Se la ricerca nasce dalla domanda…

Limiti anche a sinistra nei ragionamenti sull'innovazione. Necessaria ma stantia la denuncia della decadenza del sistema industriale italiano. La qualità della domanda prospettata ha stimolato e stimola l’offerta di ricerca e formazione. L'esempio Usa e un quadro strategico esogeno.

Le norme di bilancio e quelle di concorrenza che l’Europa si è data sono lacci e lacciuoli per le politiche di sviluppo. Tuttavia, sulla ricerca di base e quella applicata, ci sono margini per gli aiuti pubblici nazionali. Eppure, particolarmente in Italia, le dispute sul rapporto ricerca, innovazione e crescita sono tutte incentrate solo sui soggetti, sui protagonisti di quel rapporto, non più sui grandi obiettivi. La discussione economica sulla quantità e la qualità dello sviluppo si è spenta.

La nuova economia classica ha in mano la narrazione della storia: afferma che esiste uno sviluppo “naturale” e che gli imprenditori elaborano aspettative razionali perché condividono quella narrazione, al punto che se un governo intervenisse per alterare lo sviluppo “naturalmente” condiviso, l’automatica reazione dei mercati annullerebbe gli obiettivi dell’intervento. Si può obiettare che questa è pura teoria estrema. Non è vero. E’ argomento talmente concreto che oggi ogni ragionamento sui temi dell’innovazione è limitato – anche a sinistra - ai possibili interventi solo sulla catena, detta, del valore: formazione, quindi conoscenza, ricerca, trasferimento tecnologico, innovazione.

Innovazione perché? Per essere più competitivi è la risposta. Domina il punto di vista microeconomico, il punto di vista endogeno, o dell’offerta, considerato naturale. Contro quel dominio serve una forte discontinuità: non si possano più svolgere critiche o proposte sulle politiche per la ricerca e l’innovazione del paese senza introdurre quello che, nel loro lessico, gli economisti chiamano il punto di vista esogeno, un punto di vista che nasce all’esterno della catena del valore. Certo, in tutti gli anelli della catena del valore ci sono debolezze e dunque vien facile, vien “naturale” insistere sui fattori endogeni Ma non basta, assolutamente.

La denuncia della decadenza del sistema industriale italiano, ad esempio, è forse necessaria, ma assolutamente stantia: ha il merito di rendere evidenti i guasti delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni e della distruzione dei poli di ricerca, legati ai grandi aggregati pubblici, ma - nella gran parte delle analisi - esclude la possibilità di prospettare scenari qualitativi o percorsi, modelli, linee guida di sviluppo auspicabile.(Forse l’ultimo e più emblematico caso è stato il confronto politico sulla crisi della Fiat). Eppure, sempre, la qualità della domanda prospettata ha stimolato e stimola l’offerta di ricerca e formazione.

La politica federale statunitense sulla ricerca, ad esempio, prospetta un quadro strategico esogeno, un quadro di obiettivi: il 57% della spesa (della domanda) di ricerca va alla ricerca per la difesa, il 12% a quella spaziale,il 23% alla ricerca biomedica, l’8% a quella sulle fonti energetiche. Certo, quelli sono gli Stati Uniti, l’Italia è un’altra cosa; ma perché non si può fare un quadro di obiettivi (ovviamente diverso e più articolato) anche da noi?. Questo è il punto. Forse la rinuncia a grandi priorità strategiche per una domanda di ricerca vuol sott’intendere che l’unica domanda ritenuta “naturale” dai mercati sia la guerra? Forse il quasi 70% del quadro esogeno della politica federale americana (difesa più spazio) coincide “naturalmente” con il punto di vista endogeno della catena del valore? Un’altra narrazione è possibile, dopo oltre venti anni. Sono stati gli anni scanditi nel mondo dai fallimenti del “Negoziato Globale” all’assemblea dell’Onu, nel 1980, fino al grande bang del vertice Wto a Cancun, passando per i sostanziali fallimenti dei vertici di Rio e di Johannesburg sull’ambiente e per l’immane crollo del ruolo che Mosca pretendeva per sé quale capitale del terzo mondo.

Ora la nuova narrazione dovrà comprendere storie dove soltanto la riduzione delle disuguaglianze, la sostenibilità sociale e dell’ambiente e la qualità, intesa in primo luogo come possibilità di affrancarsi dal bisogno di esportare la sovrapproduzione interna, sono in grado di far aumentare i tassi di sviluppo. D’altra parte, senza questa forte discontinuità narrativa il grosso delle innovazioni, in paesi come l’Italia avrebbe come destino preminente solo quello di volgersi a chi produce “cose” che facilitino l’utilizzo di tecnologie complesse, contenute in prodotti di facile uso per consumatori di oggetti tecnologici. E non sto semplificando. Schumpeter diceva che per favorire un processo di innovazione è indispensabile una visione preanalitica. Questa visione, dopo oltre vent’anni, sta prendendo corpo.

Lunedì, 17. Novembre 2003
 

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