Quattro chances per il Tfr

Idee per un programma / Gli accantonamenti dovrebbero essere messi nella piena disponibilità dei lavoratori che, sempre a fini previdenziali, dovrebbero poterne scegliere la destinazione tra quattro possibilità diverse
Attualmente, i fondi accantonati nelle imprese per il finanziamento del TFR svolgono
diverse funzioni. Da un lato, costituiscono un elemento di sicurezza dei lavoratori che, in caso di bisogno, anche in anticipo rispetto alla fine del rapporto di lavoro, sanno di poter disporre di un accantonamento finanziario di valore certo che sui mercati finanziari sarebbe più difficile e costoso trovare. Un’indagine svolta sul tema conferma la spiccata preferenza dei lavoratori a preservare questa disponibilità finanziaria; solo il 14% appare propenso a destinare il TFR alla previdenza integrativa.
 
D’altro lato, gli accantonamenti per il TFR mettono a disposizione, indifferenziatamente
per tutte le imprese, risorse finanziarie certe e a basso costo compensando – specialmente per le aziende più piccole e situate nelle aree meno sviluppate del paese – una diffusa difficoltà di accesso al credito bancario. Nel corso degli anni Novanta, il differenziale tra il prime rate e l’onere sostenuto per la disponibilità del TFR è rrivato a sfiorare i 9 punti percentuali.
 
Uno sviluppo sostenuto della previdenza privata che assorbisse tutto il flusso attualmente destinato al TFR porterebbe nelle casse dei Fondi pensione, in solo sei anni, un patrimonio di circa 100 miliardi di Euro, moltiplicando approssimativamente per 17 volte quello attuale.

Come si è visto, attualmente solo una quota modestissima del pur esiguo patrimonio
gestito dai fondi pensione affluisce verso il capitale di rischio delle nostre imprese; si tratta di un esito ancora una volta riconducibile alle caratteristiche del nostro apparato produttivo fatto di imprese con dimensioni e rapporti proprietari che ostacolano il loro collocamento in Borsa e che, dunque, spingono i gestori finanziari a collocare sui mercati esteri il risparmio nazionale.

Una forte crescita del risparmio gestito dai fondi pensione, derivato dalla disponibilità degli accantonamenti per il TFR sottratti alle imprese, accrescerebbe la difficoltà di collocarlo in azioni di imprese italiane. Permanendo le abitudini attuali, più della metà delle risorse finanziarie sottratte alle nostre imprese sarebbe impiegato all’estero.

Affidare una quota consistente della copertura pensionistica alla previdenza a
capitalizzazione (il Rapporto sulle strategie nazionale redatto dal governo pensa ad una quota del 25%) implica conseguenze anche per la funzionalità del sistema pensionistico.
L’analisi economica e le evidenze empiriche non supportano l’idea – a volte sostenuta – che i sistemi a capitalizzazione siano meglio attrezzati per fronteggiare i problemi posti
dall’invecchiamento demografico, o che garantiscano maggiori sicurezza di erogare le
prestazioni, o che offrano rendimenti maggiori. È più sicuro invece che essi, oltre ad avere costi strutturalmente più elevati, trasferiscono sui redditi da pensione la crescente instabilità dei mercati finanziari, rendendo più incerta l’entità delle prestazioni.

I recenti rovesci dei mercati finanziari hanno sicuramente contribuito a raffreddare
l’interesse per l’adesione ai fondi privati a capitalizzazione: fatto pari a 100 il valore dell’indice complessivo delle Borse mondiali MSCI all’inizio del 2000, esso è sceso fino a circa il 50% nel 2002; in Italia, l’indice di Borsa MIB30 nel corso del 2001 ha avuto un’oscillazione negativa del 48% e l’indice NUMTEL è calato del 74%. Ma anche rivolgendo l’attenzione a periodi più lunghi e riferiti all’andamento della Borsa americana, che storicamente è stata mediamente molto dinamica, le indicazioni che emergono sono di grande variabilità. I Fondi pensione che, nel periodo1911-1999, avessero prima investito i contributi pensionistici nella Borsa americana e poi trasformato il capitale in rendita finanziaria presso le compagnie assicurative, avrebbero garantito tassi di sostituzione che, solo per la variabilità dei mercati finanziari durante gli anni considerati, sarebbero oscillati dal 18% al 100%.
 
Cosa fare? Alcune indicazioni propositive.

C’è oramai condivisa consapevolezza che nel suo assetto attuale, la copertura pensionistica che sarà offerta dal sistema pubblico nei prossimi decenni sarà largamente inadeguata per un vasto e crescente numero di lavoratori attuali, anche se essi lasceranno il lavoro oltre i 60 anni d’età e con un’anzianità contributiva superiore ai 35 anni.

Per rimuovere questa prospettiva socialmente ed economicamente insostenibile, l’analisi generale dei sistemi pensionistici e quella specificamente rivolta alla situazione economica italiana, inducono a pensare che sarebbe controproducente puntare molto su uno sviluppo dei Fondi pensione a capitalizzazione che sia sostenuto e parzialmente sostitutivo della previdenza pubblica a ripartizione. Le controindicazioni riguardano non solo la funzionalità del sistema pensionistico – che peggiorerebbe – ma anche gli effetti negativi che si avrebbero per l’intero sistema economico.

Il dirottamento dei flussi per il TFR verso il finanziamento dei Fondi pensione si presta a diverse considerazioni critiche. Tuttavia, quelle disponibilità finanziarie – insieme alle
potenziali contribuzioni aggiuntive dei lavoratori, delle imprese e dello Stato – rappresentano un insieme complessivo il cui valore è prossimo al 10% del costo del lavoro; si tratta di un cospicuo ammontare di risorse finanziarie cui si dovrebbe poter attingere per sostenere le prestazioni pensionistiche inadeguate.

Attualmente, quelle risorse – a cominciare dagli accantonamenti per il TFR, ma ancor più le possibili contribuzioni aziendali e statali – non sono nella piena disponibilità dei lavoratori; pur ritenendo opportuno che esse rimangano vincolate a finalità previdenziali, una prima indicazione propositiva è che, invece, i lavoratori possano acquisire piena libertà di scelta circa il loro impiego. Acquisita la disponibilità d’impiego non solo degli accantonamenti destinati al TFR, ma anche dei contributi delle imprese e dello Stato che oggi sono subordinati all’adesione ai Fondi pensione, la successiva indicazione è che il lavoratore possa liberamente scegliere di ripartire l’intero flusso tra quattro possibili impieghi: accantonamenti presso le aziende finalizzati al TFR; versamenti ai Fondi pensione; aumento della contribuzione al sistema pubblico
obbligatorio per aumentarne corrispondentemente le prestazioni; versamento ad un Fondo di riserva pubblico gestito a capitalizzazione che, come già avviene in altri paesi dell’Unione Europea, avrebbe la funzione primaria d’integrare il finanziamento del sistema pubblico.
 
La governance di questo fondo dovrebbe essere messa al riparo da eventuali comportamenti opportunistici dei responsabili della politica fiscale che potrebbero essere stimolati dagli effetti positivi esercitati dall'attività del Fondo sul deficit del bilancio pubblico.

Per i lavoratori parasubordinati, che non dispongono del TFR e sono quelli per i quali si prospetta la più preoccupante carenza di copertura pensionistica, si ritiene necessario procedere ad un allargamento delle basi di finanziamento delle prestazioni che vada oltre il loro reddito.

È tuttavia importante fare delle precisazioni. Per questi lavoratori, il metodo contributivo riproduce a livello pensionistico le sperequazioni di cui soffrono a livello contrattuale. Ogni deroga alla logica attuariale del sistema contributivo se, da un lato, in qualche misura può essere accettata per compensare le peggiori condizioni contrattuali del periodo lavorativo, d’altro lato, può risolversi in un incoraggiamento opportunistico di quella forma contrattuale. Per evitare effetti controproducenti, si pone dunque l’avvertenza di una attenta taratura delle modalità d’intervento; queste possono anche essere ricondotte all’architettura dell’attuale sistema contributivo, operando sulla differenza tra aliquote di finanziamento e aliquote di computo delle prestazioni.

Infine, un altro modo per compensare le prestazioni più basse potrebbe essere
l’introduzione di meccanismi simili alle integrazioni al minimo esistenti in passato.
 
(Queste proposte sono tratta dal Rapporto sullo stato sociale a cura di F.R.Pizzuti)
 
 
Venerdì, 29. Luglio 2005
 

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