Quello che ho imparato al World Social Forum

Marco Pirovano ha partecipato al meeting mondiale di Belem e racconta le sue osservazioni, gli interrogativi che si è posto, le riflessioni che ne ha tratto
Dopo qualche settimana dal rientro dal Brasile, mi interrogo sul significato della mia partecipazione alla 9° edizione del World Social Forum (WSF) in rappresentanza dell’ISCOS Lombardia e su quanto ho potuto imparare dal "cosiddetto" Sud del mondo.
 
Ritengo che l’immagine più adatta a rappresentare ciò che è stato il WSF sia quella di un mosaico: migliaia di incontri, 100mila persone arrivate da tutti i continenti, con una folta e attiva presenza femminile, persone di ogni religione, credenti e non credenti, in rappresentanza di circa 6 mila movimenti e associazioni della società civile (popoli indigeni, sindacati, chiese, ONG), 150 Caritas di tutto il mondo, congregazioni religiose e Chiese. Ciò mi fa credere che in tante parti del mondo ci siano milioni di donne e uomini, organizzazioni, reti, sindacati che lottano, con tutta la ricchezza della loro pluralità, con la diversità delle loro alternative e proposte, che affrontano da anni le crisi e le emergenze sociali, ambientali, economiche e finanziarie grazie all’auto-organizzazione popolare, dal basso.

 
Un mosaico certamente non omogeneo, intessuto da principi e ideologie diverse, espressi in tanti modi e linguaggi diversi, tenuto però insieme da un unico obiettivo unificante: la denuncia delle cause e dei sistemi che generano tutte le forme di povertà e di ingiustizia, di sfruttamento e di degrado del nostro pianeta globalizzato.  E a chi potrebbe  obiettare che in fondo i temi di fondo dei Social Forum siano sempre gli stessi, si può sempre ribattere che ciò che conta è tenere viva e alta la voce, perché chi deve ascoltare, senta.

 
Quest’anno dinanzi alle sfide della crisi globale economica, finanziaria, ambientale e alimentare, sono state elaborate possibili risposte a partire da una prospettiva ‘indigena’. L’Amazzonia, infatti, è stata il vero protagonista del WSF di Belem e con essa gli oltre 3.000 indigeni in rappresentanza dei circa 44 milioni di persone e 522 popoli indigeni presenti in America Latina. Particolarmente significativo è stato l’intervento di Maria das Graça, donna indigena ecuadoregna,  che di fronte ai cinque presidenti latinoamericani venuti a Belem (Lula, Fernando Lugo, Evo Morales, Rafael Correa e Hugo Chavez ) li ha salutati con parole chiare, mostrando tutte le aspettative dei popoli originari, dopo anni di sofferenza e esclusione. “Non perseguitateteci più! Rispettateteci, vi chiedo solo questo, nulla in più” . Graça, che è una delle coordinatrici del FSM, ha proseguito decisa, denunciando il pericolo di cedere definitivamente al modello di sviluppo divoratore della gente e della natura : “Assistiamo ad un forte disimpegno delle istituzioni rispetto alle risorse naturali e al futuro delle nostre popolazioni. La deforestazione sta distruggendo anche le nostre popolazioni, specialmente i popoli originari”.

 
Questa denuncia dell'impoverimento dell'ambiente, è un allarme sempre più grave perché se viene meno l'ambiente, non è più possibile nessuna forma di sopravvivenza per l'uomo, gli animali, le piante. E a partire dalle considerazioni di Graça  che mi pongo alcune domande dopo l’esperienza del Forum, collegandole in parte alla mia attività sindacale nel settore agro-alimentare e ambientale, ma anche abbracciando un orizzonte più ampio.

 
Un primo interrogativo: quale legame ci unisce oggi alla terra, alla nostra Madre Terra, alla nostra casa comune. Come rinsaldare questo legame, che significa rispetto verso chi ti ha generato, verso chi ti nutre, ti cura, e che invece in un’ottica di agricoltura industriale è stato sostituito dal concetto di proprietà privata, di ricerca della massima produttività, di valore di mercato, di fattore della produzione. Come non pensare al progressivo consumo di una parte cospicua del nostro territorio (urbanizzazione, strade,…) e contemporaneamente all’abbandono di altre aree meno “appetibili”. Siamo molto lontani dal pensare alla terra come le popolazioni indigene per cui è considerata una divinità, è la “Pacha Mama” in lingua quechua; siamo troppo distanti dal loro vivere in armonia non solo con la natura e gli animali, ma anche tra uomini e donne. Ma è proprio in Amazzonia che da una parte le popolazioni indios lottano per conservare l’ambiente naturale, mentre dall’altra parte “avanzano” i progetti di sfruttamento del legno che divorano le foreste, le trasformano in terreno per pascoli o per coltivazioni intensive. Gli stessi indios sono minacciati dai progetti di sfruttamento delle risorse minerarie, o anche dell’acqua, risorsa sempre più ricercata. Per accaparrarsi queste “ricchezze” oggi si rapina in punta di fucile e di finanza, gente che muore ammazzata e soldi che spariscono nelle tasche di chi deve essere corrotto. Il simbolo di tutto ciò è presente al WSF quando si entra in una delle sedi universitarie passando per la porta dedicata a Suor Doroty, missionaria americana ammazzata il 12 febbraio 2005 per aver difeso i poveri dell’Amazzonia, finita come altri sindacalisti, sacerdoti e laici che sono vicini ai diseredati di queste terre e non smettono mai di presidiare questa frontiera.

 
Un secondo interrogativo è legato all’attuale modello di sviluppo, la cui insostenibilità non è più solo legata all’aspetto ambientale, ma anche a quello economico e sociale. Il tema di un’equa distribuzione delle risorse e della sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo è di grande attualità. Si fa sempre più impellente la ricerca di soluzioni adatte a non stravolgere i ritmi e i meccanismi della natura che rendono vivibile l’umanità sulla terra.  È necessario denunciare le politiche monopolistiche delle grandi industrie e rafforzare il ruolo dei piccoli coltivatori nei paesi del Sud del Mondo, che in questo momento stanno attraversando un periodo critico per la loro stessa sopravvivenza economica. C’è bisogno di una rinnovata 'economia' su scala mondiale e, soprattutto, di una maggiore e più equa condivisione dei beni.  Occorre rivedere l’intero processo di sviluppo allo scopo di raggiungere un modello di crescita decisamente più sostenibile di quello attualmente perseguito, se non addirittura perseguire una “decrescita” come alternativa proposta da alcuni economisti. Ma in questo contesto è necessario “seminare” giustizia anche attraverso l’adozione di nuovi stili di vita; dobbiamo essere consapevoli a cominciare dalle nostre scelte ed atteggiamenti quotidiani in casa e fuori, come anche nei posti di lavoro. E pensando al lavoro non posso dimenticare che i sindacati sono stati tra i grandi protagonisti del WSF di Belem, attraverso le attività della rete mondiale 'Lavoro e Globalizzazione'. A Belem il movimento sindacale ha riaffermato che è fondamentale tenere insieme il ragionamento sullo stato del pianeta e quello sul lavoro, poiché risorse e lavoro non possono considerarsi "nemici". Per il sindacato è necessario allora recuperare il tempo perso e trovare alternative praticabili. Non è più possibile scambiare occupazione con mancato rispetto dell’ambiente, è urgente elaborare proposte e tradurle al più presto in azioni concrete.

 
Ma vi è infine un ultimo interrogativo che mi ha lasciato il Social Forum rispetto all’attuale crisi. La domanda è se oltre ad essere una crisi finanziaria, economica e tecnica, non sia anche dovuta alla sempre più evidente mancanza di norme etiche. È possibile governare l’attività finanziaria, economica, ma anche politica in assenza di questo tipo di norme? È allora necessaria una riflessione profonda a partire dal nostro stile di vita, fondato spesso sul lavorare per consumare ad ogni costo. È urgente interrogarsi su come “investire” per migliorare le condizioni di vita di una larga parte dell’umanità che di questa crisi sta pagando le spese più di altri. Non a caso al Social Forum tra gli incontri più partecipati vi sono stati quelli con Leonard Boff, francescano, uno dei più famosi personaggi del continente latinoamericano. È stato il fondatore della Teologia della Liberazione ed oggi è impegnato sui temi dell’ecologia e dell’ambiente. Ha scritto molti libri e saggi famosi ed è considerato uno dei grandi maestri del nostro tempo. Gli interventi di Boff ci hanno offerto l’occasione per riflettere sulle nostre società massificate dal consumo, instupidite dal materialismo, individualiste, insensibili alla tenerezza per la vita, sempre meno capaci di solidarietà con gli oppressi e con i sofferenti del mondo intero. E proprio in questa direzione al Forum si è discusso sulle varie esperienze dell’economia solidale come alternative per combattere la povertà ed affrontare l’attuale crisi economica e ambientale.

 
Lo slogan scandito ad ogni Social Forum resta quello di sempre; quante persone sono intervenute dicendo nelle diverse lingue che “un altro mondo è possibile”, quante t-shirt, cartelli, adesivi lo riportavano scritto nei diversi colori e abbinamenti, quante bandiere sventolavano nell’aria questo messaggio di speranza. Oggi dopo la disfatta del turbo-capitalismo il cambiamento richiesto è sempre più vero, ma soprattutto è sempre più urgente e necessario tradurlo in impegno concreto in vista del prossimo G8 e del successivo vertice di Copenaghen sul clima a dicembre.

Marco Pirovano

Venerdì, 27. Febbraio 2009
 

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