A proposito del “Patto suicida” Renzi-Berlusconi

L’ analisi contenuta nell’ articolo Un patto suicida è totalmente condivisibile. Soprattutto quando viene evidenziata, al di là del pur discutibile metodo che ha costruito l’accordo Renzi-Berlusconi, la questione della mancanza del principio della separazione dei poteri, cioè la mancanza di contrappesi, essenziale per garantire la vita democratica, peraltro presente in tutte le democrazie occidentali. Nonché quando viene sottolineata  “la spregiudicata capacità di aggregazione del composito universo del centro-destra estraneo a ogni vincolo di coerenza che non sia la acquisizione di potere”.

 

Solo un’ osservazione: il composito universo del centro-destra è definito come composto da “spezzoni da soli condannati a sparire per l’altezza delle soglie di accesso”; se ci limitassimo ad osservare le forze partitiche o parlamentari è proprio così, ma tenterei  di scavare più in profondità.

 

Ritengo che il “composito universo del centro-destra” sia fondamentalmente rappresentato da quella rete di corporazioni che alligna dagli ordini professionali ai servizi, dalla pubblica amministrazione alle imprese, che sono il risultato di una stratificazione ultradecennale su una società corporativa e nemica del libero mercato concorrenziale. Questa è l’origine della traduzione in rappresentanza politica di quella “destra becera”, populista e demagogica, arrogante e fascista, secessionista e xenofoba, etc. che da noi imperversa da un ventennio, enormemente distante dalle tradizioni di “moderatismo normale”, come invece è da tempo presente negli altri paesi europei.

 

Tutto ciò è dimostrato sia dai documenti storici: la corrispondenza tra il primo governo provvisorio e gli alleati (che convenirono) in cui si affermava che, purtroppo, non era possibile estirpare il fascismo (che non dimentichiamo è nato in Italia ed è stato poi esportato in Spagna e Germania, dove peraltro è stato successivamente sradicato) perché era troppo diffuso e permeato soprattutto nell’apparato statale (che si è riciclato prima nella Dc e poi con Berlusconi); nonché – guardando solamente le forze partitiche o parlamentari –  anche dalle due vittorie “zoppe” di Prodi (nel 1996 fu determinante la lista-Dini, nel 2006 Mastella ed altri non proprio di sinistra; sappiamo com’è andata a finire).

 

Detto altrimenti, parafrasando lo psichiatra Andreoli, quando osserva che sono solo cambiati gli attori, soltanto un po’ più giovani, mentre sono rimasti inalterati i “registi e sceneggiatori”, cioè i soliti che stanno dietro le quinte e che manovrano e decidono tutto.

Quindi, una delle pre-condizioni per uscire da una situazione che ingessa il Paese, che corrode la solidarietà e mette sotto ricatto qualsiasi forza politica, sarebbe smantellare le corporazioni, abbattendo le rendite di posizioni impermeabili, che operano prevalentemente nel settore dei servizi e delle professioni, utilizzando licenze pubbliche o norme che le riconoscono, facendo cartello per ottenere un privilegio, una licenza, una “patente”, organizzate con riconoscimenti e vantaggi, affiliati e vincoli di ingresso, per essere immuni dalla concorrenza, a tutela dei propri interessi contro quelli degli altri (meno taxi in circolazione più introiti per chi è già dentro, meno notai più parcelle per quelli che lo sono, meno farmacie più lucro per le farmacie esistenti, etc., etc.).

 

Così come vanno combattute le imprese che fondano le loro fortune sull’evasione, il falso in bilancio, la corruzione per truccare l’assegnazione degli appalti pubblici, il dispregio delle più elementari norme di tutela del lavoro e sicurezza, etc.; parimenti andrebbero disincentivate quelle che puntano al facile guadagno immediato in mercati a basso contenuto tecnologico (con bassa conoscenza e saperi, bassi salari ed occupazione a rischio dall’essere soppiantati dall’offerta di manodopera al più basso costo); nonchè abolire il diritto amministrativo ed applicare le norme dei rapporti di lavoro privato alla pubblica amministrazione, ristrutturandone pro-efficienza l’apparato apicale (vedi l’esempio inglese).

 

Mi fermo qui; l’elenco sarebbe ancora lungo (tra cui la necessità impellente sia di redistribuire i redditi ed il lavoro, facendo ripartire la domanda interna; nonché di far riemergere la parte migliore e virtuosa di ognuno di noi, cioè un senso civico come coesione di fondo, che tenga unito il paese nelle sue parti e nelle sue diversità, nel rispetto di regole e legalità, in una dimensione equa e solidale, contrapposta all’arricchimento individuale con qualsiasi mezzo a scapito della collettività, che è il fondamento teorico del neoliberismo; etc., etc.).

 

In sintesi, ci vorrebbe una “rivoluzione culturale progressista” che cambi profondamente l’Italia degli egoismi, delle corporazioni, delle clientele, del familismo; purtroppo non si intravvede ancora chi potrà proporre, guidare e fare tutto ciò. Meno che mai sarà il “liberista camuffato” Renzi, uno s-pregiudicato che fa il patto suicida col pregiudicato.

 

Flavio Pellis

Lunedì, 10. Febbraio 2014
 

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