Se Mille Euro sembrano pochi

Indagini e riscontri sull’aumento di salari e consumi. Più colpiti Co.Co.Co e interinali. Il peso sulle pensioni e le discussioni nell’Ulivo. Il calo dei consumi. Aumentano le disuguaglianze tra i cittadini. Un'emergenza sociale.
L’accurata indagine svolta dall’ISTAT sulla situazione del nostro Paese nel 2003 - che ha analizzato l’andamento del reddito e dato basi scientifiche alla sensazione che la maggioranza degli italiani avverte nel sentirsi più povero - è avvalorata da numerosi e inconfutabili riscontri sull’andamento dei salari, delle pensioni e dei consumi. Secondo una recente ricerca, promossa da DS, Sinistra Giovanile e in collaborazione con l’Unità, viene evidenziato come l’89% degli italiani ha un reddito che non supera i 1.500 euro al mese, il 34% (un italiano su tre) non arriva a 1.000 euro e spesso è costretto ad un secondo lavoro. Condotta direttamente sull’analisi delle buste paga di migliaia di lavoratori dipendenti e atipici, dallo studio emerge come per il 21% il salario non basti per vivere, mentre a soffrire maggiormente di un basso livello retributivo siano i giovani e le donne e, in particolare, chi svolge un lavoro interinale o coordinato continuativo. Il 78% dei giovani fino a 24 anni non supera, infatti, i mille euro netti al mese, così come non li raggiunge il 50% delle donne.
 
Come conseguenza si ha che solo poco più della metà si decide a formare una nuova famiglia. Questi dati ci dicono come sia ormai necessario fare i conti con il “lavoro povero”, un fenomeno tipico della società americana che fino a poco tempo fa era da noi sconosciuto. Nella nostra cultura, come ha ricordato Cofferati, l’idea della povertà si accompagnava sempre alla mancanza di un lavoro e alla disoccupazione. Oggi assistiamo invece al fatto che cresce il numero delle persone, soprattutto con bassa formazione, che lavorano senza ottenere in cambio un salario che consenta loro di superare la soglia della povertà. Sono, dicono le statistiche, quei lavoratori o quelle lavoratrici che quando perdono il lavoro non riescono a trovare altro che un nuovo lavoro povero.
Dall’inchiesta dei Ds, non a caso, si evidenzia una svalutazione del lavoro operaio meno qualificato e del lavoro manuale. Il 49% degli operai rientra così nella fascia di chi non supera i mille euro mensili netti. Le retribuzioni più basse si concentrano nelle aziende sotto i 15 dipendenti e il settore che sta peggio è quello agricolo, seguito dal terziario e dai servizi privati, dall’industria e dalla Pubblica amministrazione. Se, nello stesso tempo, si passa ad analizzare la condizione dei pensionati e l’entità delle loro pensioni e si prendono a riferimento gli ultimi dati dell’INPS degli oltre quattordici milioni di vitalizi in pagamento al gennaio del 2003, il quadro non cambia, e si scopre che più di dodici milioni, pari all’84%, sono sotto i mille euro al mese, in questo caso, lordi. Anzi, circa 7,3 milioni (il 50,6%) sono addirittura sotto i cinquecento euro. Mentre solo 262.000 pensionati, l’1,82% del totale, percepisce un vitalizio pari o superiore ai duemila euro. Si tratta, è giusto precisarlo, di pensioni in essere calcolate con il sistema retributivo che risulta più favorevole rispetto a quello contributivo con il quale saranno conteggiati i futuri trattamenti; sono inoltre escluse da questi conteggi le pensioni e gli assegni sociali e le assicurazioni facoltative.
 
Alla luce di questa situazione risulta davvero poco comprensibile come, dopo ben tre riforme che in dieci anni si sono occupate della materia, si continui a parlare della necessità di tagli alla previdenza e alle pensioni, e come anche nell’Ulivo vi sia chi considera questo delicatissimo argomento il terreno per un possibile confronto con la controriforma del governo. Pensioni che, oltretutto, dal ’92 non sono più agganciate ai minimi salariali, si rivalutano solo con l’inflazione e, col passare del tempo, perdono in potere d’acquisto.
 
In questa situazione, mentre si assiste contemporaneamente al fenomeno nuovo e preoccupante della riduzione di peso e ruolo del ceto medio che, in particolare, riguarda le famiglie con un solo reddito, non sorprende per nulla sia in atto una riduzione e una diversa distribuzione dei consumi. A novembre le vendite del commercio fisso al dettaglio, secondo la Confesercenti, hanno segnato una diminuzione dello 0,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Nello specifico per le famiglie aumentano le spese per abitazione, utenze domestiche e sanità, mentre scendono quelle per abbigliamento, calzature, mobili e arredamento, elettrodomestici, servizi per la casa, istruzione e cultura. Se i consumi, per effetto del diminuito potere d’acquisto di stipendi e pensioni, rallentano e si indirizzano in prevalenza verso i generi alimentari e la grande distribuzione, l’economia del Paese sta pericolosamente declinando, perdendo in competitività in campo internazionale.
Assistiamo così, per effetto delle scelte del governo di centrodestra, ad un forte aumento delle disuguaglianze tra i cittadini. Che si manifesta, per un verso, nell’arricchimento esponenziale di pochi e nell’emergere di fenomeni i quali evidenziano l’esistenza di nuove e più vaste aree di povertà: con il calo dei consumi, la riduzione della naturale propensione al risparmio degli italiani e la crescente richiesta di sostegno pubblico per far fronte alle spese per l’affitto, per la casa e per la salute.
 
Tali fenomeni che stanno determinando acute preoccupazioni e nuove tensioni sociali sono dovuti, in larga parte, all’abbandono operato dal governo della politica dei redditi che, dal ’93, ha consentito di risanare i conti pubblici, far entrare il Paese nel sistema europeo della moneta unica, realizzando nuova coesione sociale e maggiore partecipazione dei cittadini. Smantellato quel sistema di regole e di relazioni, il governo Berlusconi ha puntato esclusivamente alla riduzione dei costi, spingendo la nostra economia a competere in settori poveri di conoscenza e innovazione, mettendo in discussione i diritti fondamentali dei lavoratori e snaturando le regole nelle assunzioni. .
L’insuccesso clamoroso di questa politica, insieme al venire meno di tutta una serie di mirabolanti promesse (meno tasse per tutti, pensioni più dignitose, più ricchezza per tutti, ecc. ecc.) e l’incapacità dimostrata a fronteggiare un ciclo di crisi economica, ci consegna una situazione caratterizzata da alta inflazione, mancati controlli e l’assenza di efficaci sanzioni dei fenomeni speculativi che hanno accompagnato l’introduzione dell’euro, ritardi nei rinnovi dei contratti, riduzione del potere d’acquisto di salari e pensioni, invarianza nella pressione fiscale dello stato e conseguente aumento di quella di regioni e Comuni per effetto dei tagli nei trasferimenti operata dal governo centrale. .
Nello specifico delle politiche sociali, l’ultimo rapporto realizzato dal Cer per i pensionati della Cgil puntualizza come nelle tre leggi finanziarie del centrodestra la riduzione delle risorse destinate a questo fine sia scesa dai 12 miliardi di euro del 2002, ai sei miliardi del 2003 e sia stata ulteriormente ridotta di 900 milioni per l’anno in corso.
La consapevolezza di tutto ciò, l’individuazione delle responsabilità che hanno portato ad un forte squilibrio nella distribuzione della ricchezza e ad una crescente ingiustizia sociale si stanno, a mio parere, facendo strada in una larga parte di opinione pubblica. E’ necessario che le forze politiche dell’opposizione, insieme a tutte quelle componenti della società che in questi mesi si sono opposte energicamente ai provvedimenti più negativi del governo, sappiano cogliere i segnali che provengono dai cittadini e interpretare le loro principali necessità, predisponendo risposte adeguate. Al centro della politica dell’Ulivo e della sinistra deve porsi oggi come una emergenza la questione sociale. I salari, le politiche fiscali, la riduzione delle diseguaglianze, la difesa e l’aggiornamento dello Stato sociale nei suoi elementi fondamentali: formazione, ricerca, pensioni, salute. Anche per scongiurare il rischio di nuove e più gravi incomprensioni con la parte più attiva e partecipe del proprio potenziale elettorato.
 
. (Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi”)
Martedì, 10. Febbraio 2004
 

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