Rinnovabili, non date retta alle lobby

Quella sull’aggravio dei costi in bolletta che sarebbe provocato dall’energia “verde” è un’accusa scorretta, che non tiene conto di una serie di fattori. Per di più sarebbe davvero paradossale frenare uno dei pochissimi settori che “tirano”, creano occupazione e sviluppano la ricerca

L'apparente ripetitività dei miei interventi sulla "green economy" trova giustificazione nel dibattito in corso, che vede schierati da una parte poderosi gruppi economici (Eni, Enel, etc.) e dall'altra i Verdi e Legambiente. I consumatori tramite le loro associazioni, sembrano caduti nella trappola delle bollette (di cui avevo parlato in precedenti articoli e sulla quale ritorneremo) mentre il governo sembra fare un po' il pesce in barile. L'occasione del dibattito è paradossale: un successo viene trasformato in una colpa. Ancora una volta gli interessi di grandi gruppi economico-finanziari, a breve termine, tentano di prevalere su quelli della collettività, a medio e lungo termine.

    

Di fronte alla pubblicazione dei dati significativi di Legambiente sullo sviluppo territoriale delle rinnovabili in Italia, mi sarei attesa titoli entusiastici a cinque colonne; al contrario sembra quasi che le critiche prevalgano sulla soddisfazione per avere superato i traguardi di Kyoto, almeno in qualche campo. Ciò è tanto più stupefacente in quanto i dati confermano il fatto che le nuove forme di energia non sono soltanto un fattore di lotta all'inquinamento, e cioè l'ampliamento di quelle quote non immediatamente monetizzabili del Pil che si traducono in incrementi degli indicatori di benessere, ma anche uno strumento di sviluppo e di occupazione.

    

Esamineremo: a) i dati più importanti che emergono dal Rapporto 2012 di Legambiente (Comuni Rinnovabili 2012, marzo 2012); b) le prospettive di sviluppo ulteriore, anche alla luce dei nuovi orientamenti della politica degli incentivi; c) concluderemo con osservazioni e proposte che dovrebbero costituire oggetto di dibattito meno superficiale o pilotato nei settori più sensibili della pubblica opinione. Potrei anticipare che l'obiezione secondo la quale sotto questi chiari di luna vi sarebbero ben altre priorità apparirebbe priva di valore se si dimostrasse, come sembrano rivelare i dati, che nelle nuove forme di energia si può trovare la chiave di uno sviluppo e di un'occupazione ben maggiori di quanto previsto.

    

Chiuderei questa premessa con una considerazione. E' vero che il progresso delle rinnovabili è stato facilitato da incentivi dei vari governi, ma è altrettanto vero che un ruolo decisivo è stato svolto da Legambiente, e cioè da uno di quei corpi intermedi di rappresentanza che nell'infiacchimento per varie cause della classe politica svolgono un positivo ruolo di supplenza. L'eroica ostinazione nel battersi per una visione della società anche contro interessi potenti e consolidati può dare frutti straordinari. Il paese dovrebbe essere riconoscente a questi pionieri di un futuro migliore (come quelli del Fai) che rappresentano le avanguardie di forze economiche e sociali che tendono a compensare la stanchezza di una declinante rivoluzione industriale.

    

Rinviamo il lettore per approfondimenti al Rapporto di Legambiente, nonchè al recentissimo Dossier (IREX Annual Report 2012) dell'Istituto Althesys che ipotizza al 2030 in termini di costi/benefici un vantaggio netto delle rinnovabili tra i 22 e i 38 miliardi di euro. Con un'avvertenza: programmare va bene, ma con proiezioni ventennali si rischia di deragliare. Ci avevano rinunciato persino gli stalinisti; le fanno ancora i cinesi, ma solo perchè in realtà non ci credono neppure loro. Le sorprese tecnologiche e i mutamenti politici e amministrativi rendono questi calcoli fantascientifici.

 
Riportiamo alcuni dati più significativi della Relazione di Legambiente. Per quanto concerne la diffusione territoriale, i Comuni con almeno un impianto di energie rinnovabili sono quasi 8.000 (il 95%) contro i 3.200 del 2008. La diffusione di energie di questo tipo riguarda tutte le fonti, dal solare (termico, fotovoltaico) alla geotermia ad alta e bassa entalpia, alle biomasse, alla cogenerazione applicata al ciclo dei rifiuti, alle piccole centraline idroelettriche. Il peso del settore rispetto al totale dei consumi di energia elettrica è salito al 27%. Analizzando il peso delle singole tipologie troviamo il 14,7% per l'idroelettrico (ma il grosso è costituito da quello già noto, perchè le mini-centrali stanno decollando solo ora); il 3,2% per l'eolico; il 3,4% per il fotovoltaico; il 3,5% per le biomasse e l'1,8% per la geotermia. Aumenta il numero dei Comuni in cui le rinnovabili garantiscono il 100% dei consumi di energia elettrica (2.068) o anche i fabbisogni termici (27). E' importante tener presente che i consumi sono riferiti alle famiglie; non sono compresi quelli per i trasporti o per le industrie energivore, che sono soddisfatti dalle forniture elettriche tradizionali. Nelle fasi di picco, la produzione supera il fabbisogno e i Comuni vendono energia alla rete. Le Province che coprono con le rinnovabili i fabbisogni elettrici delle famiglie sono 56.

 

Le prospettive di sviluppo appaiono promettenti, partendo da una piattaforma occupazionale che è già di 100.000 unità. Vorrei ora focalizzare i seguenti problemi: ruolo degli incentivi e costo per l'utenza; importanza di produrre energia a livello territoriale; prospettive di ulteriore incremento non solo sulle rinnovabili di nuovo tipo, ma anche su quelle da tempo note.

    

Sulla politica degli incentivi Legambiente auspica un pronto varo dei decreti governativi con agevolazioni decrescenti man mano che che si avvicina il livello di economicità. Su questa tesi concordo. L'impostazione governativa sembrerebbe quella di attenuare gli incentivi al fotovoltaico privilegiando quelli per biomasse e biogas, che risolverebbero anche il problema di garantire un reddito addizionale agli agricoltori, nonchè quello del ciclo dei rifiuti. E' importante però favorire la creazione di una filiera italiana di produzione dei pannelli, sia per ridurre la pericolosità in fase di manutenzione, sia perchè i ricercatori italiani stanno producendo innovazioni spettacolari con l'impiego di nanotecnologie.

    

Tuttavia proprio su questo punto occorrerà un attento monitoraggio ed una ben articolata programmazione. Vi è un problema che forse è stato trascurato. Le tecnologie non avanzano con lo stesso ritmo nelle varie filiere. Verrà dunque il momento in cui alcuni settori potrebbero produrre le cosiddette innovazioni strategiche, con effetti di sostituzione nei confronti di quelli che marciano più lentamente. In questa eventualità non sembra opportuno ai fini dell'efficienza globale del sistema che gli incentivi concessi ai settori di coda rallentino la velocità di sostituzione rispetto a quelli di punta. Buoni risultati potrebbe fornire, inoltre, il "revamping" delle ormai secolari grandi centrali idroelettriche. Un argomento da sfatare è quello secondo il quale i vantaggi delle rinnovabili per il consumatore finale sarebbero effimeri, perché il relativo costo gli viene addebitato in bolletta. Non è certamente così. Gli incentivi rappresentano un ristorno solo parziale dei ben più consistenti vantaggi della riduzione degli inquinamenti (costi sanitari ed ambientali) e dall'autoproduzione territoriale, con abbattimento radicale dei costi di installazione e manutenzione delle reti di trasmissione dell'energia. Questi costi ricadono sulla collettività, tramite la pressione fiscale.

 

Questo nuovo modo di produrre energia ha un importante risvolto di carattere politico. Si tratta, infatti, di valorizzare iniziative a livello territoriale: una sorta di federalismo autoctono e non calato dall'alto. Inoltre le nuove energie stanno dando una sferzata anche al Mezzogiorno. Troviamo all'avanguardia, nel solare e nell'eolico, due regioni meridionali, come la Puglia e la Sicilia. Occorre ancora vincere resistenze di tipo Nimby (“non nel mio cortile”), talora supportate da argomentazioni ridicole. Ad esempio, è vero che i grandi campi eolici sono rumorosi e vanno quindi collocati off-shore o lungi dai centri abitati, ma certamente gli uccelli migratori non sono così sprovveduti da non saperli evitare, come fanno da oltre un secolo per le reti elettriche.

 

Le prospettive di sviluppo sembrano ottime, secondo Legambiente, con una ricaduta occupazionale di 250.000 unità, più 600.000 nell'indotto. Occupazione qualificata si può inoltre creare nelle fasi di ricerca e di produzione degli impianti, soprattutto se la filiera italiana subentrerà a quella cinese nella produzione di pannelli.

     

Nel campo dell'edilizia, inoltre, si profilano direttrici di sviluppo di grandi dimensioni, accompagnate da ulteriori innovazioni, come tegole a doppio utilizzo (fotovoltaico e termico), vetri speciali, reti intelligenti e balzi in avanti del solare a concentrazione per usi industriali. Le nuove forme di energia ben si collocherebbero nel Piano Casa, proposto dall'ANCI, per un recupero edilizio dei centri urbani.

    

Nel giro di pochi anni le rinnovabili potranno ridurre il costo dell'energia senza incentivi; ciò si verifica già per i campi eolici off-shore del Mare del Nord. Contemporaneamente i costi di estrazione di gas, petrolio e carbone vanno crescendo. Si pensi che il giacimento gigante di gas scoperto dall'Eni al largo del Mozambico richiede perforazioni di 5 chilometri sotto il fondo del mare, con un costo di investimento di 50 miliardi di euro.

    

Ritornando alle scelte politiche fondamentali in materia di incentivi, mentre gran parte dei settori industriali è in stagnazione rallentare quello in sviluppo parrebbe paradossale. E' vero che il costo dei disoccupati e degli inoccupati non figura nelle bollette, ma nei bilanci delle famiglie, sì.

Venerdì, 6. Aprile 2012
 

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