Se la sinistra guarda in faccia la realtà

Come molto spesso in passato sono stati ignorati nelle proposte e nei comportamenti i messaggi molto chiari che erano arrivati dall’elettorato in generale, ma anche dalle primarie. La strategia dell'accordo con Grillo è illusoria. L'unica possibilità è proporre un governo esterno ai partiti, con un presidente che provenga dalla società civile

In tanti anni di attività politica e sindacale dall’università a oggi, una delle cose che più mi ha colpito è una stupefacente capacità della sinistra sindacale e politica, nella Cisl e nella Cgil, nei partiti si sinistra e di estrema sinistra, di confondere i desideri con la realtà e, grazie a questa confusione diffusa, di non riuscire mai ad agire in modo da trasformare i desideri in realtà. Altra caratteristica è quella di non capire come “gli altri” non si rendano conto di come le nostre le nostre idee e proposte siano giuste con un atteggiamento che si traduce spesso in una forte arroganza.

 

Tutto questo si è ben manifestato sia nella campagna elettorale che nelle reazioni successive. Democratici di Sinistra, Sel e Rivoluzione Civile, hanno del tutto ignorato nelle proposte e nei comportamenti i messaggi molto chiari che erano arrivati dall’elettorato in generale, ma anche dalle primarie. Basta ricordare Parma e i voti per Grillo in Sicilia, e il risultato di Renzi con la quasi totalità dell’apparato politico e sindacale contro. La domanda di cambiamento nel paese era forte e crescente, ma non ha ottenuto nessuna risposta all’altezza. Ci si è, poi, lasciati trascinare in una campagna elettorale centrata sul dibattito sugli schieramenti e non sui contenuti e sulle proposte, sui contenuti si è lasciata l’iniziativa a Berlusconi, sulla riforma della politica e sul finanziamento pubblico dei partiti si è stati deboli o reticenti consentendo a Grillo il gioco facile del “mandiamo tutti a casa”.

 

I risultati si possono riassumere in poche cifre (vedi tabella): Berlusconi, Lega e destre varie hanno perso rispetto al  2008 otto milioni di voti, il centro, rispetto alla sola Udc, ne ha guadagnati 1,5 milioni. Il centro destra (CD) nel suo insieme è sceso per la prima volta sotto al 50% dei voti ed è precipitato al 40%.

 

In questo quadro il centro sinistra (CS) nel suo insieme ha perso quasi 5 milioni di voti: il Pd ne ha persi 3,8, la sinistra (Sel, Rc e altri) e l’Idv ne hanno persi 1,6. L'affermazione dell'Istituto Cattaneo secondo cui Sel e RC hanno guadagnato 400.000 voti non funziona perché si trascurano i voti di Di Pietro nel 2008.

 

Ingroia mi ricorda il Capanna degli anni ottanta che rivendicava la giustezza della linea politica da lui proposta rispetto a quella definita perdente del Pci di allora. Peccato che mentre il Pci perdeva tra il 1976 e il 1987 otto punti in percentuale, DP restasse sempre inchiodata all’1,5%. Il PD ha perso 3,8 milioni di voti, Ingroia, imbarcando Ferrero, Diliberto, i Verdi e Di Pietro, ha preso la metà dei voti del solo Di Pietro nel 2008. e meno di 1/3 di quelli di Idv alle europee del 2009.

 

La reazione a questo disastro, tralascio per pudore quella di Ingroia, è stata la proposta di Bersani di un governo Pd appoggiato da Grillo sulla base di 8 punti, che, si dice, il M5S non può rifiutare e che sono del resto il nucleo della proposta del CS nella campagna elettorale. Immaginatevi un risultato elettorale in cui Grillo prende il 10% e Monti il 25%; ve lo vedete Bersani che propone a Monti un governo PD e quel programma di 8 punti, prendere o lasciare? Quale arrogante senso di sé ha spinto il PD prima di un’analisi seria del risultato di fare una proposta che chiunque al posto di Grillo non avrebbe che potuto rispedire al mittente? Al vincitore politico delle elezioni, che ha vinto sulla base del tutti a casa, si propone un governo Bersani basato sul programma elettorale del PD!!!

 

Ho visto in streaming la presentazione degli eletti del M5S e la cosa mi ha strappato un sorriso e ricordato immagini sessantottine; ho seguito il dibattito alla direzione del PD e ho avuto una sensazione di pianto. Una carrellata durata nove ore di interventi inutili e vuoti, salvo una decina, che non hanno affrontato la realtà. Uno pseudo dibattito che ha rinviato lo scontro al certo fallimento, ammesso che Bersani riceva l’incarico, del tentativo del segretario. Ho sentito maggiori analisi e più passione il giorno prima in un dibattito di iscritti e votanti alla sezione Pd di Donna Olimpia. Sull’orlo del crollo la tattica impera. In questo modo il Pd corre il rischio di consegnarsi mani e piedi non solo a Grillo o al Pdl per fare un governo, ma a Monti per eleggere il presidente del Senato e il presidente della Repubblica. Monti e il Pd hanno la maggioranza per eleggere l’inquilino del Quirinale e al Senato hanno 142 seggi contro i 117 del CD (alla terza votazione basta la maggioranza dei votanti e alla quarta si passa al ballottaggio). Se Grillo si astiene Monti diventa decisivo tra il Pd e il Pdl.

 

L’unica possibilità, se non si vuole alla fine cadere sotto pressione della situazione in un governo con il Pdl, autentico suicidio ma possibile ancora di salvezza per una parte almeno del partito,  è quella di un governo esterno ai partiti, con un presidente che provenga dalla società civile (Rodotà o altri ad esempio) in grado di avere il consenso di Grillo e con un programma che risponda alla necessità di cambiamento. Dario Fo sarà anche un clown, ma dimostra più realismo politico di molti altri.

 

Nel frattempo, ammesso che ci sia, il Pd e Sel dovrebbero capire i perché della sconfitta e prepararsi a dare risposte adeguate che per ora, vedi Bersani sul finanziamento pubblico dei partiti, non si vedono.

 

Trovo stucchevole il giochino sul risultato con Renzi candidato perché credo che una buona fetta del Pd non avrebbe accettato la vittoria di Renzi e già questo sarebbe un problema da affrontare. Si tratta di trovare un nuovo gruppo dirigente, un nuovo candidato che non sia il frutto dell’apparato e che sappia rappresentare una immagine nuova del Pd, aperto all’esterno, libero dagli apparati e dalle cordate. Un Pd, ad esempio, che non faccia eleggere in Parlamento gli esclusi dal Consiglio regionale del Lazio e che non candidi ai primi posti alle regionali del Lazio 9 donne per poi non farne eleggere nessuna. In questi casi l’elettore si sente preso in giro e il Pd appare (spesso lo è) in mano a cordate non diverse dagli altri partiti.

 

Le prime analisi indicano che per la prima volta si registra una grande differenza nel voto per età. La Voce.info attribuisce al M5S una percentuale di voto tra i 16 e i 24 anni prossima al 50%. Il M5S rappresenta in Italia quello in Spagna sono gli Indignados con la differenza che questi ultimi si sono astenuti mentre i nostri giovani hanno votato. Ci poniamo il problema di come recuperarli?

 

Fermo restando che il problema degli esodati va risolto e che l’articolo 18 non si tocca, nel decalogo della sinistra possono questi obiettivi venire dopo il problema del precariato e della disoccupazione giovanile? Si potrebbe fare una volta uno sciopero generale su questo punto e non sui primi due?

 

In questo quadro si pone l’esigenza di una riflessione anche per il sindacato. Mai come negli ultimi anni è diminuita la capacità di Cgil,Cisl,Uil di incidere sulla situazione, sul governo e sul Parlamento. Un sindacato diviso è destinato a non contare nulla. Va preso atto da parte di tutti che esiste un pluralismo sindacale, legittimo in tutte le sue componenti. Ma partendo da qui, se si vuole avere ancora la possibilità di incidere, va ricostruita un’unità quanto meno di azione.

Venerdì, 15. Marzo 2013
 

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