita e della stabilità paragonabile a quelle del periodo precedente. Anzi, come si è visto, è proprio in quelle politiche funzionalizzate alla ricerca facile del profitto finanziario disgiunta dalla crescita delleconomia reale che vanno rintracciati i motivi determinanti delle crisi sempre più frequenti e profonde degli ultimi anni, fino a quella attuale.
Della quale ancora non sappiamo come si evolverà, e meno ancora come se ne uscirà: dipende naturalmente dalle scelte che si faranno e da chi le eseguirà. Tuttavia, ancora una volta saranno centrali i rapporti tra Stato e mercato che anche