Quelli che… E poi parlano pure

Con i comportamenti incoerenti degli anti-renziani si potrebbero riempire molte pagine. I fatti sono che Renzi ha rotto uno stallo che durava da anni: ha concluso un accordo complessivo su legge elettorale, riforma del Senato e del Titolo 5° della Costituzione. Se approvate queste tre cose produrranno una forte svolta nel sistema politico italiano, dopo un lungo immobilismo totale

Quelli che hanno sempre scambiato i desideri con la realtà, quelli che si sono sempre autonominati rappresentanti della classe operaia anche se gli operai non li votavano, quelli che invocano la patrimoniale sugli alti redditi ma quando sono al governo nazionale o locale aumentano l’Irpef e le sue addizionali, quelli che vogliono la patrimoniale sugli alti redditi ma definiscono “ricchi” i proprietari di appartamenti con 750 euro di rendita catastale, quelli che difendono la Costituzione, ma accettano che si facciano decreti legge omnibus o che si pongano fiducie su leggi con centinaia di commi, quelli che sono per la legalità ma nulla hanno avuto nulla da dire sul finanziamento pubblico dei partiti nonostante due referendum che lo hanno abolito, quelli che rivendicano i costi necessari della politica ma nulla dicono, e fanno, sugli acquisti di mutande, nutella, regali, cene e via dicendo dei consiglieri regionali, magari presentandoli alle elezioni per il Parlamento, quelli che definiscono Forza Italia un partito proprietario ma che dicono che non si deve parlare con il proprietario, quelli che si “dimenticano”, quando sono in maggioranza, di regolamentare il “conflitto di interessi”, quelli che discutono con Berlusconi su Marini e Napolitano presidente e ci fanno un governo ma dicono ……., quelli che per anni non hanno combinato nulla sulle riforme, anche quando erano maggioranza e ora…., quelli che sono contro la politica europea ma hanno votato in Parlamento il fiscal compact e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, quelli che hanno insultato un avversario con epiteti di fascista, berlusconiano, arrogante, ecc. e fanno gli offesi per battute o critiche politiche, quelli che invocano il voto degli iscritti sulla legge elettorale ma non lo hanno invocato per il governo con Berlusconi.

 

Si potrebbe proseguire per tutta la pagina ma sarebbe solo un divertissement, veniamo al concreto.

 

Renzi ha rotto uno stallo che durava da anni: non per niente, a quanto risulta, ha il via libera di Napolitano. Ha concluso un accordo complessivo su legge elettorale, riforma del Senato e del Titolo 5° della Costituzione. Se approvate queste tre cose produrranno una forte svolta nel sistema politico italiano, dopo l’immobilismo totale di tutti questi anni.

 

Va bene, ma non con Berlusconi! Tralasciamo l’argomentazione più che ridicola che bisognava parlare con Forza Italia ma non con Berlusconi perché se Forza Italia è un partito proprietario, e ne siamo convinti, si parla con il padrone.

 

Ma è un pregiudicato e così lo si riabilita politicamente. Si dice: si va in Parlamento, si discute alla luce del sole con tutti i gruppi parlamentari, ci si confronta e si tirano le somme; “non si invita il pregiudicato a via del Nazareno”. Forse qualcuno si è dimenticato che la Bicamerale di dalemiana memoria aveva la “doppiezza” delle riunioni parlamentari e le crostate di casa Letta (zio).  Se non avesse abbandonato la maggioranza dopo la condanna qualcuno avrebbe chiesto l’uscita di Forza Italia dal governo? Fassina si sarebbe dimesso se Berlusconi avesse continuato a sostenere il governo? Si sarebbe vergognato di essere viceministro in un governo con il sostegno decisivo di un pregiudicato? E’ accettabile fare un governo con chi ha votato contro la decadenza di un pregiudicato e con chi si allea con il pregiudicato in tutte le prossime elezioni amministrative? Chiedere poi alla magistratura e alle sue logiche tortuose e defatiganti, noncuranti dei tempi e della sostanza della giustizia perché dalla definitiva condanna siamo ancora in attesa dell’affidamento ai servizi sociali o degli arresti domiciliari. 

 

C’erano alternative? Sì se Grillo si fosse dimostrato disponibile (con Grillo si può parlare lui permettendo?). Si poteva rimanere nell’ambito della sola maggioranza? Due considerazioni in merito: si dettano le regole del gioco con ristrette maggioranze? Cinicamente si potrebbe dire di si, salvo non lamentarsi poi se lo fanno gli altri, ma in questo caso chi avrebbe dettato tempi e modalità, il Pd o Alfano?

 

Non è accettabile il prendere tutto o lasciare, si dice. Vi immaginate i socialdemocratici tedeschi che firmano l’accordo di governo con la Merkel e poi rivendicano il diritto di modificarlo autonomamente in parlamento sui punti non desiderati? Siamo seri, se c’è un accordo va rispettato nel suo insieme, oppure nel suo insieme lo si respinge (e non ci si astiene). La riforma elettorale è quella che volevamo? Ovviamente no dato che è il frutto di un compromesso. In testa ai nostri desideri c’era magari un bel doppio turno di collegio (non di coalizione) senza premi di maggioranza espliciti, senza soglie esplicite, con la possibilità per l’elettore di scegliere tra i diversi candidati unici dei diversi partiti. Chi ci stava? L’importante non è fare bella figura o, come è spesso accaduto, fare testimonianza.

Se si va a votare senza riforma si va con un proporzionale puro con finto sbarramento al 4% per chi sta in coalizione. Si può anche optare per questo, è legittimo, ma poi bisogna rassegnarsi a fare un governo se va “bene” con Alfano, se va male con Berlusconi, data l’indisponibilità di Grillo. Volere il proporzionale simil tedesco e rifiutare per principio l’accordo con la destra è solo un capriccio da bambini.

 

I sistemi elettorali spagnolo, francese e inglese hanno premi di maggioranza impliciti più o meno elevati. Quello più basso lo ha il sistema spagnolo, eppure tanto temuto: i popolari hanno ottenuto il 44% dei voti e il 53% dei seggi, Zapatero nel 2008 con un’analoga percentuale di voti, il 48% dei seggi. In Inghilterra (collegio unico nominale ad un turno) Cameron con il 36% dei voti ha ottenuto il 47% dei seggi, i laburisti con il 29% dei voti il 40% circa dei seggi, mentre i liberali con il 23% dei voti si sono dovuti accontentare del 9% dei seggi. In passato, senza la presenza così forte dei liberali, conservatori e laburisti hanno avuto maggioranze del 60% e più di seggi con il 40% dei voti. In Francia i socialisti e i partiti che avevano appoggiato inizialmente Hollande hanno avuto al primo turno il 36% dei voti. Dopo il secondo turno hanno preso il 53% dei seggi. Il FN con il 13,6% di voti ha avuto lo 0,2% dei seggi.

 

Da notare come successo con Zapatero nel 2008 e nelle elezioni inglesi, che questi sistemi non assicurano comunque una maggioranza assoluta al primo partito o alla prima coalizione. Non fo fa nemmeno il sistema francese in presenza di un terzo partito con percentuali prossime o superiori al 20% o comunque in grado di vincere in un numero non marginale di collegi.

 

Allora bisogna decidere se si ragiona in astratto o in concreto. Si cerca il sistema elettorale più “democratico” a prescindere dalla realtà dei partiti esistenti o si vuole un sistema che non obblighi con alta probabilità ad un accordo tra i partiti effettivamente esistenti. La realtà può essere dura, ma è la realtà. Il doppio turno con premio di maggioranza dato al raggiungimento di una soglia o dato nel secondo turno impedisce con buone probabilità (la certezza non è di questo mondo) i governi di coalizione.

 

Tutto perfetto? No certamente, lo sbarramento diverso chi per sta in coalizione e chi fuori non è giustificato e poi c’è, soprattutto, il problema preferenze. Si può dire che quando si fanno gli accordi c’è un prendere e un lasciare: si prende il doppio turno e si lasciano le preferenze, un accordo è un compromesso dove il tutto si tiene e così di fatto è.

 

Ma vediamo nel merito le preferenze. Non pare che i Ds prima e il Pd poi, quantomeno fino al Porcellum, abbiano molto simpatizzato per le preferenze. I primi processi di Mani pulite hanno messo in rilievo il peso dei “costi” delle preferenze nel determinare parte delle tangenti, i recenti risultati elettorali dei consiglieri regionali laziali hanno messo bene in rilevo il peso delle clientele nel determinarli sia nel Pd che nel Pdl. E farsi ricordare dalla Prestigiacomo che soprattutto nel Mezzogiorno le preferenze, fin dai tempi del comandante Lauro sono stati i veicoli del clientelismo, della sudditanza, del voto di scambio, delle infiltrazioni della criminalità organizzata o, meglio, il sistema attraverso cui mafia, ‘ndrangheta e camorra ripagavano i favori ricevuti o ipotecavano quelli richiesti, è veramente troppo.

 

Certo elenchi lunghi 25 nomi senza possibilità di scelta non sono accettabili. Ma in un sistema elettorale con collegi uninominali come nel sistema francese o come in una parte del passato Mattarellum gli elettori di un partito, salvo primarie, si prendono il candidato indicato dal partito. Basta ricordare alcune polemiche nate ai tempi del Mattarellum per candidature Ds paracadutate in collegi sicuri a prescindere dalle volontà locali. Comunque, un ruolo dei partiti, o senza prenderci in giro delle segreterie dei partiti, nella scelta delle candidature è ineliminabile a meno di primarie. I cittadini possono intervenire solo in seconda battuta e solo in collegi plurinominali, salvo ovviamente optare per altri partiti e candidati. Collegi plurinominali ridotti appaiono un compromesso accettabile. Certo sarebbe stato preferibile una ripartizione locale dei seggi senza utilizzo dei resti e ripartizione a livello nazionale, ma allora sarebbe stato il modello spagnolo con esclusione di Alfano e certa crisi di governo. E’ questo che si vuole?

 

Grillo paga la sua autoesclusione e la sua oscillazione continua tra  Porcellum, Mattarellum e sistema proporzionale. Che poi Grillo sia per le preferenze visto il rapporto con i suoi eletti, fa quanto meno sorridere. Quello ipotizzato è un sistema che non lo vede battuto in partenza. Contano i voti e le alleanze. Può conquistare i primi, specie se i partiti continuano a dargli una mano, e fare le seconde sporcandosi le mani.  Di Pietro, Ingroia e altri credo sarebbero pronti. Con un 5/6% di punti in più rispetto a quelli che oggi indicano i sondaggi eviterebbe probabilmente agli altri di assicurarsi il premio al primo turno e potrebbe partecipare al ballottaggio. E’ il bello della democrazia.

 

Renzi, da buon toscano ama le battute e spesso gratuitamente esagera, ma non è mai lontano dal ricordare verità scomode. Del resto le dichiarazioni pubbliche di Fassina su Renzi nei mesi passati sono state molto più pesanti del “Fassina chi?” Chi ha fatto la sceneggiata delle dimissioni sì/dimissioni no sulla legge di stabilità abbia il coraggio di dimettersi per dissenso politico e non per una battuta. Quella su Cuperlo non è stata una battuta: di fronte alla scelta tra listino protetto e primarie Cuperlo ha scelto, a differenza di Fassina, il primo. Un po’ di pudore e di prudenza sulle preferenze non avrebbe nuociuto all’ex-presidente; comunque, non si capisce dopo il suo intervento il perché di una astensione. Se il problema era la probabile divisione con i giovani turchi e una ancora più marcata marginalizzazione visiva della minoranza, sorprende che questi aspetti così miseramente prosaici abbiano avuto la meglio sui problemi di principio e di costituzionalità sollevati. Ed è significativo, a questo proposito, il commento di Fassina, a cui non ha fatto velo il precedente risentimento nei confronti del segretario, nel leale riconoscimento del risultato politico finora conseguito dal suo avversario.

 

Una trattazione a parte merita poi un’analisi delle reazioni di tutti coloro che non si rassegnano al risultato delle primarie. E qui si va da certi giornalisti e, in genere, personaggi di spettacolo e di opinione che criticano linguaggi, abbigliamento, modi di parlare, abitudini informatiche, amicizie “pericolose” e via dicendo di Renzi, fino all’imbarazzo crescente degli intellettuali di “sinistra”, figli o nipoti non tanto della “diversità berlingueriana” ma della sua coniugazione postuma e ormai degradata. Costoro, nei piccoli e riservati circoli di opinione che frequentano e animano, sussurrano, ma a voce sempre più alta, di un’avvenuta omologazione fino a coniare termini come Renzusconi, rimpiangono marginalità passate e alzano il vessillo di un’identità impotente e rassicurante perché saldamente minoritaria e priva di responsabilità nei confronti degli elettori e del Paese.

Giovedì, 23. Gennaio 2014
 

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