Scheda/Germania: Le tutele per i disoccupati

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Prima di affrontare altri contenuti significativi della nuova legislazione tedesca sul mercato del lavoro, vale la pena di ricordare alcuni aspetti del sistema di tutela economica dei disoccupati. Esso prevede due istituti: l’indennità di disoccupazione (Arbeitslosengeld, alla lettera “denaro per i disoccupati”), che è il salario vero e proprio dei disoccupati, e il sussidio di disoccupazione (Arbeitslosenhilfe, alla lettera “aiuto per i disoccupati”), una misura sostanzialmente assistenziale per coloro che, in condizione di bisogno, non hanno o hanno perduto il diritto all’Arbeitslosengeld.
Indennità di disoccupazione.

Vi ha diritto il disoccupato che si è notificato come tale all’Ufficio del lavoro territoriale e che, negli ultimi tre anni prima della notifica, ha avuto un rapporto di lavoro in regola con i contributi assicurativi per almeno 12 mesi (10 mesi per chi è stato in servizio civile o militare, 6 mesi per i lavoratori stagionali). Il diritto a percepire l’indennità ha una durata variabile a seconda dell’età e della durata del rapporto di lavoro regolare di riferimento e varia da un minimo di 6 mesi (12 mesi di rapporto di lavoro, età fino a 44 anni) a un massimo32 mesi (età 57 anni, 56 mesi e oltre di rapporto di lavoro). Il periodo di riferimento per il calcolo è dato dagli ultimi sette anni prima della notifica dello stato di disoccupazione.
 
L’ammontare dell’indennità è calcolato in riferimento alla media della retribuzione settimanale lorda percepita nelle ultime 52 settimane (26 per gli stagionali) di rapporto di lavoro. Corrisponde al 67% di detta retribuzione per i disoccupati con almeno un figlio a carico, o il cui coniuge ha almeno un figlio a carico, al 60% per gli altri. Dall’indennità vengono detratti i contributi assicurativi e le imposte. Una serie di condizioni (ad esempio, licenziamento per colpa, rifiuto di un lavoro accettabile, rifiuto di partecipare a percorsi di addestramento proposti dall’Ufficio del lavoro, ecc.) può condurre a una sospensione o alla perdita del diritto all’indennità.
 
Sussidio di disoccupazione.
Hanno diritto a percepirlo i disoccupati notificati all’Ufficio del lavoro, ma che per qualche motivo (ad esempio, non hanno il requisito della durata minima di un rapporto di lavoro regolare nei tre anni precedenti la notifica) non hanno diritto all’indennità di disoccupazione e sono bisognosi. Lo stato di bisogno risulta quando il disoccupato non può mantenersi senza il sussidio e viene verificato esaminando le sue condizioni di reddito e patrimoniali.
 
Il sussidio vale al massimo per un anno, e deve essere richiesto ogni anno. Viene concesso fino all’età di 65 anni. Il suo ammontare fa riferimento alla precedente retribuzione netta calcolata globalmente ed equivale al 57% della medesima per i disoccupati con almeno un figlio a carico, o il cui coniuge ha almeno un figlio a carico, al 53% per gli altri. Il diritto al sussidio può decadere in determinati casi (ad esempio, se nel frattempo viene acquisito il diritto all’indennità di disoccupazione, se dall’ultimo giorno della riscossione del sussidio è passato un anno, ecc.).
 
Promuovere ed esigere
“Fördern und fordern”: con questo intraducibile gioco di parole, che significa “promuovere ed esigere”, viene riassunto un aspetto centrale della filosofia della riforma: incentivare ma anche pretendere un’assunzione attiva di responsabilità da parte dei soggetti interessati (disoccupati, imprese).
 
Innanzitutto, il lavoratore ha l’obbligo di notificare la propria situazione all’Ufficio del lavoro del suo territorio fin dal momento in cui riceve la lettera di licenziamento, anche nel caso in cui abbia fatto ricorso contro questa misura. Chi lo fa in ritardo, subirà una decurtazione dell’indennità di disoccupazione, che potrà variare a seconda delle situazioni personali, sociali, familiari o dei motivi del ritardo.
 
Quanto all’obbligo di accettare un lavoro proposto dall’Ufficio del lavoro, le nuove regole sono rese più severe. Soprattutto, viene richiesta più mobilità. Se un disoccupato non ha prospettiva di trovare un posto nella sua regione nell’arco di tre mesi, deve trasferirsi altrove. L’Ufficio del lavoro contribuirà a sostenere i costi di trasferimento e offrirà un prestito senza interesse fino a un massimo di 1.000 euro. L’obbligo di trasferimento non sussiste qualora esistano “legami familiari”. Questa espressione non viene ulteriormente specificata, e il legislatore si limita a richiamarsi al principio costituzionale della tutela del matrimonio e della famiglia. In sostanza, sono i single che possono trovarsi di fronte all’obbligo di trasferirsi per avere un lavoro. L’eventuale rifiuto di un lavoro proposto deve essere adeguatamente motivato dal lavoratore.
 
Anche le imprese dovranno notificare con tempestività e completezza all’Ufficio del lavoro di competenza i posti di lavoro che hanno a disposizione. Finora le imprese sono state sempre reticenti al proposito, anche per le cattive esperienze fatte con i vecchi uffici. “Ma adesso non hanno più scuse – ha detto Klaus Zwickel, presidente della IG-Metall – e dovranno notificare effettivamente gli 1,5 milioni di posti di lavoro che, come vanno sempre dicendo, sarebbero disponibili se non ci fossero di mezzo troppi ostacoli burocratici”.
 
Formazione e opportunità per i lavoratori anziani
Circa la formazione, l’obiettivo della riforma è duplice: promuovere più libertà di scelta e più assunzione di responsabilità da parte del lavoratore interessato; creare più concorrenza tra i fornitori di formazione/riqualificazione. A chi ne fa richiesta e possiede determinati requisiti, viene offerto un “buono per la riqualificazione” da spendere in corsi di propria scelta. L’ente formatore prescelto, prima dell’inizio del corso, deve presentare il “buono” all’Ufficio del lavoro che deve finanziare il percorso formativo. L’Ufficio del lavoro, oltre ai costi della formazione, copre anche le spese di viaggio, mantenimento e soggiorno. Viene inoltre corrisposta una somma di 130 Euro mensili per ciascun figlio a carico. Rispetto alla situazione attuale, viene abbreviato il periodo nel quale un disoccupato, concluso il percorso formativo, conserva il diritto all’indennità di disoccupazione (viene ridotto alla metà della durata del corso di formazione).
 
La nuova legislazione affronta anche il difficile problema dei lavoratori anziani che perdono il lavoro e hanno difficoltà di ricollocazione. Si parla di lavoratori che hanno compiuto i 55 anni. Per costoro si prevedono due possibilità. La prima è di stimolarli ad accettare anche un lavoro peggio pagato del precedente, dotandoli di una “assicurazione retributiva” che compensa parzialmente la perdita di reddito (è la metà della differenza tra l’attuale e la precedente retribuzione). La seconda è il cosiddetto “Bridgesystem”, un “sistema ponte” in virtù del quale il lavoratore anziano, se vuole, può uscire dal rapporto con la PSA, e quindi dal mercato del lavoro, e ricevere un sussidio pari alla metà dell’indennità di disoccupazione fino al maturare dell’età della pensione.
 
Un punto sul quale non è stata accolta, se non in minima parte, l’obiezione dei sindacati riguarda la totale discrezionalità (“senza oggettivo motivo”) con la quale le aziende possono assumere a termine lavoratori anziani da una certa età in poi. Prima il limite di età era di 58 anni; il disegno di legge governativo l’aveva abbassata a 50 anni. La legge approvata l’ha elevata solo a 52 anni.
 
Lavoro autonomo e “mini-Jobs”
Inesauribile nella sua creatività linguistica, la Commissione Hartz aveva inventato la formula “Ich-AG” (“Io Spa”) per indicare l’impresa individuale da incentivare come nuovo sbocco occupazionale. Quest’idea viene concretizzata nella seconda delle due leggi: il lavoratore disoccupato che si mette in proprio e che guadagna meno di 25.000 euro l’anno (questo limite si eleva a 50.000 se all’impresa collabora il coniuge) ottiene un contributo mensile per tre anni, e precisamente: 600 euro mensili il primo anno, 360 il secondo e 240 il terzo. Gli aspetti fiscali per questo tipo di impresa non sono definiti.
 
Un altro tipo di sbocco occupazionale è quello dei “mini-jobs”, dei “piccoli lavori” che riguardano essenzialmente i servizi domestici e di cura, fino a una retribuzione massima di 500 euro mensili. La nuova normativa, contenuta ugualmente nella seconda legge e – come quella sull’impresa individuale – richiedente l’approvazione anche del Bundesrat, ha l’obiettivo di far emergere dal nero questo tipo di attività. Chi impiega un “mini-jobber” ha diritto di dedurre dalle tasse il 10 per cento della retribuzione annua, fino a un massimo di 360 Euro. Ugualmente pagherà il 10 per cento di contributi assicurativi direttamente agli istituti previdenziali, senza complicazioni burocratiche. Il “mini-jobber” non dovrà pagare né tasse né contributi.
 
Risultati occupazionali e risparmi
Il governo Schröder non è riuscito a mantenere la promessa elettorale del 1998 di abbassare la disoccupazione da una quota superiore a 4 milioni a 3,5. Anzi, nella primavera 2002 il numero dei senza lavoro è risalito sopra la fatidica soglia dei 4 milioni e lì è rimasto. Potrà la riforma avviata fare di più e meglio? I suoi promotori ne sono sicuri, ma giustamente dicono che è difficile anticipare cifre. Qualcuno si era sbilanciato a considerare “plausibile” anche se “assai ambizioso” un abbattimento della disoccupazione di due milioni di unità nel giro di tre anni. La cifra è stata ripetuta in questi giorni anche dal ministro dell’economia e del lavoro Wolfgang Clement, il quale la ritiene possibile purché vi sia “uno sforzo comune”.
 
Il governo è stato più preciso nel preventivare i risparmi che si ripromette dalla riforma. Il testo di presentazione delle due leggi, che ne illustra le ragioni e le linee politiche di fondo, traccia un dettagliato quadro dei risparmi anno per anno per il bilancio federale, derivante dalla riduzione del numero dei disoccupati. Riassumendo, è scritto nel testo: “Le misure porteranno nel 2003 a un risparmio complessivo di 5,87 miliardi di euro, di cui 3,39 a beneficio dell’Istituto federale del lavoro e 2,48 del bilancio federale. Negli anni successivi è atteso un risparmio più consistente, rispettivamente nell’ordine di 3,73 miliardi di euro (Istituto federale) e 3,47 miliardi (bilancio federale)”.
Lunedì, 25. Novembre 2002
 

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