Reddito di cittadinanza, non sparate sul governo

Come funziona e un’analisi dei pro e dei contro: Ci sono sia gli uni che gli altri, ma non si può bocciare senza appello una misura che allevierà le condizioni di un numero elevato di persone, da 2,7 milioni (stima Istat) a 3,6 (secondo l’Upb). Il confronto con gli impieghi alternativi e le ipotesi sui moltiplicatori fiscali, che potrebbero essere migliori di quelli dichiarati dall’esecutivo

L’introduzione del Reddito di cittadinanza nel sistema di welfare italiano è stato fortemente voluto dal Movimento cinque stelle ora al governo insieme alla Lega, ed è stato un cavallo di battaglia della campagna elettorale che lo ha portato a un forte successo, con il 32% dei voti nelle elezioni dello scorso anno. Nonostante il nome, si tratta di una misura non universale, ma condizionata a documentate condizioni di disagio economico del nucleo familiare ed alla disponibilità, per i beneficiari che siano in età da lavoro e disoccupati, ad accettare percorsi di formazione e offerte di lavoro. Esso consiste nell’erogazione di un reddito fino a un massimo di 500 euro mensili per un singolo individuo, e poi articolato secondo la tipologia familiare: ad esempio 900 euro per una coppia con due figli minori e di 1050 euro (l’importo più alto) per famiglie più numerose, che può essere ulteriormente integrato da un contributo fisso di 280 euro mensili per il pagamento dell’affitto. Il RDC potrà essere versato per intero oppure come integrazione di un reddito (da lavoro o da pensione) inferiore a quelle soglie (quindi ad esempio un anziano che vive solo e percepisce una pensione di 400 euro mensili, non ha proprietà oltre una certa soglia e non ha altre fonti di reddito riceverà una somma di 100 euro mensili ad integrazione del proprio reddito). I beneficiari in età da lavoro riceveranno Il RDC per un ciclo di 18 mesi, che potrà essere rinnovato per altri 18 ma a condizioni più stringenti.

Si tratta quindi di una misura di sostegno del reddito e contrasto alla povertà simile a quanto già esiste in quasi tutti i paesi europei, ma che nel contesto italiano, prima di questo provvedimento, era presente solo in forma molto limitata, sia per numero di persone raggiunte, sia per l’importo modesto del reddito erogato.

Il successo della proposta tra gli elettori non è sorprendente, dato che dopo la crisi del 2008 e le successive politiche di austerità e di deregolamentazione del mercato del lavoro vi è stato in Italia un fortissimo aumento della incidenza della povertà assoluta (cioè di redditi che non sono in grado di acquistare un paniere minimo di beni di prima necessità) che nelle ultime rilevazioni statistiche del 2017 risulta pari al 7% dei nuclei familiari, per un totale di 8 milioni di persone, tra le quali molti bambini e ragazzi. E’ inoltre molto aumentata la disoccupazione, ora intorno all’11%, ed è aumentato il numero di persone che pur lavorando percepiscono redditi bassi per diversi motivi: basse retribuzioni, discontinuità della attività lavorativa, un numero di ore di lavoro insufficiente. Tale misura quindi non solo è evidentemente apprezzata da chi potrà già ora beneficiarne, ma anche da coloro che vivono incertezze sulle proprie prospettive di lavoro e di reddito e vedono in questa misura una possibile rete di protezione.

Rispetto alle intenzioni iniziali, i vincoli ai saldi del bilancio pubblico posti dalle regole europee, e le pressioni della Commissione Europea, dell’altro partito di governo e dell’opposizione hanno determinato una riduzione del budget a disposizione della misura ed aumentato i vincoli e condizionalità per l’accesso al RDC. Tuttavia questo rimane una misura molto rilevante sia per le somme messe a disposizione (circa 6 miliardi nel 2019 e 7 in ciascuno dei due anni successivi),sia per la numerosità dei potenziali beneficiari: secondo una recente stima dell’ISTAT si tratta di circa 1,3 milioni di famiglie, per un numero totale di persone la cui stima varia da un minimo di 2,7 milioni secondo l’ISTAT a 3,6 milioni secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio. Tra i potenziali beneficiari del RDC, sempre secondo le stime dell’ISTAT, il 19% sono bambini e ragazzi con meno di 16 anni appartenenti a famiglie disagiate, e il 13% sono persone con più di 65 anni. Gli occupati a basso reddito sono stimati intorno al 16% dei potenziali beneficiari.

Le condizioni che devono essere soddisfatte per accedere al RDC prevedono limiti riguardanti sia il livello del reddito, che del patrimonio (proprietà di immobili, di auto e moto, di depositi bancari o altre attività finanziarie). Inoltre le persone che per età e condizioni fisiche sono in grado di lavorare, e che non siano già occupati, devono essere disponibili a svolgere attività di formazione proposte dai centri pubblici per l’impiego (che il governo si propone di rendere più efficienti), devono dare disponibilità di otto ore settimanali per lavori di utilità sociale proposte dalle amministrazioni locali, e non possono rifiutare più di tre proposte di lavoro a un salario pari almeno a 850 euro mensili lordi, la prima vicino al luogo di residenza, la seconda in un raggio di 250 chilometri, la terza su tutto il territorio nazionale. La richiesta di rinnovo dopo i primi 18 mesi richiede la disponibilità a lavorare su tutto il territorio nazionale pena la cessazione del sussidio. Per incentivare l’assunzione da parte delle imprese, è previsto che chi assume una persona che gode del reddito di cittadinanza potrà beneficiare di una riduzione delle tasse pari alle mensilità di reddito di cittadinanza a cui il lavoratore avrebbe ancora avuto diritto e comunque non inferiore ad un importo minimo di 2500 euro.

Sono infine previste delle sanzioni penali gravi – da un minimo di due fino a sei anni di carcere - in caso di frode, oltre alla restituzione di tutte le somme ricevute.

L’introduzione del Reddito di cittadinanza ha suscitato numerose critiche di diversa natura. Un primo argomento è che ci sono rischi di frode, e che quindi il reddito potrebbe non andare alle persone ‘giuste’ e veramente in stato di bisogno. Il rischio più grave da questo punto di vista appare quello che venga incoraggiato il lavoro nero, cioè al di fuori di ogni contratto e che evade completamente il fisco, in modo da conciliare attività lavorativa e godimento del reddito di cittadinanza. Questi rischi naturalmente non possono essere completamente eliminati. Il disegno tuttavia prevede già un insieme di misure volte a prevenire la frode, ed eventualmente queste potranno essere ulteriormente affinate e migliorate con l’esperienza. D’altra parte, se si riconosce in via di principio la necessità di misure di contrasto alla povertà, la possibilità che alcuni beneficiari non siano veramente legittimi non può costituire un motivo per eliminare completamente tali misure: sarebbe come dire che poiché talvolta le pensioni (o altre forme di sussidio) a persone invalide sono richieste e ottenute da soggetti che non ne avrebbero diritto, allora bisogna eliminarle e lasciare così prive di sostegno le persone realmente invalide.

Un altro tema è stato che la disponibilità del sussidio scoraggerebbe dal cercare attivamente un lavoro. Tuttavia il limite alla durata del sussidio, e le condizioni di forte disagio economico che danno diritto al RDC, fanno ritenere che questo sia molto improbabile. Inoltre come si è visto, solo una parte dei beneficiari sono persone in età da lavoro e disoccupate, mentre altri sono minori, anziani, oppure occupati a basso reddito. Proprio riguardo a questi ultimi si è detto che il RDC, così come avvenuto ad esempio in Germania con le riforme Hartz, possa di fatto condurre ad un ulteriore peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro, in quanto consentirebbe ai datori di lavoro di assumere persone con una retribuzione molto bassa, che verrebbe poi integrata dal reddito di cittadinanza. Secondo alcuni questo rischio di peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro è insito anche nel livello di 850 euro lordi fissato come retribuzione minima accettabile per una offerta di lavoro, che considerano un livello basso. Altri invece considerano tale soglia troppo alta in rapporto ai salari esistenti, e inoltre una soglia che presuppone un lavoro a tempo pieno, mentre si dovrebbero spingere i disoccupati ad accettare anche eventuali lavori part-time. Come si vede la questione può essere vista da lati opposti. La mia opinione è che erogare un reddito integrativo a persone che lavorano comporta sempre il rischio di sussidiare in realtà le imprese, che possono approfittarne per rendere accettabili ai lavoratori salari molto bassi. Il problema potrebbe essere forse superato attraverso una verifica, per i lavoratori che facciano richiesta del RDC, della corrispondenza delle retribuzioni orarie a quanto previsto dalla contrattazione sindacale o da un eventuale salario minimo legale (proposto sia dal Movimento cinque stelle che dal Partito Democratico ora all’opposizione, ma attualmente non in vigore). Si tratta anche qui di affinamenti che credo dovranno essere presi in considerazione col tempo e sulla base dell’esperienza. Per dimensioni e complessità la misura dovrà sicuramente attraversare un periodo di ‘rodaggio’ che consentirà di metterla ulteriormente a punto.

Per concludere, la critica forse più diffusa che è stata rivolta al reddito di cittadinanza è che nelle condizioni attuali dell’economia italiana, caratterizzata da stagnazione economica, alta disoccupazione e forti vincoli alla spesa pubblica derivanti dalle regole europee, il reddito di cittadinanza non è la priorità, e sarebbe stato meglio spendere le risorse pubbliche: a) in investimenti pubblici che vadano a migliorare le infrastrutture del paese attualmente molto deteriorate; b) nella creazione diretta di occupazione attraverso l’assunzione di giovani nella sanità, pubblica amministrazione, scuola, università, tutti settori che hanno un grande bisogno di nuovo personale dopo anni e anni di tagli e blocco del turnover; c) per fornire direttamente risorse alle imprese.

Va subito detto che da decenni una parte molto significativa delle risorse pubbliche disponibili viene destinata a sussidiare o detassare le imprese in varie forme, ultima della serie una cifra stimata tra i 15 e i 19 miliardi in tre anni di riduzione dei contributi pagati dalle imprese per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato varata dal governo Renzi (Partito Democratico). Queste misure non hanno mai avuto grande impatto sulla occupazione e la crescita e sia l’esperienza che la letteratura economica suggeriscono che non sono efficaci. Tuttavia come si può comprendere questo argomento è stato presentato con una certa forza dalle associazioni degli imprenditori e dai mezzi di comunicazione e forze politiche sensibili alle loro richieste.

Gli altri due temi, quello degli investimenti pubblici e quello delle assunzioni hanno invece dalla loro parte argomenti più forti, ma anche rispetto a queste possibili alternative al RDC si possono vedere pro e contro. Per quanto riguarda gli investimenti, il limite sta nella necessaria maggiore lentezza nella loro attuazione perché devono esservi progettazione, valutazione dei progetti, bandi di gara per l’affidamento dei lavori, per cui l’impatto positivo sull’economia ha in genere tempi relativamente lunghi. Su questo fronte inoltre il governo dichiara che vi sono somme significative già stanziate in passato per investimenti pubblici sia a livello locale che nazionale, e che l’obiettivo del governo quindi non è quello di aumentare i finanziamenti, ma accelerare la spesa di quelli già disponibili attraverso una semplificazione delle procedure. Per quanto riguarda nuove assunzioni nel settore pubblico, certamente queste sarebbero state un fatto molto positivo per tanti giovani disoccupati e avrebbero contribuito a salvaguardare la qualità dei servizi pubblici sempre più compromessa dai tagli dettati dalle politiche di austerità (v. Paternesi e Stirati, Macroeconomics and the Italian Vote, INET blog, 6 agosto 2018). Si deve però considerare che naturalmente il numero di persone che avrebbe potuto direttamente beneficiare dell’aumento dell’occupazione sia nel caso degli investimenti pubblici che delle assunzioni nel settore pubblico sarebbe stata inferiore alla potenziale platea dei beneficiari del RDC e non sarebbe stata prevalentemente composta dai soggetti economicamente più disagiati. La scelta tra tali diverse forme di intervento (che bisogna dire, sarebbe auspicabile poter fare non in modo alternativo ma complementare, per uscire finalmente da una lunga recessione abbandonando le fallimentari politiche di austerità) è quindi alla fine una scelta politica, non facile, circa le priorità sociali oltre che economiche.

Naturalmente entrambe le misure (investimenti e aumento dell’occupazione nel settore pubblico) avrebbero avuto anche un effetto più generale di espansione della domanda interna e quindi dell’attività economica. Appunto uno degli argomenti critici molto spesso avanzati in queste settimane è che entrambe le misure avrebbero avuto un effetto espansivo favorevole alla crescita più elevato del reddito di cittadinanza. La letteratura economica sui ‘moltiplicatori fiscali’ (che misurano l’effetto sul PIL di una variazione della spesa pubblica o delle tasse e delle loro varie componenti) indica che in generale l’effetto di un aumento degli investimenti o dei consumi pubblici (sanità, scuola, ecc) è maggiore dell’effetto dei trasferimenti monetari. Tuttavia studi recenti indicano che gli effetti delle misure prese in una economia in condizioni economiche di recessione e stagnazione (come è sicuramente il caso oggi per l’economia italiana) sono molto più ampi di quelli delle stesse misure prese in condizioni economiche più favorevoli (cioè, come si dice, i moltiplicatori fiscali sono ‘state dependent’). Inoltre, alcuni studi hanno fornito stime piuttosto elevate, sia in assoluto che relativamente ad altre voci di spesa pubblica, dei moltiplicatori fiscali dei trasferimenti destinati a soggetti a reddito molto basso in situazioni di recessione economica, ad esempio i programmi di distribuzione di buoni per acquistare cibo (Food stamps) negli Stati Uniti (A. Blinder, Fiscal policy reconsidered, The Hamilton project policy proposal May 2016, p. 9) e per quanto concerne specificamente l’Italia dopo il 2008 e in condizioni di recessione è stato stimato da alcuni economisti un valore del moltiplicatore dei trasferimenti addirittura pari a 2,4 – cioè ogni euro di trasferimento genererebbe 2,4 euro di incremento del PIL (Stockhammer et al, Demand effects of fiscal policy since 2008, Review of Keynesian Economics, n. 1,  2019, p.63). Se così fosse l’effetto espansivo del reddito di cittadinanza sarebbe superiore a quello stimato dallo stesso governo sulla base di moltiplicatori molto più piccoli. La verità è che di fatto le stime dei moltiplicatori fiscali sono spesso diverse tra loro, dipendono dai metodi adottati, dalla teoria che fa da sfondo alla analisi dei dati, e inoltre come si diceva dalle specifiche condizioni e caratteristiche dell’economia in cui si interviene. Pur tenendo conto di questa incertezza nelle stime, il fatto che il RDC è destinato a soggetti a reddito molto basso e che i beneficiari sono tenuti a spendere il reddito ricevuto entro un mese dovrebbe garantire un effetto espansivo sulla domanda e quindi sulla produzione di un certo rilievo, e che potrebbe essere maggiore di quello previsto dallo stesso governo. In ogni caso, l’aumento della domanda per consumi avrà effetti positivi anche per l’attività delle imprese, che potranno vendere di più, e avranno dunque uno stimolo ad investire di più e ad assumere lavoratori aggiuntivi.

Domenica, 24. Marzo 2019
 

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