Sindacati del mondo contro la guerra

Tutti contro l'intervento. Con un'eccezione: il sindacato Usa

21 marzo 2003, secondo giorno di guerra in Iraq. Abbiamo provato a navigare da un sito web all’altro delle organizzazioni sindacali mondiali e di alcuni sindacati nazionali, per vedere quali messaggi esse lanciano ai milioni di lavoratori che rappresentano.
Il fronte sindacale europeo si presenta compatto nell’opposizione alla guerra.

Tralasciando la posizione unitaria di Cgil, Cisl e Uil che ci è ben nota, citiamo per tutti il maggior sindacato europeo, il Dgb (Confederazione tedesca dei sindacati), che con singolare energia e continuità ha condannato l’eventualità e, ora, il fatto dell’intervento armato unilaterale. Nell’appello del 20 marzo il Dgb “condanna nella maniera più netta l’aggressione militare all’Iraq” e “come parte del movimento per la pace chiama i propri iscritti a partecipare alle dimostrazioni e azioni pacifiche contro la guerra in Irak”. All’appello è allegato un dettagliato piano di azioni su tutto il territorio federale.
Con poche variazioni di tono, questi accenti accomunano tutti i sindacati europei e del mondo. Qui ci limitiamo a segnalare le prese di posizione delle organizzazioni internazionali (Ces e Cisl internazionale) nonché dei sindacati dei paesi direttamente coinvolti nel conflitto insieme o in appoggio agli Usa (Regno Unito, Spagna, Australia e, naturalmente, Usa).


La Ces: contro questa guerra condotta da Usa, Regno unito e Spagna senza legittimità internazionale
La Confederazione europea dei sindacati, ha martellato con continuità contro qualsiasi iniziativa di guerra unilaterale e a favore di una forte azione diplomatica, e comunque di un’azione multilaterale nel quadro dell’Onu. Tra l’altro, aveva annunciato che i sindacati europei avrebbero partecipato in massa alle manifestazione del 15 febbraio contro la guerra. Ora, una volta aperte le ostilità, la Ces ha preso nuovamente posizione. Non appena si è diffusa la notizia dell’attacco all’Irak, il segretario generale Emilio Gabaglio ha proposto al Comitato direttivo della Ces di qualificare anche su questo tema la giornata di mobilitazione europea del 21 marzo “Per un’Europa sociale, dei cittadini, democratica”, inizialmente finalizzata a sensibilizzare il Consiglio europeo riunito in questi stessi giorni a un rilancio del “Programma di Lisbona”.
Il 20 marzo il Comitato direttivo della Ces ha reso pubblico un documento che dichiara senza mezzi termini l’opposizione dei sindacati europei “a questa guerra condotta da Usa, dal Regno unito e Spagna senza legittimità internazionale”. La Ces fa appello alle organizzazioni affiliate perché reagiscano “con tutte le azioni possibili, ivi inclusi scioperi e manifestazioni a partire dall’indomani, dando ad esse continuità nei giorni successivi e collegandosi alle manifestazioni di massa per la pace”. La Ces deplora “le divisioni che hanno impedito all’Unione europea di giocare un ruolo positivo ai fini di una soluzione pacifica della crisi irachena” e chiede al Consiglio d’Europa di trovare un accordo perché le Nazioni unite siano investite del compito della ricostruzione dell’Iraq e di aiutare il popolo iracheno a decidere liberamente del proprio futuro”.

Cisl internazionale: la decisione di dichiarare la guerra è inaccettabile e ingiustificata
Anche la Cisl internazionale (Confederazione internazionale dei sindacati liberi) ha più volte dichiarato, sia pure in forme più sfumate, la propria opposizione a un intervento armato contro l’Iraq, pur condannandone il regime criminale, e sostenuto la necessità di agire comunque nel quadro della Nazioni unite, valorizzando al massimo le ispezioni.
Una volta scatenato il conflitto, la Cisl, attraverso il sito collegato Global Unions (che raggruppa insieme alla Cisl le federazioni internazionali di categoria e la rappresentanza sindacale nell’Ocse), “deplora la decisione inaccettabile e ingiustificata di dichiarare la guerra”, che “ha vanificato qualsiasi possibilità di risolvere la crisi con mezzi pacifici e contando su un ampio appoggio internazionale”, mentre oggi, “come in nessun altro momento della storia sarebbe necessario valorizzare il ruolo dell’Onu e del sistema multilaterale come garanti della pace globale, della sicurezza, dei diritti umani e dello sviluppo economico”.
Anche la Cisl, come la Ces, “appoggia senza riserve tutte le legittime proteste legittime e pacifiche dei sindacati contro questa decisione di entrare in guerra”.

Trade unions congress (Regno Unito): un governo democratico non si può imbarcare in una guerra senza il consenso del popolo
Il sindacato non va in guerra con Blair. Il segretario generale del Tuc (Trade unions congress) John Monks e il presidente dell’Afl-Cio (la confederazione dei sindacati statunitensi) avevano già inviato a Blair e Bush il 30 gennaio, alla vigilia dell’incontro tra i due capi di Stato, un appello a contenere la loro azione contro il terrorismo e il totalitarismo nel quadro dell’Onu. Ora, alla vigilia dell’attacco militare (19 marzo), il General Coucil del Tuc conferma in un documento le precedenti dichiarazioni di “non ambigua opposizione a ogni azione militare da parte degli Usa o di qualsiasi altro paese su base unilaterale” e l’invito rivolto al Governo “a ricercare un allineamento con i nostri partner europei per concordare una risposta a eventuali iniziative dell’amministrazione Usa”. Un’eventuale azione bellica poteva essere presa in considerazione, nel quadro dell’Onu, solo come estrema risorsa se tutti i tentativi diplomatici si fossero dimostrati impotenti e solo se fosse stato dimostrato che l’Iraq possiede armi di sterminio di massa. Ora, il Tuc “non ritiene che queste condizioni si siano verificate e che sia perciò legittimata la guerra”.
Il General Coucil del Tuc valuta positivamenbte “le masicce e storiche dimostrazioni contro la guerra che si sono svolte a Londra, Glasgow, Belfast e altre città il 15 febbraio” e ritiene che nessun governo democratico possa imbarcarsi in una guerra senza il consenso del popolo”. Ricorda inoltre “l’opposizione alla guerra di grandi leader come Nelson Mandela, il Papa e l’Arcivescovo di Canterbury” ed esprime la convinzione che “la ripugnanza morale per un regime non può da sola bastare per legittimare una guerra”.

Ugt e Comisiones obreras (Spagna): i governi dei paesi belligeranti saranno responsabili del disastro umanitario e delle distruzioni materiali della guerra
Nemmeno Aznar può contare sulla comprensione dei sindacati spagnoli. In una presa di posizione comune (20 marzo) Ugt e Comisiones obreras “condannano totalmente i governi di Usa, Regno Unito, Spagna e Australia per la guerra di aggressione scatenata ai margini della legalità internazionale, contro il parere della gran maggioranza dei paesi che compongono il Consiglio di sicurezza e in flagrante violazione dei principi della Carta dell’Onu”. Questi governi “saranno responsabili del disastro umanitario e delle distruzioni materiali della guerra”. La partecipazione delle forze militari spagnole non ha nulla a che vedere con un preteso “aiuto umanitario” e significa “una lesione dei procedimenti previsti dalla Costituzione spagnola”.
Ugt e Comisiones obreras “chiamano i propri iscritti e tutti i lavoratori a mobilitarsi insieme a milioni di cittadini d’Europa e di tutto il mondo perché si ponga fine alla guerra e per esigere dal governo spagnolo di non impegnare in nessun modo le forze armate spagnole nelle azioni belliche”. La dichiarazione si conclude con un appello a iniziative concrete di mobilitazione nazionale e richiamando la mobilitazione europea indetta dalla Ces il 21 marzo.

Actu (Australia): un’irresponsabile disprezzo per l’interesse nazionale e un servile omaggio a Bush
Anche il governo conservatore australiano deve vedersela con l’opposizione, ai limiti dello sprezzante, dell’Actu, la confederazione sindacale dell’Australia. Greg Combet, segretario generale dell’Actu, riprendendo una presa di posizione di pochi giorni prima, ha bollato il primo ministro John Howard di “irresponsabile disprezzo per l’interesse nazionale dell’Australia” e di “servile ossequio verso George W. Bush”. “Mr Howard non ha nessun motivo plausibile per partecipare all’invasione di un paese che non rappresenta alcuna minaccia diretta per l’Australia. Né è stata prodotta alcune evidenza circa i legami tra i recenti attacchi terroristi e il regime di Saddam”. Semmai, ha aggiunto Combet, l’iniziativa del governo espone gli australiani a concrete minacce di terrorismo.
La partecipazione all’aggressione all’Iraq contrasta con tutta una serie di ragioni che inducono milioni di Australiani a opporsi alla guerra: i costi umanitari ed economici del conflitto; l’arresto dei processi di disarmo; il non chiaro ruolo politico degli Stati Uniti nel dopo-guerra; la potenziale destabilizzazione a lungo termine di tutto il Medio Oriente; gli elevati rischi per la sicurezza dell’Australia; la posizione dell’Australia verso l’Onu e il suo appoggio alla legalità internazionale. Segue una serie di appuntamenti di mobilitazione sindacale in tutta l’Australia.

Afl-Cio (Stati uniti): siamo fermamente con le nostre truppe
Da ultimo lasciamo il sindacato americano, unica voce fuori dal coro. Dimentico, forse, della pur riguardosa lettera scritta il 30 gennaio insieme al collega britannico a Bush e Blair, il presidente della confederazione statunitense Afl-Cio John J. Sweeney, dopo giorni di silenzio su questo scottante tema, ha rilasciato una dichiarazione di netto appoggio all’azione militare. “Noi stiamo fermamente dietro le nostre truppe. Questi valorosi uomini e donne sono il meglio dell’America”. E il regime iracheno “è una brutale dittatura , che è una minaccia per i paesi vicini e per i suoi stessi cittadini”. Perciò “noi sosteniamo pienamente l’obiettivo di sgombrare l’Iraq dalle armi di distruzione di massa”.
Certo, “noi speriamo sinceramente che questo conflitto porti a un Iraq più democratico e prospero e a una maggiore stabilità nella regione, e che tutto ciò avvenga con il minimo di perdite di vite umane”. L’Afl-Cio aveva sostenuto “che la via migliore per disarmare Saddam Hussein sarebbe stata un’ampia coalizione internazionale sotto l’egida dell’Onu. Ma ora che è stata presa questa decisione, noi appoggiamo senza equivoci i nostri uomini e le nostre donne impegnate sulla linea del fronte e le loro famiglie in patria”.

Venerdì, 21. Marzo 2003
 

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