Rappresentanza e rappresentazione

Dopo l'irruzione di Beppe Grillo sulla scena politica e il suo exploit di Bologna è prevalso nei suoi confronti l'intento liquidatorio e minimizzante. Ma in fondo Grillo non fa altro che omologarsi a un nuovo modo di fare politica che ha sostituito la rappresentazione alla rappresentanza

Di norma, il teatrino  della politica italiana non mi attrae. Perché mette in scena trame che trovo generalmente scadenti e ripetitive, in cui dominano maneggi, complotti, intrighi. Per di più recitate da attori mediocri che ripetono, annoiati e soprattutto annoiando, le stesse battute.


Non faccio quindi fatica a spiegarmi perché la rumorosa irruzione di Beppe Grillo nell’agone della politica abbia calamitato l’attenzione  dei media. L’eccitazione intorno al fenomeno del momento è più che comprensibile. Tanto più tenuto conto che il successo raccolto dalle iniziative di Grillo si verifica proprio nella fase in cui, nel centrosinistra, è aperto il volonteroso cantiere per la costruzione del Partito Democratico. Mentre iniziative analoghe si prospettano nella sinistra ed anche nel centrodestra non si escludono cauti connubi tra le forze che lo compongono. Se dunque considero l’interesse giustificato, debbo dire francamente che le reazioni tanto del ceto politico che dei media, mi sono invece apparse confuse e contraddittorie. Per lo meno quanto i proclami dello stesso Grillo.

Infatti, dopo l’exploit di Bologna nei suoi confronti è prevalso l’intento liquidatorio e comunque minimizzante. Poi ne è stata denunciata la deriva antipolitica, accompagnando l’allarme con gli esorcismi e gli scongiuri di rito. Per rafforzare l’apprensione sono stati anche evocati i presunti precedenti storici. Tra questi i più gettonati sono stati quelli relativi a Masaniello ed a Giannini dell’Uomo Qualunque. Personalmente ritengo del tutto arbitrario il paragone con Tommaso Aniello d’Amalfi (detto Masaniello) che nel 1600 guidò la rivolta fiscale contro il vicerè spagnolo di Napoli. Perché in realtà per abbassare la pressione fiscale (almeno la sua!) Grillo non ha avuto bisogno di compiere nessun atto rivoltoso. Gli è infatti bastato utilizzare un paio di condoni, generosamente messi a disposizione di evasori ed elusori dal governo Berlusconi. Nemmeno con il qualunquismo di Giannini mi sembra che emergano particolari analogie. Se non per l’aggressività, od il linguaggio scurrile ed irridente, comune ad entrambi. Le somiglianze però finiscono lì. Dopo venti anni di fascismo, Giannini ha infatti interpretato la paura della libertà, il disagio e l’incertezza della democrazia presente in molti ex devoti del regime. A parecchi dei quali il  “qualunquismo” deve essere sembrato la passerella più adatta per transitare dal “me ne frego”, al “tengo famiglia”,  oppure al “mi faccio solo i fatti miei”.

 

Fortunatamente la situazione di oggi non è assolutamente comparabile con quella dell’immediato dopoguerra. Poco importa quindi che anche tra Grillo ed i suoi seguaci  si siano manifestati umori e sentimenti diversi. Non di rado contradditori. Tuttavia, non si può disconoscere che assieme all’individualismo, all’insoddisfazione, al mugugno ed alla protesta, vengono agitati temi strettamente legati al nostro tempo. Non a caso, sul blog e nel groviglio di siti e di reti che si intersecano e si annodano, si discute: di ambiente, di salute, di bioetica, di territorio, di informazione, di scienza, di etica, di tradizioni etnico religiose, e così via. Non mancano nemmeno le rivendicazioni corporative, insieme a pretese palingenetiche. C’è inoltre una propensione giustizialista e forcaiola, unita ad  una conclamata adesione al principio di legalità. Che, con un po’ di buona volontà, potrebbe essere ricondotta a quella che Max Weber definiva “l’etica della convinzione”. In Grillo e nei suoi catecumeni c’è infine una profonda diffidenza nei confronti dei partiti ed una esplicita ostilità nei confronti del “ceto” politico. O della “casta”, come la definisce Stella.

 

L’intento dichiarato è quello: di metterne in causa i privilegi; di impedire che l’immunità si trasformi in impunità; di contrastare l’uso distorto ed arbitrario del potere; di sventare gli arricchimenti personali; di sbarrare la strada ad un utilizzo predatorio delle risorse pubbliche. A questo fine, Grillo reclama l’introduzione di una serie di regole per la formazione della rappresentanza parlamentare. Regole che se confrontate con quelle funzionanti e collaudate nella maggior parte dei paesi democratici risultano però alquanto eccentriche. Per non dire del tutto cervellotiche. Tuttavia non ritengo che questo aspetto sia di grande importanza. Perché, a ben vedere, l’intento vero di Grillo e dei suoi adepti, più che finalizzato alla razionalizzazione e ad un più efficace funzionamento del sistema, tende soprattutto a dare voce al risentimento nei confronti del “ceto” politico.

 

C’è del qualunquismo in queste posizioni? In parte sicuramente si. Seppure in modo implicito, c’è però soprattutto l’avversione verso un bipolarismo politico che costituisce un unicum mondiale. Con il risultato che gli elettori italiani sono i più frustrati tra quelli di tutti i paesi democratici. Perché, da quasi quindici anni, possono al massimo decidere chi preferiscono tra Berlusconi e Prodi. Tutto il resto è invece riservato alle decisioni della nomenclatura. Che questo stato di cose abbia provocato delusione e disaffezione tra gli elettori, particolarmente in quelli di centrosinistra, è perciò più che comprensibile. In generale gli elettori di centrosinistra perseguono infatti una idea della politica più fondata sulla partecipazione, mentre invece quelli di centrodestra sono, di norma, più  propensi alla delega. Lo conferma del resto il fatto che dirigenti e rappresentanti di  Forza Italia sono stati, da sempre, di “nomina regia”. Senza che il fatto provocasse qualche brivido di reazione, o anche soltanto un rilevabile sconcerto tra gli aderenti e gli elettori di quel partito. Si spiega così  perché Grillo troverebbe, stando ai sondaggi, maggiore ascolto ed attenzione tra gli aderenti e gli elettori di centrosinistra che tra quelli di centrodestra.

 

E’ una differenziazione plausibile. Personalmente sono convinto che tra le sue motivazioni un peso non secondario sia da attribuire al fatto che gli elettori di centrosinistra sono meno disponibili a condividere la spiegazione (formalmente vera, ma sostanzialmente elusiva) che l’abnorme espropriazione dei diritti di decisione degli elettori sia la irrimediabile conseguenza del “Porcellum”. Perché nulla e nessuno avrebbe infatti potuto impedire ai partiti di centrosinistra, se lo avessero voluto, di coinvolgere comunque i propri militanti ed elettori nella selezione dei candidati e, dunque, nella formazione della rappresentanza. E’ abbastanza facile capire quindi  perché delusione e persino irritazione emergono con maggiore consistenza nelle file del centrosinistra che  in quelle del centrodestra.

 

Oltre tutto penso che sullo stato d’animo dell’elettorato di centrosinistra pesi negativamente anche la progressiva trasformazione del nostro modello politico. Trasformazione che tende ad attribuire sempre maggiore importanza alla rappresentazione rispetto alla rappresentanza. Si tratta di un modello nel quale il valore simbolico del gesto della manifestazione (e quindi della rappresentazione) ha sostituito il valore del coinvolgimento nella vita dei partiti. Con un cambiamento significativo rispetto alla esperienza vissuta nella seconda metà del novecento. Negli ultimi tre “lustri” infatti la destra (e Berlusconi è stato un precursore, almeno in Italia) ha introdotto una discontinuità nel modo di fare politica. Ora è la rappresentazione a prevalere sulla rappresentanza. Però l’aspetto che suscita sconcerto è che, in nome della modernizzazione della politica, questa innovazione ha trovato un numero crescente di estimatori anche tra i politici di centrosinistra. Al punto che non pochi sembrano essersi persuasi che fare politica consista per metà nella costruzione di una immagine e per l’altra metà nel persuadere le persone a credere a quella immagine.

 

Se, come io penso, le cose stanno così,  debbo dire che mi riesce arduo condividere l’accusa di antipolitica che da più parti è stata rivolta a Grillo. Aggressività e linguaggio a parte, ritengo infatti che si debba, al contrario, constatare semmai una sua omologazione alla nuova moda di intendere la politica. Insomma, malgrado l’intento trasgressivo e qualche variante nei mezzi impiegati, la mia impressione è che tutto sommato Grillo si sia conformisticamente uniformato all’orientamento prevalente nella politica attuale. Finendo per aggiungere anche il suo “obolo” a quanti lavorano per sostituire la rappresentazione alla rappresentanza.

Martedì, 25. Settembre 2007
 

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