Concluso il cammino non facile del ddl detto La Buona Scuola alla Camera, si attende ora il passaggio critico finale in Senato. Nonostante il lavoro in commissione abbia aggiustato alcune parti del testo originario proposto dal governo, con emendamenti avanzati dalla stessa relatrice Maria Coscia (Pd), le lacune, i dubbi interpretativi e, soprattutto, lincertezza del disegno complessivo restano evidenti. Mi chiedo: perché una questione così importante è stata trattata con tanta, evidente trascuratezza e approssimazione?
Spesso
è accaduto, nei decenni trascorsi, che si sia messo mano alla scuola agitando
contenuti didattico - educativi innovativi e nuove architetture curricolari, ma
sempre obbedendo alla regola del buscar el Levante por el Poniente,
cioè a dire con finalità altre rispetto alle apparenti: da quelle di trovare
comunque un lavoro agli intellettuali a funzione sociale diffusa (così
venivano definiti un tempo i docenti), a quelle di fare cassa, come è accaduto
per il riordino (almeno si è avuto il pudore di non chiamarlo riforma)
Tremonti-Gelmini del 2009 che, dietro le idealità e i voli pindarici, ha
perseguito un mero, brutale taglio delle risorse, pari a circa 10 miliardi di euro
in un triennio (senza contare il miliardo circa di euro non più restituito
dallo Stato alle scuole che, con la propria cassa, avevano tra laltro pagato,
com'era loro dovere, stipendi e compensi desame a docenti e personale).
Dopo altri e successivi tagli, meno violenti, ma comunque sensibili (ad
esempio, la costituzione coatta di grandi, spesso abnormi istituti comprensivi,
senza che vi fosse sottesa una logica di sistema, come fu nel caso della
inapplicata riforma Berlinguer, ha avuto evidenti scopi economici), la Buona
Scuola renziana ha visto la luce alla fine del 2014, a ridosso cioè della
sentenza della Corte Europea di Giustizia sul precariato, che ha condannato
lItalia a causa dellabitudine inveterata di stipulare contratti a termine replicati
sine die, ben oltre i 36 mesi consentiti.
Il pericolo che si affacciava allora (e che si affaccia ancora all'orizzonte)
era quello di 250.000 casi di possibile ricorso, con annesse richieste di
risarcimento (ricordo che nel ddl originario art. 8 - era previsto un fondo
di 10 milioni per il pagamento delle multe!), nonché lintervenuta
impossibilità ad assumere per il prossimo anno scolastico, ancora con contratti
a tempo determinato, gli indispensabili docenti e il personale che avessero già
alle spalle 36 mesi di servizio retribuito. Di qui la necessità urgente di
sanare al più presto la situazione.
Il testo pasticciato e a tratti incoerente e incomprensibile della Buona
Scuola è il risultato della fretta ed è la foglia di fico che copre la
vergogna della peraltro doverosa sanatoria del precariato storico.
Se queste sono le premesse, si comprendono anche gli orecchiamenti e le false
novità di cui è intessuto il ddl. Solo qualche esempio: lautonomia della
scuola è ormai un fatto conclamato da almeno quindici anni; il richiamo allo
studio dellinglese nella primaria, alle nuove tecnologie, alla didattica
laboratoriale idem; la novità dellopzionalità nel curricolo,
meramente aggiuntiva dellintero scibile umano, non fa che riprendere quello
che già era contemplato in diverse delle precedenti disposizioni e mai attuato,
non per mancanza di norme, ma per mancanza di risorse; lo sbandierato (pseudo)
organico funzionale è semplicemente linsieme delle risorse destinate
giocoforza alla copertura delle supplenze (altro che ampliamento dellofferta
formativa!); del preside-manager si è detto di tutto e da anni, senza neppure
arrivare a definire un modello per la sua valutazione. Si potrebbe continuare.
E
poi gli ammiccamenti alla retorica del decisionismo (non cederemo di un
millimetro, andremo avanti comunque, abbiamo la testa dura affermazione
questultima che sottoscrivo in toto), ma, soprattutto, alla ben più grave retorica
del merito e della valutazione, fatta propria da un ministro glottologo
della Pubblica istruzione che dice votate ministrum, da un presidente
del consiglio che parla di cultura umanista, da un sottosegretario come
Davide Faraone, che vede i dirigenti scolastici come sindaci e più in generale
da un Parlamento di nominati, costituzionalmente illegittimi, senza alcun
merito se non quello di obbedire agli ordini dei capicorrente. Sarà dunque
proprio questo il Parlamento che dovrà legiferare sul merito degli insegnanti e
del personale tutto della scuola?
Ritengo invece che sia urgente unoperazione-verità. LEuropa ci chiede di
risolvere sul piano normativo la questione, davvero insostenibile e incivile,
dei precari mantenuti in servizio per anni a tempo indefinito. Risolviamola,
questa questione, subito, in quanto tale, con un decreto ad hoc, senza fare
fumo e mescolare tutto in un insieme di riforme nebulose e ingestibili, dove le
lacune, i non liquet, le aporie e le contraddizioni sono a tutti evidenti,
anche agli estensori del testo (il peso delle deleghe su talune
questioni-chiave, pur diminuito rispetto alla formulazione originaria dellart.
21, resta sempre eccessivo). Tutto ciò non potrà non condurre alla paralisi o
allinanità. Per dirla in forma letteraria, si corre il rischio concreto di
fare much Ado about nothing.
Ritorniamo piuttosto al concetto del mosaico (Berlinguer) o del cacciavite
(Fioroni). Smettiamola di parlare di riforma della scuola, quasi si trattasse
di affrontare un oggetto monolitico e dai contorni definiti una volta per
tutte.
La scuola di un paese moderno e che vuole restare democratico non è un
organismo omogeneo e unidirezionale, ma un sistema complesso, aperto e
cangiante e come tale va governato e modificato, articolando risposte variabili
segmento per segmento, cercando la massima semplicità possibile delle
soluzioni, stabilendo priorità e, soprattutto avendo ben chiare le conseguenze
che ogni intervento dovrà produrre.