Senza pregiudiziali e senza diffidenze

«Rassegna Sindacale», 27 marzo - 2 aprile 2003

Lo sciopero unitario per la pace concorre a ricostituire, secondo le tradizioni migliori di tutto il movimento sindacale italiano, lo scenario strategico di fondo nel quale è possibile riprendere anche il dialogo ed il confronto fra Cgil, Cisl e Uil per cercare di superare la crisi e le difficoltà dei rapporti unitari di questi ultimi tempi.
In un momento decisivo della storia del nostro Paese, dell’Europa e del mondo, i lavoratori italiani e le loro organizzazioni tradizionali non stanno mancando alle responsabilità e sono capaci di indicare una prospettiva di pace e di solidarietà fra i popoli. Lo stesso sta avvenendo in Europa sotto la guida della Ces. Se questa condizione fosse mancata prospettive ancora più incerte e funeste si sarebbero aperte per il nostro sindacalismo.

Ora si può invece rafforzare l’impegno per la pace con un’azione sindacale unitaria più incisiva e feconda di positivi risultati e risalire cosi una china pericolosa che giustamente ha allarmato alcune dei più noti esponenti della nostra cultura sociale o sindacale di diversi orientamenti e esperienze quali: Gino Giugni, Aris Accornero, Mimmo Carrieri, Gian Primo Cella, Piero Craveri, Vittorio Foa, Ermanno Garneri, Pietro Larizza, Bruno Manghi, Alessandro Pizzorno, Ida Regalia, Mauro Regini ed altri. Prima dell’aggravarsi del conflitto questo gruppo aveva rivolto un appello (Unità , 11 marzo u.s.) a riprendere il dialogo ed il confronto fra Cgil, Cisl, Uil al fine di superare la crisi dei rapporti unitari.

Nel giudicare “importante” questa iniziativa il compagno Nerozzi nel n° 11 di Rassegna formula l’osservazione fondata che il documento non considera le più recenti convergenze unitarie di queste ultime settimane (statali, Mezzogiorno, Sicilia, Calabria, pensioni, fisco, ecc.).

L’omissione è intenzionale in quanto nel documento ovviamente non si è voluti entrare nel merito, bensì solo sottolineare un metodo per la ripresa del dialogo e del confronto in modo sistematico nella valutazione, che i dissensi esistono e nessuno intende sottovalutarli ma essi nella storia e nella dialettica unitaria non sono insuperabili.
Al bene dell’unità e il pluralismo del nostro sindacalismo occorre avere la consapevolezza da ogni parte che occorre pagare qualche prezzo altrimenti è inutile mettersi intorno al tavolo.

Si fa bene quindi a sottolineare i progressi unitari di questi ultimi tempi e l’accorciamento delle distanze su importanti problemi, come occorre convenire al contempo che non si può chiedere a nessuno abiura delle scelte fin qui assunte nel riconoscimento la loro piena legittimità.
E’ augurabile perciò che si approfondiscano i problemi senza pregiudiziali e senza diffidenze e sopratutto senza processi alle intenzioni, ma con chiarezza e reciproca realtà.

Con queste premesse si potrà consolidare ulteriormente l’autonomia di ogni organizzazione, che nel nuovo quadro del sistema maggioritario deve da un lato sfuggire al pericolo o alla tendenza di fiancheggiare questa o quella ipotesi politica e dall’altro rappresentare e tutelare con la maggior efficacia possibile le esigenze di un mondo del lavoro sempre più articolato e differenziato.

Non casualmente il documento nell’indicare tre punti strategici su cui potrebbe avviarsi la ripresa del confronto, individua come aspetto prioritario la rappresentanza a la sindacalizzazione dei nuovi soggetti sociali del vasto arcipelago dei lavori e dei contratti atipici. Campo di impegno nel quale fino ad ora non hanno raggiunto sostanziali risultati né Cgil, né Cisl, né Uil. Solo con l’unità questo grave problema di tutto il sindacato potrà essere forse avviato a soluzione.

Il secondo punto strategico è indicato nella riconferma o meno della concertazione secondo le esperienze e la valutazione derivanti dall’accordo del ’93 e del suo rinnovo nel 1998. Si tratta di ribadire il ruolo del sindacato a livello di società e di istituzioni onde esso sia in condizioni di poter effettivamente incidere sulle grandi scelte di politica economica e sociale. Il governo Berlusconi come emerge dal “libro bianco” e dalle sue successive proposte rifiuta la concertazione ed un ruolo primario del sindacato nella società. Di tale stato di cose sempre più evidente non rimane che trarne le conseguenze da parte di ogni organizzazione.

Terzo punto strategico i problemi delicati e decisivi della democrazia sindacale. I tempi sono maturi per uscire dalla più macroscopica contraddizione che attanaglia il sindacalismo italiano da diversi anni quella di utilizzare due tipi di democrazia, quella per i lavoratori dipendenti pubblici regolamentata per legge e quella per i lavoratori privati senza regolamentazione legislativa.

Le due concezioni del sindacato quella associativa e quella referendaria hanno trovato un punto di convergenza nel settore pubblico perché non è possibile nel settore privato? La democrazia dovrebbe essere una e indivisibile. Solo nel sindacalismo italiano sussistono due concezioni della democrazia sindacale. Nella prospettiva di una legge, anche per il settore privato perché non aggiornare ed adeguare l’accordo in pratica ancora vigente sulle Rsu anzitutto con una convenzione fra Cgil, Cisl e Uil?

In conclusione, con l’appello, si è voluto offrire liberamente un contributo di riflessione per una ripresa unitaria del sindacato e per facilitare il dialogo.
Si tranquillizzi il compagno Nerozzi non ci sono certo finalità nascoste o indirette e tanto meno l’intenzione di “verificare i tassi di unità di questa o quella struttura o peggio delle singole persone”.

E’ però normale che in un processo di ricerca unitaria possa esserci dialettica all’interno di ogni organizzazione e fra di esse. Questo è sempre stato nella Cgil fin dai tempi di Giuseppe Di Vittorio.
Nella presente situazione, ognuno secondo le proprie responsabilità, dalla base al vertice, faccia ciòche ritiene giusto fare perché un forte sindacato unito, resta patrimonio e speranza di tutto il Paese.

Venerdì, 28. Marzo 2003
 

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