Ragione e fede in dialogo

Il libro ripropone l’ormai celebre confronto promosso nel gennaio del 2004 dall’Accademia cattolica di Monaco di Baviera tra il filosofo Jürgen Habermas e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, sul tema “Che cosa tiene insieme il mondo. Fondamenti morali prepolitici di uno Stato liberale”.
Il libro ripropone l'ormai celebre confronto promosso nel gennaio del 2004 dall'Accademia cattolica di Monaco di Baviera, tra il filosofo Jürgen Habermas e l'allora cardinale Joseph Ratzinger, sul tema "Che cosa tiene insieme il mondo. Fondamenti morali prepolitici di uno Stato liberale". I due interventi erano già stati pubblicati nel numero 83 (maggio-giugno 2004) di Reset nell'ambito di un dossier intitolato "Democrazia bisognosa di religione?".

Ora, nel riproporli, il curatore Giancarlo Bosetti, direttore di Reset, li introduce con il proprio saggio "Idee per una convergenza 'postsecolare'" e li fa seguire da una postfazione di Massimo Rosati su "Prove di dialogo (asimmetrico)".
Entrambi gli interlocutori danno per assodato che siamo entrati in una fase "postsecolare". Con ciò si intende dire che la storia ha smentito il paradigma illuministico della progressiva secolarizzazione delle società e della perdita di peso sociale della religione. È accaduto invece che il fenomeno religioso acquista nuova visibilità pubblica.

È questa situazione "a porre a entrambi domande nuove: il laico deve prendere atto che questa più ampia presenza del discorso religioso nella sfera pubblica corrisponde a un fenomeno sociale che ha profondità e motivazioni forti, non arbitrarie; il religioso deve prendere atto che questa espansione dei suoi progetti di uso pubblico della ragione lo costringe inevitabilmente a misurarsi con le regole laiche della democrazia e con i problemi della tolleranza e convivenza posti dalla pluralità delle religioni e delle culture" (Bosetti, p. 10). Entrambi convengono - citiamo ancora Bosetti - "sull'idea che ragione e fede debbano dare luogo tra loro a un sistema di checks and balance reciproco, che controllino e tengano a freno gli eccessi dell'una e dell'altra, e che in questa correlazione si alimentino beneficamente come forze complementari" (p. 7).
 
Habermas è netto nell'affermare l'autosufficienza e indipendenza dello Stato liberale da tradizioni religiose o metafisiche. "Il liberalismo politico che io difendo nella particolare versione del repubblicanesimo kantiano, si auto-comprende come legittimazione non religiosa e post-metafisica dei fondamenti normativi di uno Stato democratico costituzionale" (p. 43).

Non vi sono dunque ragioni "interne" allo Stato liberale, così, inteso per andare a cercare altrove le proprie fonti di legittimazione. Possono esservi però della ragioni "esterne", determinate dagli attuali sviluppi economici e sociali. "Una modernizzazione aberrante della società presa nel suo complesso potrebbe rendere molto debole il legame democratico ed esaurire quella particolare forma di solidarietà da cui lo Stato democratico dipende" (p. 50).
 
La persistenza, allora, della religione in un ambiente sempre più secolare va considerata "non in qualità di semplice dato di fatto sociale. La filosofia deve prendere sul serio questo fenomeno, per così dire, dall'interno, assumendolo come una sfida cognitiva" (p. 53), talché nel dialogo entrambe le parti intendano insieme "la secolarizzazione della società come un processo di apprendimento complementare" (p. 59).

L'opportunità per una società democratica, minacciata nei suoi fondamenti dalle aberrazioni della modernità, è di poter attingere, proprio attraverso il dialogo, a un "serbatoio" ricco di motivazioni e risorse morali. "Nella vita delle comunità religiose, nella misura in cui evitano dogmatismo e costrizioni della coscienza individuale, può rimanere intatto quello che altrove è andato perduto (...): possibilità di espressione sufficientemente differenziate, sensibilità per vite andate male, per le patologie sociali, per l'insuccesso di progetti di vita individuali e per le deformazioni di contesti di vita sfigurati" (p. 57).

Habermas si rifà a John Rawls (vedi "Liberalismo politico", Edizioni di Comunità 1994) e va anche oltre. Il dialogo suppone delle condizioni, a partire da quella che Rawls chiama "clausola condizionale" posta al religioso: partecipi alla scena pubblica con le tue motivazioni, ma devi saperle tradurre nel linguaggio comune della politica. Habermas dice di più, questa volta rivolgendosi al laico: "Una cultura politica liberale può persino richiedere ai cittadini secolarizzati di partecipare allo sforzo di traduzione di materiali significativi dalla lingua religiosa a una lingua accessibile a tutti" (pp. 62-63).
 
Ratzinger approva l'idea dell'apprendimento reciproco formulata da Habermas. E fa sua anche l'idea del reciproco gioco di "controllo" per evitare i rischi di estremizzazione. Ricordando l'ondata di terrorismo che dall'11 settembre 2001 si abbatte sul mondo, il cardinale giunge a chiedere alla ragione, sia pure in forma interrogativa, di svolgere questo compito di arginare le degenerazioni della religione: "Se il terrorismo è alimentato dal fanatismo religioso, come è, la religione è salvifica e risanatrice, o non piuttosto un potere arcaico e pericoloso, che crea falsi universalismi e perciò induce all'intolleranza e al terrorismo? La religione non deve pertanto essere posta sotto la tutela della ragione e attentamente delimitata?" (p. 71).

Ma il problema è posto simmetricamente anche alla ragione, "deve affiorare il dubbio sulla affidabilità della ragione. Alla fin fine, anche la bomba atomica è un prodotto della ragione e l'allevamento e la selezione di esseri umani sono stati ideati dalla ragione". Ma chi mette sotto osservazione la ragione? "O forse religione e ragione dovrebbero limitarsi a vicenda, e ciascuna mettere l'altra al suo posto e condurla sulla propria via positiva?" (p. 72).

La via maestra, anche per Ratzinger, è dunque il dialogo, ma rispetto ad Habermas - come nota Rosati nella postfazione - la risposta del cardinale appare meno aperta (dialogo "asimmetrico", dice il titolo), ancora a legata all'antica idea del diritto naturale come "ponte attraverso il quale dialogare con la cultura secolare (...) e con le altre aree culturali" (p. 92) (sono menzionate l'islamica, la buddista, l'induista, e tralasciata sorprendentemente l'ebraica).

Ratzinger insiste molto sul contesto interculturale, ma alla fine sceglie un partner privilegiato, ed è "la cultura laica di una rigorosa razionalità, di cui Habermas ci ha fornito un'immagine persuasiva" (p. 77). "Senza dubbio - afferma con chiarezza - i due partner principali in questo rapporto correlativo sono la fede cristiana e la razionalità laica occidentale", perché "entrambi determinano la situazione globale come nessun'altra delle forze culturali". Ciò non deve indurre a trascurare le altre culture, sarebbe anzi una manifestazione di "hybris occidentale, che pagheremmo cara e in parte già paghiamo". È necessario, invece, accogliere queste culture "nel tentativo di una correlazione polifonica, in cui esse si aprano spontaneamente alla complementarità essenziale di ragione e fede" ritrovando "i valori essenziali in qualche modo conosciuti o intuiti da tutti gli esseri umani" (p. 81).
 
Ma qui - conclude la postfazione di Rosati - si rivela "la mossa di Ratzinger: "cercare di mettere la cultura secolare 'in minoranza', così da poter presentare la secolarizzazione europea, in una prospettiva di culture comparate e di sociologia della religione, come una deviazione, che necessita di una correzione, (...) rispetto a un mondo in cui la fede illuminava la ragione, e la luce divina fungeva da fondamento prepolitico degli ordinamenti mondani" (pp. 92-93).
 
Jürgen Habermas
Joseph Ratzinger
Ragione e fede in dialogo
Le idee di Benedetto XVI a confronto con un grande filosofo

a cura di Giancarlo Bosetti
Marsilio / I libri di Reset, Venezia 2005
pagine 94, Euro 7,50

Lunedì, 26. Settembre 2005
 

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