Il Libro Verde del Ministro Sacconi La vita buona nella società attiva merita di essere preso sul serio. Quandanche si fosse convinti che si tratta di unoperazione di pura facciata, manifesto scadente di unideologia piccola piccola, privo di un supporto analitico appena presentabile, desolante nella pochezza delle proposte politiche, vi sarebbero pur sempre alcune ottime ragioni, per le forze politiche di opposizione, per prenderlo in esame con attenzione.
Vi è poi qualche ragione di sostanza. Alcuni dei principi generali che vi sono enunciati sono assolutamente condivisibili: in materia di salute, meglio puntare sulla prevenzione; quanto al lavoro, si deve mirare alla qualità: un lavoro di buona qualità aiuta anche la salute, così come essere in buona salute aiuta a trovare lavoro; nella regolazione del lavoro si deve lasciare più spazio alla contrattazione tra le parti. Si potrebbe obiettare che sarebbe calzante la citazione, ormai classica, del Catalano di Quelli della Notte. Ma per restare in tema, meglio qualche catalanata dello spettacolo offerto dallUnione (!), di un dissidio infinito su abrogare o superare? (dedicato a normette di dettaglio), nellassenza di proposte su queste materie, magari banali e scontate, nel pur corposo programma di governo.
Eppure non si può immaginare un diverso futuro politico per questo paese senza fare i conti con lintrico di nodi irrisolti che si sono accumulati negli anni sulle questioni lavoro e welfare. Non si possono eludere le scelte che incombono, sempre più urgenti, con il loro carico di significati, anche simbolici. Il dibattito pubblico sul Libro Verde di Sacconi è unoccasione per farlo.
Può poi avere qualche utilità, sul terreno della denuncia, partire dal Libro Verde per fornire ulteriori elementi per una lettura meno contingente e meno ristretta dellideologia italiana al potere e del modus operandi di questo governo: i proclami e i richiami forti alletica, a principi morali generici e difficilmente contestabili (le catalanate di questo Libro Verde hanno lo stesso ruolo delle radici cristiane evocate da Tremonti), servono a dare una veste alta al populismo, intriso invece di esaltazione dei bassi istinti, mentre prevalgono autoritarismo, darwinismo sociale e asservimento della politica e del bene pubblico allinteresse privato.
Giusta dunque unopera di denuncia, anche più generale e più complessiva. Ma non ci si può limitare a questa. Chi ha un lavoro precario e non riesce a vedere un futuro davanti a sé, chi rischia di vedersi assottigliare quel po di pensione messa da parte con anni di contributi con il pretesto di uno squilibrio finanziario non sostenibile, o di vedersi negare cure indispensabili per un ritorno al passato in campo sanitario, vuole sapere se ci sono soluzioni alternative, quali sono e chi si impegna a metterle in campo. Questo il compito che lopposizione ha davanti. Senza avere la pretesa di sopperire a questa incombenza, tanto per dare unidea, si possono passare in rassegna a volo duccello le questioni che il Libro Verde solleva.
Quanto alle pensioni, si può dire che vi sia unampia area di condivisione attorno allagenda dei problemi da affrontare, accompagnata peraltro da una notevole chiarezza di analisi sullo stato di fatto. Viceversa, con sorprendente disinvoltura, vengono proposte considerazioni politiche che vanno in tuttaltra direzione, smentendo oltre tutto quei pochi dati che pure vengono forniti. Unica proposta (definita come un semplice accenno), linnalzamento delletà pensionabile. Viene assunto come presupposto, scontato, che la spesa sia destinata a un profondo squilibrio, che le riforme di Prodi non abbiano efficacia e che il costo del sistema pensionistico comprima le altri voci del welfare, ma gli stessi dati forniti dimostrano tutto il contrario: la stabilità della spesa al 2050 senza pregiudizio per la sostenibilità della spesa sanitaria. Sui veri problemi - declino del tasso di sostituzione per le carriere discontinue, sempre più diffuse per le giovani generazioni, e quindi problema di solidarietà intergenerazionale, basso tasso di occupazione delle fasce anziane, ristrettezza della base contributiva per il basso tasso di occupazione, peso della spesa per assistenza (pensioni sociali, integrate al minimo, di invalidità) sul sistema previdenziale, squilibri settoriali tra contributi e prestazioni, che determinano una solidarietà alla rovescia, di chi ha di meno a favore di chi ha più privilegi neanche una parola.
Resterebbe il lavoro. La parola dordine è liberare lazienda dai vincoli giuridici (si intende, al licenziamento). Film già visto. Quanto ai servizi per limpiego, visto che continua a prevalere il reclutamento attraverso canali informali e che il privato non è riuscito a decollare, proviamo ad abolire qualunque regola e superiamo il sistema autorizzatorio. Come se il problema non fosse proprio lincapacità di contrastare, anche sul piano dellefficienza economica, una cultura del fai da te che ha reso il nostro mercato del lavoro un Far West inefficiente e costoso per chi cerca lavoro ma anche, in definitiva, per chi deve reclutare. Ma mettere mano a questo compito richiederebbe un indirizzo di fondo che sembra provocare lorticaria a questo governo: ricostruire un ruolo guida del sistema pubblico, e un quadro di indirizzi unitario, nazionale, per un sistema fortemente decentrato. Invece, la prospettiva del federalismo è lalibi per non affrontare questi nodi spinosi. Cambierà la governance, altri se ne occuperanno: a palazzo Chigi non sono queste le priorità