Nei mesi precedenti lattuale crisi finanziaria internazionale, lItalia si interrogava sulle origini delle difficoltà che registrava la crescita delleconomia e sulle politiche per superare queste situazioni di stallo. Lenfasi posta da economisti e commentatori sulle conseguenze per leconomia italiana della recessione mondiale rischia di oscurare i fattori che spiegano la modesta evoluzione del nostro sistema economico a partire dalla firma del trattato di Maastricht (1992), ma soprattutto dallentrata dellItalia nel primo gruppo di paesi facenti parte dellUem (1998) e in particolare dallinizio della circolazione delleuro (2002).
Venute a mancare le tradizionali lamentazioni sulle difficoltà dell'economia italiana (alto costo del lavoro, alti tassi di interesse, onere del debito pubblico, rigidità del mercato del lavoro, arretratezza della pubblica amministrazione, rendita finanziaria, ecc.) e sopite le preferenze di molti imprenditori-finanzieri per le scalate di imprese pubbliche, soprattutto a causa delle crescenti ed inevitabili difficoltà finanziarie delle imprese acquistate, erano emersi i veri problemi italiani: insufficiente competitività dei prodotti nei settori ad elevata tecnologia, mancanza di innovazione nei settori maturi, scarso utilizzo delle tecnologie nelle imprese dei servizi tradizionali e, last but not least, scarsa concorrenza in numerosi mercati dei servizi pubblici e privati.
La crisi internazionale non ha sminuito questi problemi e permangono come segnali di queste difficoltà: a) la modesta crescita della produttività, b) la scarsa presenza delle produzioni italiane nei settori ad elevata tecnologia, c) lo spostamento del core business delle grandi imprese dal settore manifatturiero soggetto alla concorrenza estera ai settori dei servizi rivolti al mercato interno protetto, d) linsufficienza delle infrastrutture materiali ed immateriali, e) il nanismo del sistema produttivo italiano, f) il peso del lavoro autonomo specie nei settori delle costruzioni e dei servizi.
Non mancano gli indicatori di successo nellambito imprenditoriale privato e pubblico, quali il risanamento di imprese pubbliche; la ricollocazione internazionale di fasi del processo produttivo in paesi a basso costo del lavoro; il persistente successo delle produzioni italiane nella filiera dellalta moda, nella meccanica strumentale, nei semiconduttori, nelle biotecnologie, ecc.
Fra gli aspetti positivi, più controverso è il giudizio sulla diffusione della piccola e media impresa a carattere familiare, sovente sottocapitalizzata, riluttante a rispettare le regole, ad assolvere gli obblighi fiscali, poco propensa ad investire risorse adeguate nellinnovazione e restia a crescere. Un altro indicatore di successo che attraversa un momento di difficoltà è la vitalità dei distretti industriali molti dei quali hanno saputo rinnovarsi spesso trainati da una o più medie imprese di successo.
Complicato è, infine, inquadrare il ruolo svolto dalleconomia sommersa; in realtà si tratta di una larga fetta dell'economia (intorno al 15-18% del Pil) presente, in particolare, nel settore delle costruzioni e dei servizi privati. Sovente è un ammortizzatore produttivo e sociale, perché fornisce un'occupazione alle fasce deboli del mercato del lavoro e si localizza su tutto il territorio nazionale, ma spesso si tratta di semplici evasori che sfruttano le incertezze della classe politica in materia fiscale. Lho definita a suo tempo il tranquillante della nostra classe politica e economica poiché quando le cose vanno male nelleconomia regolare subito i consiglieri dei politici sottolineano che cè stato uno spostamento verso leconomia sommersa.
Il rallentamento della crescita economica italiana, particolarmente pronunciato dal 2002, non ha avuto e continua a non avere effetti economici e politici dirompenti, nonostante la riduzione del PIL nel 2008 e nel 2009, poiché il nostro paese dispone di una serie di ammortizzatori pubblici e privati (cassa integrazione, risparmi familiari, possesso di abitazioni, ecc.) che tendono anche a smorzare gli effetti di contagio che provengono dagli altri paesi e prima di tutto la crisi bancaria che, in Italia, è meno grave che in altri paesi.
Gli effetti
Poche cifre e alcuni grafici consentono di sintetizzare i fatti delleconomia ma senza la pretesa di essere esaurienti. Il commento copre gli ultimi dieci anni, ossia inizia con la firma dellaccordo sullUem, ma la tavola 1 ed i grafici partono dal 1993, ossia dalla crisi valutaria del 1992, che è stata la premessa per lazione politica ed economica che ha segnato la stabilizzazione del nostro sistema economico, il susseguirsi di riforme e la fine delle crisi economiche e sociali che avevano travagliato il nostro paese nei precedenti venticinque anni.
La sintesi è fornita dallandamento del prodotto interno lordo a prezzi costanti (PIL) che nel corso degli ultimi dieci anni ha mostrato unevoluzione modesta (1,4% allanno) e cedente (0,8% allanno nellultimo periodo) a cui hanno contribuito tutte le componenti della domanda finale e in particolare gli investimenti in costruzioni (-0,4%) e le esportazioni (1,8%); queste ultime non hanno quindi svolto lazione di sostegno della domanda che era stato previsto e che, in effetti, aveva svolto fra il 1993 ed il 1997 (7,1%) (tav.1 e graff.1 e 4).
Ha rispettato levoluzione prevista la variazione dei prezzi, del PIL, (circa 2 punti percentuali in media allanno, graf. 2) ossia la normale inflazione che incorpora gli squilibri concorrenziali nei mercati delle merci e dei servizi. Favorevole è stata, anche, levoluzione della disoccupazione il cui tasso è diminuito di quasi tre punti (graf. 3) poiché nonostante il netto rallentamento del valore aggiunto loccupazione è cresciuta.
Il rallentamento nella produttività non ha potuto compensare interamente laumento, peraltro modesto, dei salari (circa il 3% allanno) e pertanto il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato nellultimo periodo del 2% allanno ossia un tasso molto vicino allaumento dei prezzi. Questo significa che i salari reali sono cresciuti leggermente nellultimo periodo grazie allandamento delleuro che si è rivalutato nei confronti del dollaro (tav. 1 e graf 6).
Leuro forte ha difeso la stabilità delle grandezze monetarie ma ha creato indubbi problemi alla competitività dellindustria italiana. In questi dieci anni è stato annullato il vantaggio che le imprese italiane avevano nei mercati internazionali a seguito della svalutazione-dumping del 1992 (graf. 7). In effetti, a partire dal 2003 lItalia è tornata ad essere importatrice netta e dal 2002 il saldo delle partite correnti è negativo (-2.9% rispetto al PIL nel 2008) (graf. 8).
Uno dei punti deboli delleconomia italiana era la finanza pubblica e il trattato di Maastricht ci imponeva di tenere sotto controllo il disavanzo pubblico e di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL. In questi anni lItalia ha rispettato gli accordi portando lindebitamento netto su valori inferiori al 3 % grazie alla riduzione che ha avuto lonere del debito e ad una crescita di circa 5 punti del carico fiscale nellultimo periodo a fronte di un aumento di circa 2 punti delle uscite correnti: (graff. 9 e 10), ma il risanamento dei conti pubblici non è ancora strutturale poiché le crisi congiunturali creano problemi di sfondamento del limite allindebitamento netto. Come è stato già richiamato per spiegare la riduzione dellonere del debito pubblico, a partire dal 1998 i tassi a lunga sui titoli di Stato sono diminuiti di quasi 3 punti come media annua e agli scettici delleuro andrebbe ricordato che ancora nel 1993 il tasso medio era all11,3% a fronte di uninflazione del 4% mentre nel 2008 il tasso di interesse in termini reali è del 2% circa e analoga variazione hanno avuto anche i tassi a breve (tav.1).
Per completare la sintesi statistica del periodo osserviamo le variabili monetarie da cui si rileva che la creazione di moneta negli anni recenti è aumentata più del PIL a prezzi correnti (7,7% allanno contro 3,3%) mentre gli impieghi hanno rallentato la crescita, ma anche in questo caso il loro aumento (7,9%) è stato superiore allaumento del PIL (tav.1). La spiegazione di questi andamenti mette in luce il ruolo attivo svolto dalle banche e dalle finanziarie per favorire la privatizzazione delle attività dello Stato ed anche la crescita del finanziamento del credito al consumo mentre non altrettanto positivo è stato il ruolo delle grandi banche nel finanziamento degli investimenti produttivi.
Le politiche
Nel 1998, con ladesione allUem, lItalia perdeva i principali strumenti di politica economica (la creazione della base monetaria, la politica fiscale, la politica del cambio); in precedenza aveva già perso la politica industriale per ragioni di mercato unico mentre della politica del lavoro si poteva solo usare lo strumento della flessibilità e della formazione per rendere meno pesante il rischio di disoccupazione. Lideologia allora prevalente riteneva inutile e al limite dannosa la politica economica perché le difficoltà esistenti erano dovute al persistere di interventi da parte dello Stato e alla mancanza di riforme che realizzassero le condizioni imposte dallideologia che non era certo liberista, come si voleva fare credere, ma era centrata sullegoismo e sullesercizio del potere.
Lattuale crisi finanziaria e produttiva mondiale dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, lerrore di scambiare lideologia con la teoria economica - ma non si tratta di una novità - ed un errore di coloro che attribuiscono valore assoluto e scientifico a teorie condizionate dai comportamenti delle persone e delle istituzioni.
Il depauperamento degli strumenti di politica economica non ha modificato gli obiettivi della Bce e ancora meno quelli della Commissione e del Parlamento europeo. Non sono stati suggeriti strumenti alternativi se non le solite litanie sulle riforme che per definizione non possono essere utilizzate per uscire da crisi congiunturali. La conferma di questa situazione critica per le istituzioni europee è venuta dalla gestione della recente crisi da parte dei singoli paesi che hanno rivendicato ed imposto la loro autonomia, riappropriandosi degli strumenti di politica economica pre-Maastricht. Alla Commissione europea è rimasto un ruolo ancillare di semplice accettazione delle decisioni di Germania, Francia e Regno Unito con lItalia al seguito.
Per uscire dalla crisi, perciò, lItalia deve fare affidamento: a) sulla capacità di ripresa della nostra imprenditoria, media e piccola e peraltro non giovanissima, b) sul sistema bancario che deve finanziare la ripresa degli scambi e degli investimenti, c) sulle istituzioni che debbono favorire linnovazione non solo di prodotto e di processo ma anche la diffusione dei servizi forniti dalle reti tecnologiche. Perciò la ricetta è sempre la stessa: innovazione, investimenti, competitività, solo che in un sistema economico complesso non si può continuare a pensare che linnovazione spetti alla singola impresa del settore manifatturiero, oppure che le banche finanzino sulla base delle garanzie reali e non sulle prospettive di profitto legate allinnovazione ed infine che le istituzioni distribuiscano risorse senza preoccuparsi dei risultati attesi ma solo per compensare linefficienza del sistema ed i maggiori costi del settore terziario italiano pubblico e privato.
Linefficacia della politica della domanda
Come è noto, la politica economica dovrebbe avere come obiettivo, nel breve periodo, la crescita del prodotto interno lordo e delloccupazione, e, nel medio periodo, un aumento del benessere sociale mediante la crescita della produttività dei fattori che consenta un aumento dei salari reali e quindi della domanda e dell'occupazione, senza ridurre la competitività e anzi migliorando la collocazione internazionale delle nostre produzioni.
Sia la riduzione delle imposte, sia l'aumento della spesa pubblica risultano inefficienti perché una riduzione generalizzata delle imposte sulle famiglie, in una situazione d'incertezza sul futuro dell'occupazione, genera maggiore risparmio anche perché non ne godrebbero le fasce deboli e/o povere del paese che, per definizione, non hanno debiti fiscali. La riduzione della propensione media al consumo rispetto al reddito disponibile non induce gli imprenditori ad investire per migliorare la loro offerta e perciò anche la domanda di beni d'investimento rimane bassa. Inefficace sarebbe, anche, una riduzione delle imposte sulle imprese se non fosse vincolata ad un aumento degli investimenti e accompagnata da una realistica riduzione dellevasione. Questa politica a vantaggio delle imprese non deve impedire la naturale liquidazione delle imprese marginali che rimangono sul mercato grazie allevasione fiscale e si scontra anche con la decisione dei nostri piccoli e medi imprenditori di non modificare la loro dimensione. Pertanto, questi risparmi di imposta rischierebbero di tramutarsi in capitali impiegati allestero. Come insegna lesperienza degli anni successivi alla crisi valutaria del 1992 e alla contemporanea svalutazione-dumping.
Anche un aumento della spesa pubblica se è percepito come un intervento una tantum non induce una ripresa degli investimenti privati e provoca solo un aumento delle importazioni e dellimmigrazione di manodopera, se si continua a selezionare la spesa pubblica tradizionale. Leffetto può essere un aumento dei prezzi dei beni e servizi acquistati dalle amministrazioni pubbliche senza un aumento reale della domanda anche perché i pagamenti avvengono con notevole ritardo. La soluzione potrebbe essere un aumento dei trasferimenti alle famiglie bisognose ma purtroppo senza un controllo dellidoneità si rischia di favorire solo i cosiddetti opportunisti.
La politica dellofferta
In effetti, è indispensabile porre in essere la politica dell'offerta che ha un orizzonte temporale di medio termine ma i suoi effetti possono essere visibili anche nel breve periodo, almeno per la parte attivata dagli investimenti in tecnologie, ricerca, formazione e riorganizzazione dei processi. Trascuro di considerare le aspettative, la credibilità, la globalizzazione e tutto lapparato dei se e dei ma che di solito è utilizzato dagli economisti prudenti.
La politica dell'offerta deve migliorare l'efficienza del sistema Italia aumentando la produttività dei fattori, promovendo l'uscita dalle produzioni obsolete, riducendo il costo dell'energia e del trasporto, contenendo le rendite delle corporazioni, riducendo la rendita immobiliare, aumentando l'offerta di servizi pubblici efficienti e disincentivando i comportamenti opportunistici dei privati.
Gli obiettivi sono chiari e le politiche sperimentate. I settori di intervento non mancano ma per ottenere questi risultati gli incentivi devono andare: 1) allo sviluppo delle imprese con produzioni ad elevato valore aggiunto e tecnologicamente avanzate; 2) alla promozione della concorrenza, adottando modelli coerenti con l'innovazione tecnologica ossia la contendibilità dei mercati e con il controllo delle autorità indipendenti; 3) alla fornitura di servizi efficienti per le imprese a cominciare dalla logistica e in generale dai servizi che utilizzano le tecnologiche; 4) all'internazionalizzazione delle imprese intesa sia come localizzazione sia come intensificazione delle relazioni di collaborazione con le imprese estere.
La prima domanda cui dare una risposta è la seguente: può il mercato attuare una politica dell'offerta in modo spontaneo? La risposta è negativa. Forse una modifica delle regole può aiutare il mercato ad affrontare questa sfida, ma richiede molto tempo ed i concorrenti esteri non stanno fermi. La consapevolezza dei potenziali conflitti che si possono aprire fra i diversi operatori ( vecchi e nuovi, tradizionalisti ed innovatori, ecc.) richiede una pubblica amministrazione che abbia l'autorità per selezionare e/o mediare nell'interesse della collettività e senza interferenze politiche. Tutto questo richiede una concreta politica dell'informazione e della trasparenza che non si realizza con le norme ma con la gestione corretta degli interventi da parte delle amministrazioni e con il monitoraggio delle politiche mediante indicatori studiati per le singole politiche. Mi auguro che questa puntualizzazione neutralizzi i tentativi maldestri di liberisti pasticcioni che vogliono assegnare alle amministrazioni pubbliche comportamenti privatistici a scapito della tutela dellinteresse pubblico che deve essere correttamente definito.
Uno strumento di questa politica dell'offerta è la domanda pubblica purché: a) favorisca, direttamente e/o indirettamente, la produzione nazionale di eccellenza non necessariamente a proprietà italiana in un orizzonte temporale di medio termine, b) abbia un'elevata componente tecnologica e qualitativa che possa trovare un mercato più ampio e dinamico allesportazione. Questa strategia presuppone una corretta collaborazione fra imprese private ed operatori pubblici, questi ultimi in grado di identificare, progettare e monitorare soluzioni ad alto contenuto tecnologico, mentre le imprese fornitrici, selezionate con procedure concorrenziali ma senza semplicistiche valutazioni dei soli prezzi di fornitura, debbono garantire la qualità delle forniture e correlati servizi innovativi. In queste condizioni le imprese fornitrici potrebbero esportare le soluzioni innovative ed avere un vasto mercato internazionale, forti del sostegno implicito nella scelta del committente pubblico. Soprattutto, è indispensabile che si limiti e si controlli il ricorso al subappalto nella costruzione delle infrastrutture materiali ed immateriali e si incentivi la collaborazione fra le imprese complementari favorendo la trasparenza dei rapporti nellambito delle forniture. Le soluzioni contrattuali e finanziarie possono essere numerose ma è importante che limpostazione dei progetti, la selezione delle soluzioni, il controllo della corretta esecuzione siano nella piena responsabilità dellamministrazione committente che quindi si deve dotare di adeguate professionalità.
Uno strumento ulteriore è una politica dinamica di import substitution e di servizi pubblici ad elevata componente tecnologica, poiché si avrebbe un aumento della competitività delle produzioni italiane solo se accompagnata da investimenti nelle nuove tecnologie e da servizi innovativi nei processi e nelle organizzazioni (management della conoscenza). Un esempio positivo è la realizzazione dellalta velocità e degli investimenti in materiale rotabile e nelle reti e anche i liberisti più ligi alla dottrina ammettono gli incentivi allindustria nascente; ma si possono trovare esempi nella sanità e nel recupero dei beni ambientali e culturali.
La spesa pubblica per infrastrutture di servizi tecnologicamente avanzati può avere, anch'essa, effetti positivi analoghi sull'efficienza del sistema Italia ma l'intervento non deve limitarsi alle infrastrutture tradizionali (strade, ponti, ecc.) ma deve comprendere anche quelle immateriali (giustizia, formazione, ricerca, ecc.) ed in entrambi casi senza dimenticare il ricorso alle tecnologie dellinformazione, della conoscenza e della comunicazione. Nel caso delle infrastrutture, non si deve pensare ad esse come spesa pubblica improduttiva mentre è indispensabile finalizzarle alla fornitura dei servizi e controllarne la gestione.