Scuola ed esclusione sociale

Alcune recenti indagini sull’istruzione a livello internazionale hanno rilevato in Italia dati inferiori alla media Europea riguardo al proseguimento scolastico, al grado di apprendimento ed anche ai livelli di scolarizzazione raggiunti. Ciò si traduce in crescenti difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro con rischi di esclusione sociale, in particolare per i figli degli immigrati. Si rendono di conseguenza indispensabili interventi di sostegno appropriati
Istruzione: Italia fanalino d'Europa?
L'Italia, come cita il Rapporto della Commissione Europea sullo stato dell'Istruzione in Europa (v. nota 1), ha il record degli abbandoni scolastici: nel 2004 solo il 73% dei giovani fra i 20 ed i 24 anni aveva completato gli studi superiori (contro una media europea del 77%), oltre il 22% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni aveva solo un diploma di scuola media inferiore e non stava seguendo alcun corso di qualificazione professionale (contro una media europea del 15%) e la percentuale complessiva degli italiani impegnati in corsi di riqualificazione professionale era del 6,8% (contro una media europea del 9,9%).

Dati questi che trovano riscontro nell'indagine effettata dal Danish Technological Institute per conto della Commissione Europea sui dati OECD (v. nota 2) relativi alla performance degli studenti: gli italiani si collocano al di sotto della media dei paesi OECD in matematica, nella capacità di lettura e nelle discipline scientifiche, e si classificano al ventitreesimo posto su ventisei paesi che hanno aderito all'indagine.
A completare il quadro c'è il rapporto dell'UNLA (Unione Nazionale per la Lotta all'Analfabetismo) sull'attuale popolazione senza titolo di studio in Italia, con età uguale o superiore a 11 anni, che fornisce un dato complessivo del 6,8% con punte del 13,8% in Basilicata, del 13,2% in Calabria, dell'11,3% in Sicilia, del 10,8% in Puglia, del 12,2% in Molise, del 9,8% in Abruzzo, del 9,3% in Campania, dell'8,4% in Umbria e dell'8,2% nelle Marche.

Sono indicatori estremamente preoccupanti perché fondamentali non solo per misurare il grado di maturazione culturale e sociale del paese, ma anche per valutare il potenziale di sviluppo economico su un mercato globale dominato dalla necessità di produzioni con un sempre più elevato valore aggiunto di conoscenza e di competenze tecniche. D'altra parte questo ritratto sconfortante è riflesso dall'impegno decrescente del nostro paese per l'istruzione e la ricerca. Nel 2002 la spesa per l'istruzione è stata pari al 4,7% del Pil, con una leggera flessione rispetto all'anno precedente e comunque sempre ben al di sotto della media europea che nel 2002 era stata del 5,22%. La tendenza al disinvestimento nell'istruzione è stata regolarmente confermata da ogni finanziaria, ultima quella del 2006 che ha visto una diminuzione del bilancio dell'Istruzione del 13,57% rispetto all'anno precedente.
 
Inserimento nel lavoro e rischi di esclusione sociale
Questi dati mostrano che nel nostro paese il futuro delle nuove generazioni è caratterizzato da pesanti incertezze che non sono riconducibili solo al contesto socio-economico o alle situazioni familiari individuali, ma ad una progressiva "disattenzione" sulle loro condizioni.

Ponendo in relazione i dati sull'istruzione con quelli sul lavoro minorile (nota 3), si deduce che i giovani orientati al lavoro dopo le scuole medie - vuoi per condizionamento familiare vuoi per situazione economica - o non si iscrivono affatto alle scuole superiori o vi entrano e rapidamente ne escono, scegliendo prioritariamente non la formazione professionale ma l'ingresso immediato nel mondo del lavoro, quando va bene attraverso l'apprendistato, spesso col lavoro "sommerso", e soprattutto al sud con l'emigrazione, spesso senza progetto, generalmente verso il centro-nord, ma anche verso l'estero.

Il ciclo superiore, per chi prosegue gli studi, presenta da subito una marcata differenza di prospettive future: l'indirizzo di studi tecnici e professionali è maggiormente caratterizzato dalla presenza di studenti con capitale familiare medio-basso (e dalla più alta percentuale di abbandoni); mentre la popolazione dei licei vede una più forte presenza di iscritti con capitale familiare medio-alto (e la più alta percentuale di esiti scolastici positivi), con la prospettiva di continuare gli studi all'università e di raggiungere buoni livelli di istruzione in grado di garantire un inserimento con successo nel mondo del lavoro. 
 
E' dunque evidente come esista ancora un condizionamento delle possibilità educative superiori legato alla condizione economica e sociale dei genitori. Il tema delle diverse opportunità, che sembrava essere stato eliminato dal sistema educativo e formativo, è quindi pesantemente rientrato. E' quindi elevato il rischio di una esplosione di queste contraddizioni tale da generare una ribellione degli esclusi, di tutti i giovani già da oggi condannati ad un destino di parziale se non totale esclusione sociale.
 
Più alto il rischio per gli immigrati
Tutto ciò vale a maggior ragione per i giovani figli di immigrati, come testimoniato recentemente dalla rivolta nelle banlieau francesi nello scorso autunno, a dimostrare la rabbia per un'esclusione sociale crescente e non adeguatamente affrontata da interventi governativi. Ritornando al nostro paese, una ricerca svolta dalla Fondazione Agnelli nel 2005 stimava che in Italia tra 7 - 8 anni ci saranno circa un milione di giovani nati da genitori immigrati. Quanto questa dinamica stia accelerando (vedi 6° Rapporto Nazionale EURISPES sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza, 2005) lo dice il fatto che nel 2004 i minori stranieri erano 412.000, circa il 45% in più rispetto al 2001. Abbiamo dunque di fronte la seconda generazione di immigrati, quella dei giovani che vivono la prima e fondamentale parte del loro processo di crescita e di approfondimento a cavallo di due mondi, quello della famiglia e quello della società, il più delle volte diversi per valori, tradizioni, abitudini di vita, religione e lingua.

Questo aspetto ha ancora maggiore rilievo se esaminiamo la popolazione scolastica straniera, che nell'anno scolastico 2003-2004 era il 3,5% di quella complessiva: i dati del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca evidenziano uno scarto che va dal 3,36% nella scuola primaria al 12% nella secondaria, con significative diversità tra coloro che frequentano la scuola secondaria di secondo grado e tra gli alunni che sono iscritti ai licei e quelli che frequentano invece le scuole tecniche e professionali.

A questo punto è evidente che in un arco di tempo relativamente breve (non oltre un decennio) noi potremmo realisticamente trovarci di fronte a fasce rilevanti di giovani che, vuoi per condizione economico-sociale di partenza, vuoi per complessità di situazione familiare, vuoi per problematicità di approccio con ambiti sociali diversi da quelli di appartenenza, si troveranno comunque a rischio di esclusione sociale, senza alcuna certezza di un futuro positivo. 
 
Quali interventi
Questo scenario fa pensare alla necessità di individuare quanto prima alcuni interventi "minimi" capaci di influire positivamente sulle condizioni dei giovani.

Si deve pensare ad un innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni e a garantirne concretamente il rispetto da parte di tutti i minori. Un modo per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica può essere anche quello di passare attraverso la progettazione e l'offerta di percorsi formativi capaci di rispondere alle esigenze dei ragazzi che manifestano la volontà e/o la necessità di un immediato inserimento nel mondo del lavoro. Riteniamo importante, inoltre, che si possa creare in ogni regione - sulla base di quanto già realizzato in Emilia Romagna - un'anagrafe degli studenti che, attraverso l'incrocio con altre banche dati, individui con precisione i percorsi scolastici ed extrascolastici dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni. Altrettanto utile potrebbe essere la definizione, sempre nelle regioni, di un piano di recupero per tutti i ragazzi tra i 15 e i 18 anni (italiani e stranieri) privi di licenza media che, se non individuati ed accompagnati in questo percorso di alfabetizzazione, sono destinati a diventare adulti analfabeti.

Non si deve trascurare, inoltre, l'importanza di promuovere efficaci meccanismi di controllo sui fenomeni di sfruttamento del lavoro minorile, elaborando modalità intersettoriali di ispezione del lavoro che dovrebbero tutte convogliare in un Osservatorio nazionale sul lavoro minorile e precoce e sull'abbandono scolastico, attraverso, anche, il coinvolgimento delle Amministrazioni dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. 

Note
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(1) Rapporto Ufficiale della Commissione Europea: "Key Data on Education in Europe 2005".
(2) Danish Technological Institute, "Study on PISA (Programme for International Student Assessment), TIMMS (Trends in International Mathematics and Science Study) and PIRLS (Progress in International Reading Literacy Study)", gennaio 2006.
(3) "Lavoro minorile in Italia: quale prevenzione e quali tutele?" Stefania Sidoli e Marco Zanotelli, su www.lavoce.info
Venerdì, 23. Giugno 2006
 

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