Pippo, che ci ha insegnato a contrattare

Morelli ha istruito una generazione di sindacalisti a discutere con le aziende su quello che pensavano fosse il loro terreno, i criteri di gestione delle aziende. Ma il suo impegno e il sua amore per la cultura andavano anche oltre l’impegno sindacale a cui pure dava moltissimo.

Vorrei dire di Pippo Morelli, un sindacalista grande della Fim, della Cisl, del sindacato, che m'è stato maestro prima amico poi. Ho letto il ricordo che ne ha fatto Pierre Carniti. Asciutto, essenziale, come è lui, centrato sulle politiche sindacali sulle quali Pippo ha lasciato la sua forte impronta: la critica alle economie competitive e il primato della solidarietà, il rapporto tra unità e potere contrattuale, la formazione degli adulti sub specie 150 ore. Tutto molto bello e molto vero, vorrei però aggiungere qualche ricordo.

 

Pippo s'è impegnato su molti fronti. S'è occupato seriamente degli "ultimi della terra", in Brasile, così come, nel nostro paese, ha contribuito a dare un'anima ai più aspri conflitti sociali che hanno attraversato il nostro paese, dal no all'abolizione della legge sul divorzio all'esperienza dei "Cristiani per il socialismo". In questi giorni è venuta meno Margherita Hack. Due morti diverse nel ricordo e nella percezione del mondo, eppure così vicine: Pippo tutto anima e sentire, anche nella politica; la Hack tutta materia, atomi, molecole, particelle, corpi celesti e astrofisica. La differenza la fa la fede, ma che importa: non chi dirà Signore Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi avrà amato ....

 

Quando ho incontrato Pippo le prime volte faceva parte del gruppo di "esperti contrattuali" confederali. Girava a Milano e per l'Italia, con la sua borsa di cuoio piena di fogli, per insegnare le teorie del conflitto sociale, i contenuti della contrattazione e, in tale ambito, le tecniche di misurazione della produttività del lavoro. Per insegnare a contrattare, in definitiva. E in effetti molti sindacalisti, giovani e no, cominciavano così ad impadronirsi degli strumenti del mestiere e ad inseguire imprenditori ed aziende pretendendo un maggior riconoscimento del lavoro e della sua

produttività.

 

Una delle formule magiche utilizzate era quella del P/H, cioè del premio di produzione calcolato non più sulla base di criteri unilaterali fissati "dal padrone" ma definiti dal rapporto tra la produzione fatta e le ore lavorate. Non si creda fosse una cosa da poco: con quelle tecniche

contrattuali prese grande vigore la contrattazione aziendale e, forse per la prima volta, si resero gli attivisti sindacali protagonisti dei contenuti e della gestione delle loro lotte. E noi della Fim e della Cisl eravamo finalmente orgogliosi di noi stessi: non più timidi e incerti sulle lotte, costringevamo le imprese a misurarsi su un terreno che credevano un loro spazio riservato, quello relativo ai criteri di gestione dell'impresa, mentre su un altro versante vedevamo i compagni comunisti della Cgil

arrancare nell'inseguirci faticosamente nel tentativo di impossessarsi di una logica per loro del tutto nuova.

 

Ma Pippo, oltre che contrattualista e docente di contrattazione, è stato anche un maestro di vita e di sindacato. Amava profondamente la cultura, la conoscenza e riteneva di dover regalare questo suo amore a tutti quelli che si accostavano a lui. Dell'esperienza delle 150 ore ha già scritto Pierre. Ma intere generazioni di sindacalisti hanno vissuto le sue proposte formative, tutte molto aperte, fortemente critiche verso ogni forma di settarismo e di ideologia. In tutti i luoghi e sedi sindacali immaginabili, compreso lo splendido Centro studi di Firenze del quale Pippo fu per qualche

anno il direttore. Ma, come formatore, io preferisco ricordarlo per l'attività del centro di Renesso. Faceva coppia con lui Nino Pagani, un gigante dell'organizzazione. Nino era riuscito a prendere in affitto una vecchia colonia fascista per ragazzi a Renesso, sull'Appennino ligure tra Milano e Genova. I segni del tempo (come anni passati, ma anche come epoca) si vedevano tutti. Caduto il fascismo era rimasta lì inutilizzata. Grandi camerate, corridoi larghi e lunghi oltre 50 metri tant'è che qualche volta i corsisti improvvisavano chiassose partite di bocce subito represse, cucine

immense. E fuori spazi verdi a non finire tra campi e campetti sportivi di vario tipo.

 

Pippo, Nino, io, con le nostre mogli e figli. E, quando venivano, Macario, Carniti, Manghi, Antoniazzi. S'era formata una piccola comunità.... Pippo chiamava sempre a gestire la formazione intellettuali non organici ad alcuno, non allineati. Ci costringevano a ragionare su tutto: sul sindacato, sull'unità, certo, ma anche sulla famiglia, sulla Chiesa, sull'internazionalismo, sull'antagonismo sociale e sui gruppi che allora lo esprimevano, sul movimento degli studenti, sui testimoni del cristianesimo scomodo. E spesso erano pezzi del nostro vissuto ad essere messi in

discussione, magari delle nostre un po' rigide convinzioni. In quel tempo si fece scorta di idee e progetti nuovi, ci si avventurò per territori allora sconosciuti ma che presto sarebbero diventati gli ambiti frequenti del nostro impegno sindacale e sociale. Anche Nino Pagani spesso ascoltava. E

taceva. Per lui si dicevano cose "un po' troppo di sinistra", ma era tanto l'affetto e la stima che nutriva per Pippo da non avere voglia di obiettare qualcosa.

 

Maestro di vita, dunque. Era uno "del sindacato" e non "nel sindacato". La sua appartenenza era molto forte. Ovunque ha portato il suo stile, che a volte poteva apparire erroneamente ingenuo, ottimistico, visionario. Ma era lo stile di uno convinto che insieme, condividendo ideali e valori, le cose si potevano cambiare. Trascinava, perché era autentico. No, non faceva lezioni di morale. Era la moralità della sua vita che lasciava il segno. È stata la sua testimonianza a segnare la nostra identità, o almeno la mia.

 

Ciao Pippo, riposa tra i fanciulli, i miti, i buoni del signore.

 

Se è lecita una sommessa osservazione, vorrei aggiungere che è impressionante la modestia, e talvolta il silenzio, nel quale la Cisl lascia seppellire i suoi morti. A me pare che una organizzazione che non onori la propria memoria sia una organizzazione che anticipa la fine della propria storia.

Giovedì, 11. Luglio 2013
 

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