Rosy Bindi: La destra distrugge la sanità pubblica

Intervista all'ex ministro: 'Bisogna aumentare le risorse ma soprattutto spenderle meglio'

"Le risorse destinate alla sanità sono troppo poche. L'Ulivo, nel suo programma, propone di aumentarle fino ad arrivare al 7% del Pil". Rosy Bindi, ex ministro della Sanità e oggi deputato ulivista, in questa fase in cui non si fa che parlare di tagli e mutue aggiuntive, non sembra preoccuparsi di andare contro corrente.

Che cosa vuol dire questo in soldoni?

"Una cifra che si aggira intorno ai 25.000 miliardi in più di adesso. D'altronde l'ha detto anche l'attuale ministro, Girolamo Sirchia, che i soldi non bastano. Poi, naturalmente, pensiamo a soluzioni completamente diverse..."

Si riferisce alla proposta di mutue integrative o addirittura sostitutive del Sistema sanitario nazionale per gli anziani non autosufficienti o i malati che necessitano di particolari forme di assistenza? Ma questa idea non è già morta e sepolta?

"Non credo che quel progetto sia completamente rientrato. Del resto, se Sirchia dice che mancano 20.000 miliardi si lega le mani da solo: per trovarli o propone un aumento delle tasse, cosa che il centro-destra non vuol fare, oppure va avanti con l'idea di far uscire dal sistema universalistico le fasce con maggiori bisogni sanitari, e poi chi può si paga un'assicurazione".

C'è da dire, però, che fino ad oggi questi tipi di assistenza sono stati gestiti malissimo dal Sistema sanitario nazionale, in modo assolutamente insufficiente.

"E' vero, è sempre stata carente, ma la situazione ora è stata aggravata da un anno di assenza di qualsiasi politica sanitaria. La volontà politica di questa maggioranza si è espressa chiaramente in una sola cosa: nel non voler assolutamente applicare le riforme dei governi di centro-sinistra. Nel caso specifico, non è stato finanziato il Fondo sociale per la non autosufficienza.  Ma non è questo il solo caso. La riforma che avevamo varato prendeva in esame i servizi sociali cosiddetti "ad alto contenuto sanitario" (per esempio quelli per gli anziani, o per i malati di mente) e questa parte veniva considerata un "livello essenziale di assistenza", quindi a carico del Sistema sanitario. Questo governo sta tagliando i livelli essenziali semplicemente non finanziandoli. Un altro esempio è proprio il campo della salute mentale: oggi le case di accoglienza chiedono rette elevate, che restano in buona parte a carico delle famiglie. Ma bisogna considerare anche la forte riduzione dei finanziamenti ai Comuni, dato che anche quelli servivano in gran parte per la spesa sociale".

Non è d'accordo neanche sulla chiusura dei piccoli ospedali?

"Il fatto in sé non mi scandalizza affatto: la chiusura dei piccoli ospedali può essere necessaria per razionalizzare la spesa. Il problema è come la si fa. Come mai in Puglia c'è una vera e propria rivolta, mentre in Emilia e in Toscana la stessa operazione è stata fatta da un pezzo senza sollevare nessuna protesta? La risposta è semplice: in queste regioni si è agito all'interno di un quadro di programmazione, prima di chiudere sono stati potenziati altri servizi (come l'assistenza domiciliare, l'attività delle Asl, la specializzazione di altri ospedali, ecc.). Senza questo, chiudere è solo un modo di tagliare, invece che significare razionalizzazione, accorpamento, riconversione. Insomma, bisogna spendere di più, ma non basta: bisogna anche spendere diversamente".

Su questo, comunque, il ministro può fare poco. La gestione della sanità non è stata devoluta alle Regioni?

"Sì, e infatti la prima differenza che si può fare è tra le Regioni governate dal centro-destra e quelle guidate dal centro-sinistra. Queste ultime (con l'eccezione della Campania e, ma in piccola misura, delle Marche) hanno i conti a posto. Le altre invece no, a cominciare dal Lazio che ha il deficit più alto".

Ma nel Lazio fino a poco fa c'è stato il centro-sinistra.

"E' vero, ma nell'ultimo anno il deficit è aumentato di mille miliardi. Dopo il Lazio, come ho detto, la Regione con i conti peggiori è la Campania, ma poi vengono tutte quelle del centro-destra: Puglia, Veneto, Piemonte, Lombardia..."

La Lombardia è la Regione che ha spinto di più sul pedale dell'autonomia, dando al sistema caratteristiche molto diverse dal passato. Come giudica i risultati?

"La Lombardia ha cercato di dar vita a un modello alternativo, ma viaggia verso il disastro. Ha aperto completamente il sistema ai privati, moltiplicando l'offerta ma senza educare la domanda. Il risultato è una diminuzione e dequalificazione dei servizi pubblici e un aumento della spesa, a cui non si riesce a tener dietro. Se stanno cominciando ad accorgere un certo numero di operatori privati, quelli meno importanti, che iniziano a registrare ritardi nei pagamenti da parte della Regione. Quando si affida la salute al mercato, a svilupparsi non sono i servizi più necessari, ma quelli che danno più profitti. E comunque hanno forzato il con concetto di autonomia, sono andati troppo oltre".

Perché troppo oltre? Con la riforma del titolo V della Costituzione (la cosiddetta "riforma federalista") lo Stato, in varie materie tra cui la sanità, ha solo il compito di indicare il quadro generale e le Regioni possono poi applicarli come vogliono. Il quadro generale, in questo caso specifico, non è costituito solo dalla definizione dei "livelli essenziali di assistenza"?

"No, questo è quello che si propone il progetto Bossi. Oggi lo Stato stabilisce anche quali debbano essere i principi in base ai quali deve funzionare il sistema - ed è appunto questa potestà che Bossi vuole eliminare - e la Lombardia li ha sconvolti, tanto che ci sarebbero stati gli estremi per un ricorso alla Corte costituzionale".

E perché non lo avete fatto? Avete intenzione di farlo?

"No, credo che ormai non ce ne sia più bisogno: la battaglia si sta vincendo sul piano politico. Non è un caso che il centro sinistra sia avanzato nelle ultime amministrative, io credo che il motivo più importante sia stato proprio il problema della sanità. La situazione sta per esplodere".

Lunedì, 16. Settembre 2002
 

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