Ogni qualvolta un presidente in carica si candida per essere rieletto, gli elettori s'interrogano giustamente su quali potrebbero essere le politiche dello sfidante. Ma non meno importante è valutare le possibili conseguenze dell'eventuale riconferma per altri quattro anni del presidente in carica. In altri termini, è ragionevole chiedersi: " Quale potrà essere lo stato dell'economia alla fine del 2008, se il trend economico del primo mandato di George Bush continuasse nel secondo?"
Usando i dati del Comitato dei consiglieri economici del presidente, ho assunto le variazioni medie annuali di alcuni indicatori economici chiave dal 2001 al luglio 2004 e le ho proiettate sui prossimi quattro anni e mezzo. Ovviamente, le cose possono cambiare - in meglio o in peggio- ma è un esercizio utile per vedere quello che il futuro potrebbe riservarci, continuando sulla strada segnata dal presidente Bush.
Possiamo aspettarci che la crescita del PIL sarà modesta, intorno al 2,7 per cento annuo. E' sempre meglio di zero, ma molto al di sotto del 4,2 per cento di cui beneficiammo nel secondo mandato di Clinton e, considerato il veloce ritmo di crescita della produttività e la delocalizzazione del lavoro, non è sufficiente a creare i posti di lavoro necessari. In sostanza, per il 2008, il rapporto fra occupazione e popolazione - un criterio di misurazione più significativo del tasso di disoccupazione standard - scenderebbe dal 64.4 per cento, al momento del primo insediamento di Bush (e dal 62.5 di oggi), al 61.0 per cento alla fine del secondo mandato.
A subire l'impatto più duro sarebbe il settore industriale, con una perdita di 3,5 milioni di posti di lavoro durante il secondo termine della presidenza. E particolarmente colpito sarebbe il settore manifatturiero con la scomparsa, al 2008, di altri 2,4 milioni di occupati, dopo averne perduti già due milioni durante il primo mandato. Alla fine del secondo termine della presidenza Bush avremmo visto sparire un quarto dell'occupazione manifatturiera in America.
Sfortunatamente, quelli che manterranno un posto di lavoro non se la passeranno molto meglio. Alla fine dei quattro anni, il salario medio orario sarà cresciuto solo di 12 cents rispetto a quello attuale. E, considerato che le ore settimanali effettivamente lavorate diminuiranno, non vi sarà, in effetti, nessun aumento. Andrà meglio, invece, se le tendenze attuali si confermeranno, per le piccole imprese e per le grandi "corporations": le rendite crescerebbero del 23 per cento e i profitti delle imprese al lordo delle tasse del 63 per cento. Ovviamente, tutto questo, assumendo che la riduzione dell'occupazione e la stagnazione dei salari non comportino una seria recessione con un conseguente taglio dei risultati.
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Neanche la Borsa sembra destinata a riprendersi, con il Dow Jones che cede in media 189 punti e il Nasdaq 237 punti. Chi ha investito nel mercato azionario alla fine degli anni novanta, e ha conservato l'investimento o una sua parte, non avrà recuperato le perdite nemmeno nel 2008. Con un'economia debole, le grandi imprese dovranno ridurre i loro investimenti fissi e in macchinari nell'ordine di 50 miliardi di dollari, il che non promette nulla di buono per la crescita economica al di là del 2008.
Dal lato dei prezzi, possiamo aspettarci una crescita del 16 percento delle spese mediche, mentre i prezzi dei prodotti energetici crescerebbero del 24 per cento. Per fronteggiare queste spese aggiuntive, le famiglie vedrebbero aumentare il loro indebitamento, aggiungendo 500 miliardi di dollari di debito sul conto delle carte di credito.
Ma, ovviamente, non sarebbero solo le famiglie a sopportare la crescita del debito. Zio Sam dovrebbe aggiungere altri duemila e cinquecento miliardi di dollari al debito federale. Se tutto procede secondo queste proiezioni, saremo prossimi al record di diecimila miliardi di debito federale, prima che Bush lasci la presidenza. Vale a dire cinquemila e ottocento miliardi di dollari in più rispetto a quando Bush entrò per la prima volta nella Casa bianca.
Altrettanto preoccupante è la bilancia commerciale: da un deficit di 412 miliardi di dollari nel 2001, e di 588 miliardi di dollari quest'anno, aumenterebbe a 800 miliardi nel 2008, con un aumento di un ulteriore 36 per cento solo nel secondo mandato di Bush. Con l'importazione massiccia di merci dall'estero, in grado di inondare il mercato interno, potremmo fruire temporaneamente di prodotti a basso costo, ma la contropartita sarebbe la scomparsa dei lavori pagati meglio. E, inoltre, dovremmo continuare a vendere i nostri assets, perché l'unico modo di coprire questo debito è lasciare che stranieri e governi esteri comprino obbligazioni del Tesoro, terra ed aziende americane. Infatti, secondo queste previsioni, i beni di proprietà straniera raggiungerebbero 3,2 mila miliardi di dollari: un incremento dell'83 per cento dal livello attuale.
Certamente le cose potrebbero andare meglio, ma se il secondo mandato seguirà i trend del primo, la prosperità americana ne risulterà profondamente minata. Può darsi che John Kerry non abbia tutte le risposte per rimettere l'economia sul binario giusto. Ma il suo programma comprende misure specificamente indirizzate a rinvigorire la base industriale, creare posti di lavoro, migliorare il sistema sanitario, e questo dà senso alla sua candidatura. Posto che il programma di George Bush è "mantenere la rotta", queste previsioni suggeriscono che come nazione finiremmo decisamente "fuori rotta".
Barry Bluestone è professore di politica economica presso la Northeastern University di Boston