Sanità, un mosaico da ricomporre

Una sintesi del IV Rapporto: spese ospedaliere che variano fino al 300%, forti differenze nei ricoveri e nelle prescrizioni a seconda del luogo, mortalità più alta fra le donna del Sud, famiglie che si impoveriscono per il dentista e l'assistenza agli anziani. Non è con i tetti di spesa che si crea un sistema più efficiente e meno costoso
Sintesi IV Rapporto Ceis Sanità
a cura della Facoltà di Economia dell'Università di Roma "Tor Vergata"
 
Genesi del deficit
Malgrado sia sempre allarme relativamente ai conti della Sanità, secondo gli ultimi dati diffusi dall'Oecd, la spesa sanitaria italiana (2004) ammontava all'8,4% del Pil, al di sotto del 9,0% della media dei Paesi Europei. Anche la crescita sembra essere sostanzialmente "sotto controllo" nel medio-lungo periodo; l'incremento ammonta a 0,7 punti percentuali di Pil fra il 1990 e il 2004: solo Finlandia e Danimarca hanno fatto meglio, anche considerando che questo risultato si è realizzato a fronte di un livello di spesa iniziale basso, di una crescita del Pil molto modesta e di un rapido invecchiamento.

Per il 2007, le previsioni del IV Rapporto Ceis Sanità stimano un ulteriore aumento della spesa sanitaria totale, più veloce dell'incremento del Pil: si arriverebbe all'8,5% del Pil, rimanendo però sempre al di sotto della media europea.
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La tendenza a contenere attraverso il finanziamento la crescita della spesa pubblica ha creato un disavanzo strutturale: infatti il finanziamento è sempre stato inferiore alla spesa sanitaria pubblica, sin dall'esordio del Ssn; il gap, nel periodo 1982-2005, è stato in media pari allo 0,4% del Pil, con variazioni annue relativamente modeste, dimostrando che, in via di principio, non sarebbe stato impossibile colmarlo.

La legge Finanziaria in corso di discussione, prevede peraltro un rilevante incremento del finanziamento centrale, che raggiunge i 96,0 mld. di euro, più 1,0 mld. a destinazione vincolata per le Regioni in condizioni finanziarie peggiori. A queste risorse centrali si aggiungerebbero anche 3,7 mld. di risorse regionali, portando il finanziamento complessivo a 100,7 mld., ovvero al 6,7% del Pil (ove quest'ultimo cresca come previsto nei documenti di programmazione economica).
 
Le previsioni del IV Rapporto Ceis Sanità indicano che la crescita economica e demografica, oltre che lo stesso aumento del finanziamento, spingeranno il tendenziale di spesa pubblica a 104,8/106,1 mld. (a seconda dello scenario), pur in presenza degli incrementi nelle compartecipazioni (specialistica e pronto soccorso) previsti in Finanziaria.

A seconda del grado di ottimismo sull'efficacia dei piani di rientro delle Regioni in disavanzo, nonché dei tagli sui prezzi, ma anche sulla misura in cui, in sede di approvazione, troverà conferma l'attuale assetto della Finanziaria, lo scenario di spesa pubblica finale potrebbe quindi attestarsi fra 102,7 mld. e 105,0 mld.di euro, con un disavanzo effettivo compreso fra 2,0 e 4,3 mld. Sintetizzando, nella "peggiore" delle ipotesi si confermerebbe un gap fra finanziamento e spesa di 0,4 punti percentuali di Pil, in linea con lo storico, mentre nella "migliore" lo scarto si ridurrebbe a 0,15 punti.
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L'impatto finale sulle famiglie è limitato, in quanto la crescita delle risorse pubbliche rese disponibili è controbilanciata dagli effetti dei nuovi (o aumentati) ticket.
Per le famiglie si assisterebbe ad un decremento della spesa sanitaria sostenuta direttamente, dell'ordine del 6-12%: la manovra, tesa a una maggiore responsabilizzazione degli utenti, innesca però complessi meccanismi equitativi; da questo punto di vista, l'adozione di ticket in cifra fissa sulle ricette della specialistica lascia supporre un impatto equitativo discutibile, in particolare sulle fasce di popolazione più a rischio.

Il federalismo "immaturo"
Lo scenario del Ssn per il 2007, in termini economico-finanziari, dipende fortemente dalla capacità della politica sanitaria centrale e locale di agire coerentemente e coordinatamente, al fine di realizzare le misure di razionalizzazione proposte in Finanziaria. La lettura degli interventi previsti lascia, peraltro, intravedere una sorta di "Federalismo immaturo": la logica (quella positiva) del Federalismo comporterebbe infatti che sia compito locale quello di perseguire le condizioni di massima efficienza, lasciando ai livelli di governo centrale il compito di regolare i principi generali e vigilare sul rispetto dei diritti
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Pare istituzionalmente discutibile una regolazione minuta a livello centrale dei livelli di compartecipazione, sarebbe invece assai più auspicabile affrontare il tema delle esenzioni, poiché per i cittadini più fragili esse configurano un diritto di cittadinanza: invece, paradossalmente, esse sono oggi soggette all'arbitrio regionale, con comportamenti abbastanza difformi.

Una spiegazione di questa inversione di ruoli e del persistere di una certa confusione istituzionale, può farsi risalire alla mancanza di un Federalismo fiscale compiuto, capace di responsabilizzare definitivamente le Regioni sul versante economico.
La sensazione è che le Regioni "usino" in qualche modo il livello di governo centrale per farsi "omologare" le proprie scelte (nel caso delle Regioni più attive e spesso più virtuose) o per farsi indicare (o imporre) la strada delle razionalizzazioni (nel caso delle Regioni meno efficienti).

La precedente osservazione giustifica l'idea di un Federalismo "immaturo", il cui rischio è quello di spostare semplicemente il conflitto istituzionale a livello di riparto regionale delle risorse, lasciando alla Finanziaria il mero compito di configurare le condizioni per affrontare ex post la spinosa questione della responsabilità del disavanzo.
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In definitiva, sarebbe auspicabile che il governo centrale sposasse logiche di pay per performance, incentivando così i comportamenti regionali efficienti, efficaci (e di qualità), nonché equi, lasciando alla responsabilità locale l'onere di individuarne le modalità di realizzazione.
 
Efficienza: quali strumenti?
Molte Regioni sperimentano forme di neo-centralismo che secondo i ricercatori del Ceis rappresenta una risposta alla pressione a cui esse sono sottoposte sul versante dell'equilibrio di bilancio. Questo implica che i meccanismi di mercato, pur se considerati utili nel medio-lungo periodo, sono inefficaci nel breve termine.
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In campo farmaceutico, ad esempio, le valutazioni del IV Rapporto Ceis Sanità indicano che se nel Centro-Sud il numero di prescrizioni per medico fosse uguale a quello medio del Nord si avrebbe una diminuzione della spesa farmaceutica totale pari al 4,41%. Le rilevanti differenze regionali sul versante prescrittivo, come anche l'assenza di considerazione per gli aspetti demografici legati al bisogno, suggeriscono che per incentivare l'efficienza le politiche farmaceutiche debbono essere calate nei contesti locali, abbandonando la pretesa di governare il sistema con regole "troppo semplici", come il tetto del 13%.

Un analogo discorso può essere fatto per le politiche di razionalizzazione ospedaliera basate sul taglio dei posti  letto. Una prima banale, ma non scontata, osservazione è che la chiusura dei posti letto non implica necessariamente la riduzione dei costi connessi: quelli relativi al personale prima di tutto, ma ciò vale anche per i costi fissi relativi alle attrezzature etc. La progressiva convergenza verso il tetto dei 4 posti letto per mille abitanti, non riesce però a razionalizzare i parametri di efficienza del settore.
I tassi di ospedalizzazione (standardizzati per l'età) variano regionalmente nell'ordine del 300% (e anche più per il regime diurno e per riabilitazione e lungodegenza); anche le casistiche medie sono molto diverse tra le Regioni: anche di 1,5 volte (in termini di tariffe associate).
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Sempre sul versante ospedaliero, l'analisi dei costi standardizzati per ricovero, giunta alla sua terza revisione annuale, permette di affermare, con sempre maggiore convinzione, che nel sistema ospedaliero italiano esistono problemi significativi sia sul lato del finanziamento che su quello dell'efficienza: i costi per unità omogenea di ricovero, analizzati limitatamente a 96 aziende ospedaliere pubbliche, variano di oltre il 300%, da un minimo di circa  2.000 euro per punto Drg (il Drg è un sistema di classificazione che si basa su raggruppamenti omogenei di diagnosi, traduzione italiana del sistema statunitense Diagnosis Related Groups - n.d.r.) a oltre  6.000; il dato non solo si conferma di anno in anno, ma assistiamo persino ad un progressivo incremento della sua variabilità.
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Si tratta quindi di trovare nuovi strumenti di governo che premino le aziende virtuose e/o penalizzino quelle con performance peggiori, ma anche nuovi assetti istituzionali che permettano a tutte le aziende di approvvigionarsi efficientemente. Oltre a perfezionare (e per le aziende pubbliche: ripristinare) il sistema di pagamento prospettico, appare necessario, come già proposto nel Rapporto Ceis Sanità 2005, integrarlo con la promozione di informative sulle reali performance degli ospedali.
Equità: lo "zoccolo duro" della fragilità
Un sistema sanitario universale che, almeno parzialmente, sacrifica il principio della libertà di scelta dei pazienti, per privilegiare la globale copertura dei bisogni di assistenza sanitaria della popolazione, deve porre molta attenzione, in termini equitativi, all'impatto delle spese sanitarie out of pocket (ovvero quelle sostenute senza copertura assicurativa) sui bilanci delle famiglie. In presenza di risorse pubbliche sempre scarse, almeno se confrontate con la tendenziale crescita dei bisogni, il concetto si rafforza, in quanto risulta necessario governare il processo di razionamento.
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Secondo i ricercatori del Ceis, persiste uno "zoccolo duro" di iniquità sociale, numericamente rappresentato dalle famiglie che si impoveriscono e, almeno in parte, da quelle che sostengono spese "catastrofiche".

Nel triennio 2002-2004 (ultimi dati resi disponibili dall'Istat), tale zoccolo duro è quantitativamente rappresentato da circa l'11% di famiglie povere, a cui si aggiunge l'1,3%, di impoverimento causato da bisogni di salute. In altri termini la salute provoca un aumento di circa il 10% dei poveri "effettivi". A questi si aggiunga oltre il 4% di famiglie che, malgrado siano titolari "sulla carta" di una copertura globale dei propri bisogni sanitari, sostengono direttamente una spesa per assistenza sanitaria che supera la soglia di riferimento proposta dall'Oms, ovvero il 40% della loro capacity to pay.
In termini assoluti il fenomeno è ragguardevole, essendo coinvolti complessivamente oltre 1.200.000 nuclei familiari. L'anzianità è un catalizzatore potente della fragilità: oltre il 60% delle famiglie impoverite contiene anziani: in altri termini, la condizione anziana aumenta del 50% la probabilità di un impoverimento causato da spese sanitarie out of pocket.

Le aree assistenziali che maggiormente contribuiscono al fenomeno sono la farmaceutica e la specialistica per i nuclei più poveri, ma anche l'odontoiatrica e la non autosufficienza per le famiglie che "possono permettersela"
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Dai risultati ottenuti, in particolar modo relativamente alla farmaceutica e alla specialistica, si può peraltro immaginare che l'attuale regime di compartecipazioni/esenzioni non sia ben tarato: è infatti presumibile che il meccanismo della quota fissa per ricetta (non soggetto a esenzione), sia in larga parte responsabile dell'impoverimento nelle fasce più povere. Si aggiunga che l'attuale sistema di esenzione comporta una unica soglia intorno a e 36.000 di reddito familiare, creando una ingiustificabile disparità fra chi è di poco sopra o sotto tale soglia. Sarebbe quindi auspicabile che il settore, proprio per la sua valenza strategica e per il suo impatto sociale, sia monitorato molto più approfonditamente, adeguando allo scopo le rilevazioni statistiche.
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Benefici: come si monitora la performance
Il sistema sanitario ha dei costi rilevanti, ma apporta anche benefici importanti, sia diretti che indiretti. Tali benefici dipendono però strettamente dalle capacità dei singoli sistemi regionali.

Quest'anno il Rapporto Ceis si è concentrato sulle differenze di genere. Si osserva come esista un gap sfavorevole di mortalità per la popolazione delle Donne del Sud e delle Isole (si noti che tale differenziale non si riscontra per gli Uomini). Sia per i tumori della mammella, che per quelli al collo dell'utero, ma anche per quelli del colon-retto, le mediane di morte delle donne del Sud e Isole sono sistematicamente inferiori a quelle delle altre Regioni, ovvero al Sud si muore prima.

Questo differenziale è associato con una tendenza delle donne meridionali ed insulari a non effettuare una buona prevenzione mediante diagnosi precoce; non si può far ricadere interamente sui ritardi del settore pubblico la responsabilità per la bassa adesione ai programmi di screening che caratterizza il Sud, dettata da scorrette abitudini della popolazione femminile: evidentemente il governo del sistema richiede in questi casi interventi mirati sulle popolazioni, capaci di aumentarne l'empowerment.
Utilizzando lo strumento metodologico della mortalità evitabile, si confermano i ragionamenti sopra espressi: il 31,4 % della mortalità è evitabile per le donne e "solo" il 2,3 % per gli uomini.

Un altro modo di valutare la qualità dei nostri servizi può essere quella di analizzare la mobilità internazionale dei pazienti. La mobilità sanitaria intra-europea è spesso considerata assolutamente marginale, laddove invece potrebbe rappresentare, per molte Regioni, uno strumento attraverso il quale sviluppare una sana competitività tra gli operatori sanitari. Il Veneto, in particolare, rappresenta un'eccezione: in tale regione è stato sviluppato un case study che è, forse, il più significativo sia a livello nazionale che europeo. Il Veneto è anche tra le poche Regioni italiane (le altre sono l'Emilia Romagna, il Friuli V.G. e le Province autonome di Trento e Bolzano) che possono vantare un saldo attivo nella compensazione finanziaria della mobilità sanitaria internazionale, grazie anche ad una esplicita organizzazione dell'assistenza ai pazienti stranieri.

"Provocatoriamente" possiamo concludere che il dato sulla mobilità internazionale può rappresentare un buon banco di prova per dimostrare la reale qualità dei sistemi sanitari regionali italiani.
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Le Raccomandazioni del IV Rapporto CEIS Sanità
Di seguito riportiamo, in forma sintetica, i principali risultati del Rapporto e alcune "ricette" (in neretto) proposte dai ricercatori del Ceis per affrontare le criticità:
- La spesa sanitaria italiana cresce più del Pil (che peraltro ristagna da tempo), ma meno velocemente che negli altri paesi europei, rimanendo abbondantemente sotto la media;
- La spesa sanitaria italiana si confronta con un vincolo forte, rappresentato dall'ingente debito pubblico, che non permette una crescita del livello di spesa sanitaria, come quello programmato e in parte realizzato da Blair in UK;
 
Una conseguenza rilevante di ciò è quella di dover stabilire delle priorità: sembra difficile poter procedere in modo indifferenziato, penalizzando egualmente tutte le componenti del sistema.
 
- La spesa pubblica italiana tende a uniformarsi al finanziamento garantito centralmente che, forse non a caso, è strutturalmente inferiore alla spesa, sin dall'esordio del Ssn, in misura però forse inferiore a quanto percepito: in media 0,4 punti percentuali di Pil, che non sposterebbero la posizione dell'Italia in termini di spesa sanitaria;
- L'evoluzione del finanziamento è peraltro scollegata dall'evoluzione dei costi del sistema (in primo luogo quelli del personale) a dimostrare un carenza di programmazione;
- La Finanziaria 2007 prevede un incremento rilevante del finanziamento, che potrebbe ridurre il gap, anche se non completamente, sempre che le manovre di rientro regionali siano efficaci;
- La manovra prevede misure di responsabilità dei cittadini, condivisibili in via di principio, ma con effetti equitativi discutibili per effetto dell'introduzione di ticket in cifra fissa;
- Quello che è più discutibile è l'assetto istituzionale sotteso alla manovra, che configura una sorta di "Federalismo immaturo": si chiede alla Finanziaria per un verso di omologare scelte regionali già fatte (dalle Regioni più virtuose), e per l'altro di "imporre" dall'alto scelte difficili o impopolari (prevalentemente alle Regioni più in difficoltà);
 
Le funzioni strettamente centrali, quali il monitoraggio della qualità dell'assistenza e il rispetto dei diritti sono, in larga misura, rimandate ad altra norma: sarebbe però auspicabile non scollegarle dalla Finanziaria, poiché in questo caso gli interventi sarebbero sicuramente meno cogenti.
 
- I recuperi di efficienza rimangono sostanzialmente "scatole nere", affidate alle Regioni, ma con poche prospettive di una responsabilizzazione effettiva a causa dell'incompiutezza del Federalismo fiscale;
- Si preannuncia l'annoso problema della attribuzione delle responsabilità dei disavanzi (ad esempio se il gettito dei ticket sarà inferiore a quanto previsto), con il conseguente allungamento dei tempi di pagamento dei creditori;
 
L'esperienza internazionale mostra che anche la gestione del disavanzo è un problema di governo e che è inefficiente sommare al fallimento programmatorio i costi impliciti derivanti dall'allungamento dei tempi di pagamento.
 
- La spesa pubblica ha un effetto moltiplicatore sulla spesa totale (pubblica più privata), attribuibile a meccanismi di duplicazione dei servizi;
- Anche la composizione fra quota a gestione diretta e quota a gestione accreditata non appare neutrale; (solo) nel Centro-Sud si evidenzia una programmazione inefficiente del rapporto pubblico-privato, con induzione di costi impropri;
- Ovviamente la spesa cresce anche per effetto dello sviluppo economico e dell'invecchiamento;
- Complessivamente la spesa sanitaria totale dovrebbe attestarsi nel 2007 intorno all'8,5% del Pil, con un rilevante incremento della quota pubblica; la spesa privata diminuirebbe solo leggermente, a causa dell'effetto dei maggiori ticket;
- Il passaggio dal controllo della spesa a quello della razionalizzazione del sistema, richiede la separazione dell'intreccio fra elementi finanziari e di efficienza: la pressione a ottenere risparmi nel più breve tempo possibile, spiega i fenomeni di neo-centralismo, ma manca una evidenza nel medio-lungo  periodo sull'efficienza degli assetti istituzionali che si creano;
- Le politiche settoriali basate su programmazioni "generiche" sembrano foriere di risultati limitati, quando non distorti: è il caso del tetto unico alla farmaceutica e delle indicazioni sulla riduzione dei posti letto, che tra l'altro non implica necessariamente riduzione dei costi;
- Il problema della farmaceutica sembra essenzialmente essere quello della inappropriata prescrizione, specialmente nel Centro-Sud; analogamente per l'ospedaliera permangono livelli abnormemente difformi di ricorso al ricovero, a cui si sovrappongono politiche tariffarie centrate più sull'obiettivo del "risparmio" finanziario a breve termine, che non su quello della qualità dei servizi;
- Inoltre, l'ospedale non può razionalizzarsi se non si sviluppa una assistenza primaria adeguata: in questo settore malgrado una tendenza a legare gli incentivi agli outcome, ancora stenta ad affermarsi un modello efficace di presa in carico;
 
In questi settori è necessario sviluppare modelli e benchmark che tengano conto dei reali bisogni della popolazione, contrastando l'inappropriatezza e promuovendo qualità, in una logica di pay per performance.
 
- A livello aziendale cresce l'attenzione per l'analisi dei processi, anche se ancora non si configura un sistema coordinato di gestione capace di sfruttare tali informazioni a livello strategico; si configura un sistema manageriale ibrido, ove budget e balanced scorecard convergono, anche se spesso con funzioni più comunicative che gestionali;
- Cresce anche l'importanza della razionalizzazione degli acquisti, ove va chiarito il ruolo di servizio di Consip, alla luce del proliferare dei modelli regionali delle centrali di acquisto;
- Un elemento critico di razionalizzazione è rappresentato poi dall'aspetto organizzativo: in questo campo si evidenzia il rischio di avere innovazioni più formali che sostanziali, ovvero di ricadere in una logica giuridico-formale;
- In presenza di chiare indicazioni sulle necessità di razionalizzazione a livello macro (si pensi alla separazione fra purchaser e provider), e anche a livello micro (acquisti, personale, etc), spesso le indicazioni normative si concentrano invece nell'area di mezzo (interventi sulla "ospedaliera", sulla "specialistica", etc), ovvero quella identificata da una tipologia di offerta, in una logica tipicamente autoreferenziale;
 
Nuovi modelli organizzativi e logiche di razionalizzazione dovrebbero spostarsi sulla domanda, scegliendo le opzioni più efficienti e appropriate (in una logica evidence based) per fronteggiare i bisogni espressi dai vari gruppi di popolazione: donne, anziani, cronici, etc.
 
- Dal punto di vista dell'equità va affrontato lo zoccolo duro rappresentato dai poveri, dagli impoveriti e anche da una parte delle famiglie soggette a pagamenti catastrofici: il loro numero è sostanzialmente stabile a dimostrare l'inefficacia degli interventi sin qui messi in atto;
- I ticket in cifra fissa hanno un effetto tendenzialmente iniquo, specie per le fasce di popolazione più povere;
- L'età anziana è un catalizzatore di rischio di impoverimento molto forte;
- Odontoiatria e non autosufficienza sono le aree scoperte a maggiore rischio per le famiglie;
- Esistono anche iniquità di accesso, nel senso di un uso differente e potenzialmente inappropriato dei servizi a seconda dello stato socio-economico;
 
Quanto sopra porta a giudicare prioritaria una rivisitazione complessiva del meccanismo delle esenzioni legandole alla capacity to pay delle famiglie; inoltre esiste evidenza che l'attuale sistema di riparto regionale delle risorse, che identifica nell'età l'unico sostanziale fattore di fabbisogno, vada ripensato, alla luce dell'effetto della condizione socio-economica sull'utilizzo e anche del diverso impatto regionale delle compartecipazioni; il persistere di una quota rilevante di spesa out of pocket incentiva alla ricerca di soluzioni assicurative integrative: si evidenzia la necessità di utilizzare sistemi di incentivazione mirati, sia sul versante reddituale (per permettere di ampliare in modo solidale la platea dei sottoscrittori), sia su quello delle coperture previste, onde evitare un ruolo meramente duplicativo delle polizze.
 
- Il sistema ancora soffre di aree di carenza di intervento: citiamo quest'anno il gap negativo di mortalità che grava sulle donne del Sud e Isole, in particolare nell'area dei tumori soggetti a screening nazionale; la disparità di genere è confermata dalla concentrazione della mortalità evitabile in capo alle donne;
 
A parte i ritardi delle aziende sanitarie meridionali, si evidenzia anche la necessità di un forte impegno per modificare abitudini e stili di vita a rischio, in particolare fra le donne meridionali.
 
- L'Italia ha una mobilità sanitaria internazionale passiva, tranne che in poche e selezionate Regioni; la sfida di offrire servizi anche all'estero, ribaltando questo dato, è un buon banco di prova sulla capacità di dare servizi di qualità;
- Infine non si possono dimenticare i benefici indiretti, in termini di valore aggiunto, ricerca, coesione sociale, capitale umano, creati dal settore sanitario; peraltro si evidenzia, anche in questo campo, una correlazione positiva fra dimensione media di impresa e saldo della bilancia dei pagamenti, suggerendo l'urgenza di una politica industriale nel settore;
 
Politica di sviluppo industriale e politiche di contenimento dei costi dovrebbero coniugarsi, ad esempio garantendo una sorta di stabilità regolatoria che è necessaria all'industria per fiorire.
Venerdì, 12. Gennaio 2007
 

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