Quattro volte NO alla controriforma costituzionale

Si avvicina la data del referendum che deciderà se la Costituzione debba o no essere stravolta secondo le linee approvate dal centro destra. Un convegno della Fondazione Basso ne ha messo in evidenza i pesanti vizi, che mettono in causa i principi stessi della nostra democrazia
Sotto il titolo "Crisi della democrazia e controriforma della Costituzione Italiana" si è svolto il 18 maggio scorso presso la Fondazione Basso un denso dibattito sul testo della legge di revisione costituzionale sulla quale i cittadini italiani sono chiamati a votare nel referendum del prossimo 25 giugno. Si è ritenuto infatti - come ha messo in luce Luigi Ferrajoli nella sua introduzione - che questa vera e propria controriforma della Costituzione italiana costituisse una sorta di "costituzionalizzazione" degli elementi di crisi della nostra democrazia, sotto diversi profili.
 
A) Sotto il profilo della rappresentanza, a proposito della quale vale la pena di ricordare come essa sia stata ben a ragione rivalutata come centrale per la democrazia dal costituzionalismo europeo dopo la tragica stagione dei totalitarismi.
Questa riforma confligge con il principio della rappresentanza politica, perché elimina di fatto il ruolo di controllo del Parlamento e la responsabilità di fronte ad esso dell'esecutivo e trasforma il parlamentare (che, secondo l'attuale art. 67 della Costituzione "rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato") in una sorta di delegato della coalizione alla quale appartiene e, quindi, del suo capo.

Viene infatti soppresso il voto di fiducia delle Camere nei confronti del Primo ministro, la cui legittimazione è rimessa direttamente al voto popolare. E' il Primo ministro che può sciogliere le Camere e non più il presidente della Repubblica. Una eventuale mozione di sfiducia è efficace solo se approvata dai parlamentari appartenenti alla maggioranza uscita dalle elezioni e solo se accompagnata dalla designazione di un nuovo Primo ministro: è abolita così l'eguaglianza del voto dei parlamentari.

Il sistema senza precedenti che viene così istituito - che Leopoldo Elia ha definito "premierato assoluto" - riduce la rappresentanza all'elezione e l'elezione alla designazione di un capo: la storia politica dell'intera legislatura si ferma al giorno in cui si è votato. E' la fine della rappresentanza politica.
 
B) Sotto il profilo dello stato di diritto, che prevede la soggezione di ogni potere alla legge approvata dai rappresentanti eletti dal popolo, e tende alla certezza del diritto.
Come ha dimostrato Massimo Luciani, in questa controriforma costituzionale la legge, di fatto, "sparisce come fonte del diritto". Basta leggere, a confronto con l'attuale testo dell'art.70 ("La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere"), il lunghissimo e quasi incomprensibile testo riformato che prevede ben cinque diverse forme di legge (leggi della sola Camera, cui il Senato può proporre modifiche; leggi del solo Senato, cui la Camera può proporre modifiche; leggi di entrambe le Camere, con la previsione di un testo unificato elaborato da una Commissione mista di 30 deputati e 30 senatori; leggi di competenza del Senato che il governo può far trasferire alla Camera se non siano approvate le modifiche ritenute "essenziali all'attuazione del suo programma").

Il riparto di competenze per materie è già risultato ampiamente fallimentare nella ripartizione fra Stato e Regioni, e infatti ormai la Corte costituzionale dedica la maggior parte del suo lavoro non più a tutelare i diritti fondamentali dei cittadini ma a risolvere i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni. Ora questa modalità di ripartizione delle competenze entra all'interno della legislazione statale e finirà per paralizzarla. Si prevede che nel caso di dubbio sulla competenza decidano i presidenti delle Camere, senza che possa esservi alcun tipo di sindacato: ma se non si accordano, non vi è soluzione.

La legge non sarà più la vera fonte del diritto, secondo il tradizionale principio di legalità. Si espanderà la produzione normativa del governo, attraverso grandi deleghe e decretazioni d'urgenza. L'unico vero organo costituzionale resta il governo e al suo interno il Primo ministro che non più "dirige" (art.95 Cost.) ma "determina" la politica generale del governo.
 
C)  Sotto il profilo della separazione dei poteri, a proposito della quale è bene ricordare il monito di Montesquieu, secondo il quale "tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo o lo stesso corpo di maggiorenti o di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, quello di giudicare i diritti e le controversie dei privati".
Come ha sottolineato Alessandro Pizzorusso, il nuovo testo costituzionale non solo tende ad eliminare ogni reale separazione fra legislativo ed esecutivo, ma indebolisce i poteri di garanzia. Fra questi va annoverato il capo dello Stato, che perde ogni potere significativo, come quello di nominare i ministri e di sciogliere le Camere e la Corte costituzionale, nella quale aumentano i giudici di nomina politica. D'altronde questa tendenza è già in atto, basti pensare alla gerarchizzazione del corpo giudiziario attuata con legge ordinaria (il nuovo ordinamento giudiziario), in contrasto con il titolo IV della Costituzione e con la natura di "potere diffuso" del potere giudiziario, riconosciuta dalla Corte costituzionale.
 
D) Sotto il profilo dell'uguaglianza, che è l'essenza stessa, la "virtù sovrana" della democrazia, come ha ricordato Stefano Rodotà citando Ronald Dworkin.
L'eguaglianza nei diritti è scolpita nella prima parte della Costituzione in forma solenne e inequivocabile: non solo il secondo comma dell'art. 3 richiede un'uguaglianza di fatto, sostanziale, ma anche il primo comma, che richiama la "pari dignità sociale" va al di là di una mera uguaglianza formale, scritta nelle leggi, ma affidata nei fatti ai rapporti di forza e di mercato. Così come l'art.36, che sancisce il diritto a "un'esistenza libera e dignitosa", impone politiche che non si limitino a permettere eguali opportunità, ma che mirino a concreti risultati di redistribuzione delle risorse primarie, così nel lavoro come nell'istruzione, come nella tutela della salute.

La cosiddetta "devolution", che attribuisce alle Regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza e organizzazione sanitaria e in materia di organizzazione scolastica viola il principio cardine dell'uguaglianza dei cittadini nei diritti fondamentali.

E, anche in questo caso, la controriforma è stata resa possibile dal diffondersi di una cultura che ha delegittimato la Costituzione e dall'affermarsi di prassi legislative che hanno ridotto concretamente l'uguaglianza dei cittadini, tanto che è stato possibile l'uso in campagna elettorale dell'accusa di comunismo nei confronti di chi ritenesse uguali "il figlio dell'operaio e il figlio del professionista"!
 
Le riflessioni svolte nell'importante convegno della Fondazione Basso, qui sommariamente accennate, suggeriscono non solo la più grande mobilitazione perché nel prossimo referendum prevalga nettamente il "no" alla controriforma costituzionale, ma anche un impegno ulteriore  affinché, anche in caso di successo dei "no", non si indulga poi a prassi e comportamenti che di fatto tendono a svalutare i valori portanti della nostra Costituzione, non si ricerchino nuove modifiche della seconda parte della Costituzione che finiscono per incidere sui principi fondamentali consacrati dalla sua prima parte.
Martedì, 30. Maggio 2006
 

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