Per riprendere il cammino dell'unità sindacale

Gino Giugni, Aris Accornero, Vittorio Angiolini, Piero Boni, Lorenzo Cantù, Mimmo Carrieri, Gianprimo Cella, Piero Craveri, Vittorio Foa, Ermanno Gorrieri, Donata Gottardi, Pietro Larizza, Bruno Manghi, Mario Napoli, Alessandro Pizzorno, Ida Regalia, Marino Regini, Umberto Romagnoli

Le profonde trasformazioni sociali avvenute negli ultimi anni, con la crisi del vecchio modello industriale, con la rivoluzione informatica e con la diffusione del lavoro flessibile, aprono in forme del tutto nuove un problema di tutela del lavoro e di ridefinizione dei diritti sociali per contrastare le tendenze alla precarizzazione. In questo scenario si ripresenta con forza il problema degli strumenti della rappresentanza sociale.
Per governare i processi di innovazione, secondo una logica dettata non solo dal mercato ma dall’obiettivo della coesione sociale e del consolidamento dei diritti, nel nuovo quadro costituzionale dell’Unione Europea, c’è oggi più che mai la necessità di un sindacalismo confederale forte e unitario, capace di svolgere con autorevolezza la sua funzione di soggetto rappresentativo del variegato mondo dei lavori, senza essere trascinato sul terreno improprio delle appartenenze politiche e delle loro contrapposizioni.

Per questo guardiamo con grande preoccupazione allo stato attuale delle relazioni sindacali, alle gravi rotture che si sono determinate, alla spirale negativa che produce, non più come eccezione ma talvolta come regola, accordi separati, piattaforme separate, iniziative delle singole organizzazioni, rischiando così di determinare una spaccatura verticale non solo nei gruppi dirigenti, ma nello stesso corpo sociale del sindacato.

Non crediamo affatto che si tratti di una situazione obbligata, di un dissenso strategico non componibile. Riteniamo al contrario che sia urgente una iniziativa per esplorare concretamente tutte le possibili vie di ripresa dell’unità sindacale. È una necessità sociale, prima ancora che politica. Anche se non ci sfuggono gli evidenti risvolti politici, il problema che poniamo come prioritario è quello della rappresentanza sociale, nella sua autonomia, per poter reggere il difficile scontro che si è aperto in tutte le moderne società industriali.

Il movimento sindacale ha una grande responsabilità di fronte ai lavoratori, ai loro vecchi e nuovi bisogni di tutela, al loro destino nell’epoca della competizione globale, e non può affrontare queste nuove sfide se non ritrova la strada di una tenace ricerca unitaria. Le differenze di valutazione e di proposte, che pure sono reali e toccano questioni non secondarie, non escludono, in via di principio, la possibile ricerca di una mediazione e di una intesa, perché si tratta di differenze che sono interne al medesimo campo sociale.

Senza chiedere a nessuno una abiura delle posizioni e delle scelte fin qui assunte, e riconoscendo la loro piena legittimità, si tratta ora di compiere alcuni passi concreti e realistici per recuperare la necessaria unità di azione. Non c’è bisogno oggi di appelli retorici per l’unità, ma di un paziente lavoro di ricostruzione, puntando a risultati anche parziali, ma concreti ed immediatamente efficaci.

Non sta a noi indicare le soluzioni, le risposte, le quali potranno solo essere il risultato di una rinnovata dialettica unitaria. Noi suggeriamo solo un metodo: il metodo del confronto e della mediazione, partendo dalla comune assunzione dell’autonomia del soggetto sindacale, il cui compito non è quello di fiancheggiare questa o quella ipotesi politica, ma di rappresentare i bisogni comuni di un mondo del lavoro sempre più articolato e differenziato.

In particolare, ci sembra che questo confronto si possa utilmente concentrare su tre nodi strategici.

Il primo è quello della rappresentanza dei nuovi soggetti sociali, delle nuove forme di organizzazione e delle politiche rivendicative che debbono essere attivate per incontrare le nuove forme del lavoro flessibile, parasubordinato, precario. Se questo sforzo viene fatto unitariamente, con una strategia condivisa, sarà tanto più efficace e produttivo di risultati.

Il secondo tema è quello della concertazione, dopo che il grande risultato ottenuto con l’accordo del ’93 è stato rimesso in discussione su iniziativa del governo e di alcuni settori imprenditoriali. Il sindacato confederale non può assistere passivamente alla fine della concertazione, perché ciò significa un drastico ridimensionamento del suo ruolo e della sua possibilità di incidere sui grandi indirizzi della politica economica nazionale.

Infine, ed è questo il punto cruciale, occorre un accordo sulle regole, sulle procedure, sui meccanismi decisionali, anche per poter dirimere democraticamente, senza rotture e senza atti unilaterali, i momenti di dissenso tra le organizzazioni sindacali. Ciò può essere realizzato, nelle attuali condizioni politiche, con la definizione di un codice di autoregolamentazione, che potrebbe costituire la base su cui pensare in futuro anche ad una legislazione di sostegno.

Le diverse concezioni della democrazia sindacale, che hanno costituito storicamente le diverse identità delle tre confederazioni, possono trovare un loro punto di equilibrio, anche tenendo conto del fatto che quelle concezioni sono state spesso solo rappresentazioni teoriche e culturali, mentre nella pratica effettiva si è sempre trovato, quando c’era una comune volontà politica, un terreno unitario per il confronto delle posizioni e per la verifica del consenso. Dopo l’accordo sulle RSU, al di là dei limiti della sua applicazione, disponiamo oggi di una vasta rete rappresentativa e unitaria, che può giocare un ruolo importante nella definizione di un sistema di democrazia sindacale, superando gli estremi di una democrazia solo associativa o solo referendaria. Sono temi su cui lavorare.

Noi chiediamo alle organizzazioni sindacali di avviare questo confronto, senza pregiudiziali e senza diffidenze, con spirito aperto e costruttivo. Un incontro su questi temi potrebbe svolgersi in una grande realtà territoriale come Milano, epicentro della vita economica del paese e delle sue trasformazioni, dove il sindacato ha una forte tradizione di autonomia.

Proprio a Milano, dopo un primo momento di forte divisione tra le tre confederazioni, in occasione del Patto proposto dall’amministrazione comunale, c’è stata la possibilità di superare la rottura e di riannodare i rapporti di collaborazione e di reciproco rispetto, e sembrano esserci oggi le condizioni per un ulteriore rafforzamento della prospettiva unitaria. Per questo può essere utile un confronto con i gruppi dirigenti del sindacato milanese, per un’analisi della situazione e per una comune assunzione di responsabilità. Se partiamo dai problemi reali del mondo del lavoro, l’unità sindacale diventa una possibilità e una necessità.

Dovrebbe prevalere, rispetto ad ogni altra esigenza, la responsabilità verso i lavoratori, e quindi il senso della misura e la capacità di ricondurre sempre anche le posizioni diverse entro il quadro di una iniziativa comune. A questa prospettiva unitaria continuiamo a dedicare il nostro impegno, ritenendo che si tratti di un problema attuale e urgente, dalla cui soluzione dipende gran parte dell’evoluzione civile e politica del paese. Spetta ai gruppi dirigenti del sindacato, ai diversi livelli, trovare le risposte e le soluzioni possibili di politica sindacale, e avviare, dopo una difficile fase di divisione, un nuovo ciclo dell’esperienza unitaria, nell’interesse del paese e nell’interesse dei lavoratori.


Gino Giugni, Aris Accornero, Vittorio Angiolini, Piero Boni, Lorenzo Cantù, Mimmo Carrieri, Gianprimo Cella, Piero Craveri, Vittorio Foa, Ermanno Gorrieri, Donata Gottardi, Pietro Larizza, Bruno Manghi, Mario Napoli, Alessandro Pizzorno, Ida Regalia, Marino Regini, Umberto Romagnoli

Venerdì, 14. Marzo 2003
 

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