Quasi tutta atipica la nuova occupazione

E' ben il 70% di quella creata fra il primo trimestre 2005 e il primo 2006. Ormai siamo sotto la media europea come percentuale di occupati che hanno un lavoro stabile. Cosa si potrebbe fare per affrontare subito il problema
Per il 70 per cento la nuova occupazione creata nell’ultimo anno (tra il primo trimestre 2005 e il primo trimestre 2006) è lavoro atipico (che cresce del 7,7%). Il lavoro a termine, più in particolare, aumenta di 211mila unità nel 2005 (+11% in più sul 2004). E’ l’ISAE a segnalarlo in una nota ripresa in questi giorni dalla stampa. Dopo il Rapporto Annuale 2005 dell’ISTAT (vedi qui il capitolo specifico), che aveva lanciato un allarme sull’occupazione precaria (crescono gli occupati ma diminuiscono le ULA, (Unità Lavorative A Tempo Pieno Equivalenti), e la Nota Mensile del marzo 2006 della stessa ISAE che aveva dato conto di una crescita abnorme dei lavori a progetto nel 2005 (il 50% del totale delle assunzioni effettuate nei servizi), si susseguono i dati di fonte ufficiale che fanno progressivamente  giustizia della favola berlusconiana, ripetuta innumerevoli volte dal duo Sacconi-Maroni in campagna elettorale, secondo cui l’Italia sarebbe la patria dell’occupazione stabile in un’Europa precaria.
 
Quella favola inanellava una serie di invenzioni: si tratta di una falsa percezione, come l’inflazione da change-over; la precarietà è confinata in settori ristretti di giovani al primo ingresso nel lavoro; data la stasi del PIL, la flessibilità è lo strumento fondamentale per la crescita dell’occupazione. Un mix di vero e falso: è vero che le statistiche indicano per il nostro paese un peso del lavoro a termine sull’insieme del lavoro dipendente inferiore alla media europea; ed è vero che l’occupazione, sia pure di poco, negli ultimi due anni è aumentata.
 
Ma gli stessi dati statistici ufficiali si stanno incaricando di smontare quelle affermazioni: la crescita del flusso di nuove assunzioni precarie sta facendo sentire i suoi effetti, pian piano, anche sullo stock (che in Europa invece diminuisce), mentre l’occupazione cresce soltanto grazie alla regolarizzazione degli immigrati, senza che aumenti il tasso di occupazione (perché il flusso di immigrati fa crescere, insieme con l’occupazione, anche la popolazione).
 
Al di là di questi fatti, resta da sottolineare come la quota relativamente bassa di lavoratori a termine, di cui menava vanto il passato governo, oltre ad essere in consistente aumento, e ormai quasi allineata alla media europea, sia frutto di due “distorsioni” statistiche, originate da due anomalie tipicamente italiane. Prima, una quota di lavoro temporaneo è nascosta nel lavoro indipendente (per il quale, in base ai criteri europei, non può essere contemplata, per definizione, l’ipotesi di una temporaneità) sotto la specie della parasubordinazione (co.co.) sconosciuta alle statistiche degli altri paesi europei. Seconda, una quota degli occupati totali - maggiore di circa il 10-15% rispetto agli altri paesi europei - è in nero, nascosta alle statistiche e tuttavia precaria.
 
Depurato da queste distorsioni statistiche, il quadro che ci si offre è molto eloquente: su cento persone in età lavorativa, in Italia 32 hanno un’occupazione stabile, in Europa 39. Per le donne scendiamo a 23 in Italia mentre sono 30 in Europa. Questa è la cruda realtà con cui fare i conti. Non solo il flusso di nuove assunzioni è di qualità sempre peggiore, ma anche lo stock degli occupati standard è ben lontano dalla media degli altri paesi europei. In altri termini, siamo agli ultimi gradini della scala della qualità dell’occupazione.
 
Del resto, a dispetto della falsa propaganda del centro-destra, la lotta alla precarietà del lavoro è invece risultata per l’Unione una parola d’ordine decisiva, unificante e distintiva, per la costruzione del rapporto con gli elettori, in particolare dei giovani che con il loro voto hanno determinato quel delta tra Camera e Senato che ora permette al centro-sinistra di governare. Un debito deve dunque essere onorato nei confronti di una parte significativa degli elettori.
 
Di qui l’urgenza di un recupero. Ne va della credibilità nei confronti degli elettori ma anche delle prospettive di sviluppo economico sociale del paese. E proprio le distorsioni statistiche possono offrire un valido suggerimento per scegliere la direzione di marcia. Per un verso, evitando di attardarci sulle tipologie di contorno inventate dalla legge 30, è necessario aggredire la piaga della parasubordinazione, abbattendone la convenienza relativa (anche l’idea, già annunciata, di applicare sulla sola occupazione stabile la riduzione del cuneo può servire) e smantellando la mistificante cornice normativa che ne ha consentito il dilagare. Per l’altro, attivando a tutti i livelli amministrativi - verticali (per ente, quindi per tipologia di evasione) e orizzontali (per ambito geografico istituzionale, quindi per condizione socio-economica locale) - piani coordinati di intervento contro il sommerso, partendo dal presupposto che non esiste una sola norma risolutiva, né un solo strumento risolutivo, mentre c’è assoluto bisogno di un lavoro sinergico diretto nella stessa direzione. I segnali provenienti dal mondo sindacale dovrebbero essere accolti come una benedizione, essendo molto incoraggianti in queste direzioni. Il tempo, però, stringe.
Venerdì, 28. Luglio 2006
 

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