In un mercato dalle caratteristiche specifiche come qello dell'energia non basta scorporare dall'Eni la rete di distribuzione, a parte i costi e i problemi legali che ciò comporterebbe. Non si otterrà nulla se non si riuscirà a fare in modo che l'offerta superi la domanda
Il viaggio di Putin in Medio Oriente, a metà di febbraio, è stato per molti versi un evento politico rilevante. Come si è visto anche dalle dichiarazioni ufficiali, ha avuto un tema importante: quello dellassetto internazionale dellindustria del gas naturale. Unindustria un tempo a carattere regionale - i grandi metanodotti non superano gli oceani - che è diventata internazionale per il progresso tecnologico sia dei metanodotti sottomarini, sia del trasporto del gas liquefatto, LNG. Questo secondo sta rivoluzionando il mercato, introducendo contratti spot, e creando una vera e propria concorrenza fra fornitori. I venditori tradizionali, e in particolare russi e algerini, hanno visto in questo fenomeno una chiara minaccia alle loro politiche di prezzo e stanno cercando di correre ai ripari creando un cartello di venditori simile a quello dellOPEC, anche se lOPEC non è un vero cartello, ma un meccanismo per mantenere il prezzo a un livello che riduce la produzione.
Qualche dato di base é necessario per comprendere meglio la situazione. I grandi esportatori di gas sono in primo luogo la Russia, che esporta per metanodotto il 21% delle esportazioni totali, seguita dai tre paesi del Mare del Nord (Norvegia, Inghilterra e Olanda) che esportano per metanodotto il 18% del totale, e dai tre grandi esportatori dellEstremo Oriente (Indonesia, Malesia e Brunei) che esportano via mare Gas Naturale Liquefatto (LNG) pari al 9,6% del totale. Questi sono seguiti a loro volta dallAlgeria, che esporta sia per metanodotto, sia come LNG circa il 9%. Seguono i paesi del Medio Oriente (Qatar, Oman ed Emirati) che esportano via mare il 6% del totale, e gli altri paesi dellAfrica, Nigeria ed Egitto che in ambedue i modi esportano il 2,6% del totale.
Fra gli esportatori , il paese che con maggiore determinazione e tenacia persegue, e non da oggi, lobiettivo di un cartello del produttori, è proprio l Algeria, che è stata lantesignana dellesportazione di gas allEuropa, ed ha abbondanti riserve di gas, ma ha sempre cercato di seguire, per il gas come per il petrolio, una politica di prezzi alti, con il risultato di favorire la concorrenza del gas russo, che in breve tempo ha conquistato la posizione più forte. Tuttavia, la Russia sembra aver di recente cambiato politica. Fino a qualche anno fa, la strategia di Gazprom era sostanzialmente rivolta a due principali obiettivi: aumentare le quantità vendute e proteggere il mercato europeo contro possibili importazioni di gas dal Medio Oriente.
Per questo secondo fine, i russi hanno rivolto una particolare attenzione al mercato turco, il possibile punto di arrivo di gas dai paesi del Golfo. Una volta saturato il mercato turco con gas russo, un gasdotto dal Medio Oriente, non avendo più possibilità di vendere grosse quantità di gas lungo la prima parte del tragitto, dovrebbe raggiungere lItalia o lAustria per poter iniziare a vendere il suo prodotto: unopzione che è molto probabile risulti poco competitiva, e quindi di difficilmente praticabile. Come si è puntualmente verificato. Più di recente, la politica russa sembra cambiata, e lenfasi è chiaramente posta su due elementi: il prezzo del gas e la possibilità di vendere direttamente il proprio gas sul mercato europeo, e non attraverso le imprese distributrici europee .
E possibile che i russi cerchino oggi di creare una struttura simile allOPEC, anche se i problemi da risolvere sono molto complessi, a cominciare dalla necessità di abbandonare la politica seguita finora della massima produzione possibile, e di gestire il volume prodotto sulla base degli obiettivi di prezzo. Questa politica applicata dallOPEC al petrolio greggio ha fatto calare nel tempo la quota del greggio OPEC sul totale mondiale a poco più del 30%, quando le riserve dei paesi OPEC potrebbero coprirne una quota molto maggiore. Inoltre, i due modi di esportare il gas per metanodotto sottomarino o in terraferma , oppure liquefatto a temperatura bassissima, trasportato per nave, e rigassificato allarrivo - hanno tecnologie molto diverse, e costi diversi.
Il forte sviluppo tecnologico del trasporto via mare sia per metanodotto sottomarino, sia come LNG, ha allargato di molto le dimensioni del mercato di esportazione di gas . Oggi, i paesi del Medio Oriente, pur essendo distanti dai grandi mercati del gas, esportano già via mare una buona quota del totale, e tendono, specie il Qatar - che non esporta petrolio ma ha gigantesche riserve di gas - a sviluppare la loro quota di mercato partecipando direttamente al capitale di impianti di gassificazione e a contratti di approvvigionamento in tutto il mondo, compresa lItalia. E ancora troppo presto per sapere se tali tentativi, che non sono nuovi, avranno successo. Vale però già la pena di dire che produttori e consumatori sembrano essere su due lunghezze donda molto diverse. Gli uni cercano di creare, nei limiti del possibile, un mercato di prezzi crescenti, attraverso un monopolio su scala planetaria; gli altri parlano di aumentare la concorrenza sui loro mercati per avere prezzi più bassi. I due gruppi non sembrano aver contatti fra di loro, e questo fa temere un risultato che finirà per danneggiare almeno una parte, o addirittura tutte e due.
In Europa si discute da tempo su come creare o aumentare la concorrenza sul mercato dellenergia, e in particolare del gas naturale, e sulla necessità di cambiare la struttura dellindustria per ottenere vantaggi importanti per i consumatori, cioè un prezzo più basso. Una posizione esplicita della Commissione europea in favore della separazione della rete gas dal resto dellindustria ha suscitato un dibattito che ha ancora un tono fortemente ideologico. Il documento indica come priorità principale quella di separare il sistema di trasporto del gas, cioè la rete di metanodotti allinterno di ogni paese, dalla produzione e dallimportazione, al fine di favorire la concorrenza rimuovendo una possibile strozzatura, e di abbassare i prezzi al consumatore. Credo che per discutere utilmente una questione del genere sia necessario mettere in chiaro alcuni punti principali.
In primo luogo, cè da osservare che si ha concorrenza sul mercato di una materia prima quando diversi venditori cercano ognuno di aumentare la propria quota di mercato, e a tal fine riducono i prezzi. Cioè quando operano sul mercato più imprese di dimensioni non troppo diverse fra di loro, con diverse fonti di approvvigionamento, e quindi diversi costi, e interessate a sviluppare i loro volumi, anche al di là di quanto sarebbe prudente, nella speranza di aumentare la loro quota di mercato.
Attualmente in Italia ce nè una sola, e non ci sono segni che se ne possano creare diverse della dimensione richiesta. Ci vuole quindi un approvvigionamento in una qualche misura superiore alla domanda, e possibilmente diversificato come origine. Si tratta appunto della famosa bolla che lENI mostrava di temere, proprio per il suo possibile effetto sui prezzi. Inoltre, la creazione di un mercato concorrenziale richiede che la rete di trasporto sul mercato interno abbia una capacità eccedente la domanda, senza la quale leccesso di offerta non potrebbe mai arrivare al mercato.
Il secondo punto è che il modo migliore per sviluppare lofferta non è chiedere di più ai fornitori tradizionali, i quali da qualche tempo a questa parte danno al prezzo unimportanza ben maggiore che in passato, e probabilmente avrebbero anche qualche difficoltà di produzione e/o di trasporto se lo volessero fare. Il nostro paese ha perduto lopportunità di partecipare al progetto di metanodotto sotto il Mar Baltico, che servirà la Germania, e forse lInghilterra. Nessuno ha proposto che lEuropa negoziasse con il fornitore russo in quanto tale e non come singoli paesi, e questa ne è stata la conseguenza.
Ci si può pertanto riferire solo allaltro mercato, quello del gas naturale liquefatto, i cui venditori sono ancora interessati a sviluppare le loro vendite. In Inghilterra, di fronte allinarrestabile declino della produzione del Mare del Nord, ed al conseguente aumento del prezzo del gas, le imprese inglesi, dopo un momento di panico, hanno lanciato una serie di nuovi rigassificatori, già finanziati, ottenendo al solo annuncio dei progetti una riduzione del prezzo del gas sul mercato dei futuri. Nel nostro caso, pur essendo necessario lanciare nuovi gassificatori, in terraferma o galleggianti, o (come fantasiosamente propone qualche ministro) addirittura montati su navi, non sarebbe tuttavia sufficiente. Questoperazione deve, infatti, essere sostenuta da un aumento della capacità di trasporto della rete italiana. Spostare la rete dalluno allaltro dei possibili operatori lasciando immutati lapprovvigionamento e la capacità della rete, potrebbe non avere altri effetti che quelli di facciata.
Un altro punto è la natura delle imprese coinvolte. Staccare la rete dei metanodotti dellENI ridurrebbe il valore di unimpresa privata privatizzata di fresco. In nome di una maggior concorrenza, dobbiamo rinazionalizzarne un pezzo? Oppure imporre allEni di vendere una parte del suo patrimonio? LENI è unimpresa privata a capitale internazionale: le imposizioni si possono anche fare, ma con tutta probabilità riuscirebbero molto costose, se non proibitive. Ci vuole poco ad immaginare a che livello scenderebbero le azioni dellENI nel caso che la rete venisse scorporata senza congruo compenso. E non é difficile immaginare quale sarebbe la reazione di chi subirebbe le perdite, (e si dovrebbe supporre anche dello Stato italiano che detiene il 30 per cento del patrimonio azionario), vere o immaginare che siano.
Come si comporterebbe una società privata una volta ottenuta la rete? Il capitale privato va dove lo remunerano meglio e, specie in Italia, non ama investire . Per investire, la rete deve produrre profitti, o per autofinanziare i progetti, o per pagare gli interessi sul capitale di prestito, profitti che devono venire dal prezzo che la società gestore della rete ottiene dai suoi clienti. Che prospettive di profitto avrebbero i privati comperando una rete regolata dallo Stato al fine dichiarato di far abbassare i prezzi del servizio di trasporto? Negli Stati Uniti vi sono importanti esempi di imprese gestite come public utilities, quella più rilevante essendo lindustria elettrica. Le public utilities devono seguire una regolamentazione molto precisa, sostenuta da una Commissione Federale che ha il ruolo di un vero e proprio tribunale. Questo sistema non è mai stato popolare in Italia. La destra non lha mai voluto in nome della libertà dimpresa, e la sinistra non ha mai creduto alla possibilità di gestire delle imprese private al fine del pubblico bene.
Si pone qui il problema ignorato al momento della privatizzazione dellENI. Secondo le interpretazioni tradizionali di Adamo Smith, le imprese private fanno linteresse generale quando fanno più soldi possibile. Tuttavia, esiste un interesse generale che può non coincidere con quello di unimpresa, soprattutto di una impresa che, disponendo già di una quota di mercato altissima, non ha alcun interesse ad aumentarla, né a sviluppare lapprovvigionamento a vantaggio dei propri concorrenti (un paradosso che si è già verificato quando lENI costruì e mise in funzione il gasdotto dalla Libia).
Linteresse generale o, come si diceva un tempo, linteresse nazionale, è curato dallo Stato? Lo Stato in Italia è gestito nellinteresse della casta dei politici, che non ha in quanto tale una strategia propria, se non quella di mediare fra i contrapposti gruppi di potere. Lindebolimento della Pubblica amministrazione e il suo asservimento alla politica non è cosa di oggi. Come sempre in Italia,ogni problema economico ritorna sempre al tema di base, lefficienza ed il prestigio dello Stato.
Mercoledì, 28. Febbraio 2007