Se l’Italia vuol tenersi i giovani

Le riflessioni di cinque di loro che vivono da qualche anno in Irlanda. Statistiche internazionali e ricerche mostrano una serie di punti deboli a cui, se non vogliamo una fuga dei migliori all’estero, è urgente rimediare

Restare in Italia o andare via? Se n’è discusso molto in seguito alla lettera di Pier Luigi Celli al figlio, pubblicata da la Repubblica il 30 novembre scorso. Per noi cinque, che da qualche anno viviamo in Irlanda, l’interrogativo è se fare ritorno o meno, ma la sostanza della questione non cambia: meglio vivere in Italia o all’estero? E’ chiaro che la risposta dipende fortemente dalle preferenze di ognuno, ma riteniamo sia importante conoscere bene i problemi di casa nostra e non averne soltanto una vaga percezione. Pertanto, vorremmo contribuire a questo dibattito - destinato a riproporsi in futuro - riportando informazioni per quanto possibile oggettive. In particolare, intendiamo ricordare solo alcuni dei ritardi strutturali del nostro paese. Lo facciamo nella speranza di favorire una presa di coscienza della gravità di certi problemi; ciò che è necessario per cominciare a risolverli. 

In Italia, quasi uno su due di chi è in età lavorativa, non lavora. La media del tasso di occupazione nel periodo 1997-2008 è pari al 55,5%, mentre in Francia, Germania, Inghilterra e mediamente nell’UE è rispettivamente di 62,7%, 66,1%, 71,2% e 62,9%.(1) Inoltre, la retribuzione di chi lavora spesso non è buona. A tal proposito, le statistiche dell’OCSE ci dicono che nel 2007, a parità di potere d’acquisto, il salario medio (lordo) dei lavoratori italiani era più basso del 26.4% rispetto alla media dei trenta paesi che fanno parte dell’organizzazione, e del 16.5% rispetto alla media dell’Europa a quindici.(2) Poi, specie per chi ha un’età intorno ai trenta, è elevata la probabilità di trovarsi in una condizione lavorativa precaria. In un articolo pubblicato su www.lavoce.info, il numero dei precari in Italia è stato stimato a 3,75 milioni nel 2006, con un’incidenza sul totale dell’occupazione pari al 12,2%.(3) Purtroppo non disponiamo di dati per confrontare la precarietà lavorativa in Italia e all’estero, ma ci sono paesi dove chiunque perda il lavoro o non ne abbia mai avuto uno, e dimostri di cercarne, ha diritto ad un sussidio. In Irlanda, per esempio, questo è un assegno di almeno 200 euro a settimana, corrisposto fintanto che si è disoccupati. Nel nostro paese, invece, secondo una stima della Banca d’Italia, circa 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non avrebbero diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento.(4)

In Italia, molto diffusa è la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni, come dimostra il 63° posto nella classifica mondiale di corruzione percepita elaborata da Transparency International nel 2009.(5) La sfiducia nelle istituzioni riguarda anche la giustizia, i cui tempi sono lunghissimi specialmente per i processi civili e amministrativi. Nell’ultimo rapporto “Doing Business” della Banca Mondiale, dove gli Stati sono ordinati secondo il grado di efficienza del sistema giudiziario nel garantire il rispetto dei contratti commerciali, l’Italia si trova al 156° posto, su 181, nel mondo. Peraltro questo indice, insieme ad altri nove, rientra nel calcolo di uno più ampio che misura la facilità di svolgere un’attività imprenditoriale e, pure qui, non possiamo essere orgogliosi del nostro 78° posto.(6)

Oltre ad avere poca fiducia nelle istituzioni, molti di noi, cittadini italiani, diffidano gli uni degli altri. In un’indagine che si riferisce al periodo 2001-2007,(7) IPSOS-P.A. stima che oltre l’80% degli Italiani “pensa che non si sia mai troppo prudenti nel trattare con la gente; e il 75% pensa che, se si presentasse l’occasione, gli altri approfitterebbero della loro buona fede.” Non c’è da stupirsi, dacché esistono nella società italiana dei fenomeni che, secondo noi, almeno in parte spiegano tali risultati. Per esempio, l’elevata evasione fiscale e la frequente deroga al principio di meritocrazia nelle assunzioni. La Commissione europea recentemente ha pubblicato uno studio(8) che stima l’evasione sull’IVA pari al 22% nel 2006, a fronte di una media europea del 12%. Quanto al problema del merito, il rapporto LUISS “Generare classe dirigente 2008” trova che quattro italiani su cinque, e l’85% della classe dirigente, ammettono che “le relazioni e le raccomandazioni contano più del merito.”

Anche dal livello medio di senso civico dipende il benessere collettivo e degli individui in una società. Una misura diretta del senso civico non esiste, ma possiamo pensare a delle variabili di approssimazione, più o meno valide. Per esempio, il grado di diffusione dell’abusivismo edilizio. Il CRESME (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio) stima che, dopo decenni di aggressione del territorio, ancora circa il 10% delle abitazioni realizzate in Italia negli ultimi cinque anni sono abusive.(9) Oppure, ancorché un campione di funzionari ONU non sia certo rappresentativo di una popolazione nazionale, un’indicazione circa il nostro livello di senso civico ce la può dare questo estratto di un articolo apparso su Il Sole 24 Ore: "Alcuni ricercatori hanno scoperto che il numero di parcheggi illegali effettuati dai rappresentanti nazionali all'Onu di New York (che godono del beneficio della extraterritorialità e quindi non devono pagare le multe) sono molto diversi a seconda del paese di provenienza. I rappresentanti svedesi non parcheggiano mai illegalmente mentre quelli italiani vantano la bellezza di 14,6 infrazioni per ogni diplomatico."(10)

In Italia si investe troppo poco in ricerca e sviluppo. Il rapporto dell’OCSE “Science, technology and industry scoreboard 2009”, mostra che nel 2007 la spesa complessiva in questa area è stata pari all’1,1% del PIL, ovvero esattamente metà della media dei paesi del G7.(11) Tale penuria di investimenti penalizza la crescita economica del paese e costringe tanti ricercatori ad emigrare. E dallo stesso rapporto emerge che, nel 2007, solo il 5% degli iscritti ai corsi di dottorato nelle università italiane erano stranieri (21° posto su 30 in questa classifica); una cifra che, peraltro, sarebbe ancora minore se si tenesse conto esclusivamente degli stranieri che sono venuti in Italia col solo scopo di fare un dottorato. Questa statistica non è disponibile per l’Italia, ma c’è per gran parte degli altri paesi OCSE; e, per esempio, risulta che, nel 2006, gli stranieri che erano emigrati nel Regno Unito per conseguire un dottorato costituivano il 40% della popolazione totale di dottorandi. Le cifre, sempre a titolo di esempio, per gli atenei della Svizzera, del Belgio e della Spagna sono rispettivamente di 44%, 21% e 9%.

Infine, la libertà di informazione - ossia un pilastro delle società democratiche. Nella classifica mondiale della libertà di stampa stilata annualmente da Reporters Sans Frontières, l’Italia ha perso quattordici posizioni in tre anni: dal 35° posto del 2007 - un dato già scoraggiante - al 49° del 2009. I fattori che spiegano questa caduta sono “le pressioni del presidente del Consiglio sui mezzi di comunicazione, le crescenti ingerenze sui media, la violenza mafiosa contro i giornalisti che denunciano le attività della criminalità organizzata, e un disegno di legge atto a ridurre la possibilità dei media di pubblicare intercettazioni telefoniche”.(12) Addirittura, in “Freedom of the press 2009”, il rapporto di Freedom House, l’Italia risulta come Paese “parzialmente libero” per libertà di stampa.(13)      

I problemi che abbiamo elencato sono strutturali, ovvero esistono da anni e caratterizzano l’Italia di oggi. Risolverli non è facile, soprattutto perché richiede anche un profondo cambiamento culturale nella società, che finora non è riuscito a farsi strada. E allora, richiamare l’attenzione alla realtà dei fatti, come abbiamo cercato di fare, vuole essere anche un piccolo contributo al cambiamento che noi e tantissimi altri auspichiamo. In definitiva, vorremmo che per noi tornare a vivere e lavorare in Italia non fosse un azzardo; come non lo è per i nostri colleghi francesi, inglesi e tedeschi il ritorno nei rispettivi paesi.

Alexander Cecilia

Federica De Sisto

Alessio Frenda

Vitalba Giudice

Stefano F. Verde

 

Note

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1) Fonte Eurostat. http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&language=en&pcode=tsiem010&tableSelection=1&footnotes=yes&labeling=labels&plugin=1.

2) Fonte: “OECD Employment Outlook 2009” .

3) Si noti che nell’articolo di Mandrone e Massarelli, “Quanti sono i lavoratori precari”, la categoria dei precari include “i lavoratori a termine involontari, i collaboratori con forti indizi di subordinazione e gli individui non più occupati perché hanno concluso un contratto temporaneo e che tuttavia sono ancora sul mercato del lavoro.” http://www.lavoce.info/articoli/pagina2633-351.html .

4) “Considerazioni finali del Governatore”, Banca d’Italia (29 maggio 2009). http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2009/cf_08/cf08/cf08_considerazioni_finali.pdf .

5) http://www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi/2009/cpi_2009_table .

6) http://www.doingbusiness.org/economyrankings/ .

7) “Osservatorio sulla cultura civica in Italia 2001-2007, V rapporto nazionale”. http://www.comieco.org/allegati/Senso%20civico%20definitivo_per%20sito_bassa.pdf .

8) http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/taxation/tax_cooperation/combating_tax_fraud/reckon_report_sep2009.pdf.

9) http://www.cresme.it/ftp/rapporti/ANNUARIO_2009.pdf .

10) “Il senso civico è uno stock di capitale”, di L. Zingales (1 ottobre 2009). http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/1-ottobre-2009/societa-valori-senso-civico.shtml?uuid=7df9e2e8-ae56-11de-8022-a5c1b4f83c85&DocRulesView=Libero&fromSearch .

11) http://www.oecd.org/document/37/0,3343,en_2649_34173_44259685_1_1_1_1,00.html .

12) http://www.rsf.org/en-rapport111-Italy.html.

13) http://www.freedomhouse.org/uploads/fop09/FoP2009_World_Rankings.pdf .

Giovedì, 4. Marzo 2010
 

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