Pio XII, la comodità del 'silenzio sofferto'

Un convegno per contrastare “la leggenda diffamatoria di un Pontefice filonazista” con gli intervanti del papa e del segretario di Stato. Che però non poteva riuscire nella rivalutazione di chi scelse di tacere di fronte al nazifascismo

Non c’era solo da tutelare l’esclusivo diritto della Chiesa cattolica di decidere sulla beatificazione di Pio XII. Era urgente, anche, contrastare “la leggenda diffamatoria di un Pontefice filonazista” e respingere le accuse concernenti i “cosiddetti silenzi” con cui la Santa Sede avrebbe assistito allo sterminio degli ebrei. Perciò, in un convegno sull’eredità del magistero di Papa Pacelli, hanno preso la parola il Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, e Benedetto XVI. I due interventi sono comparsi su Avvenire del 7 e del 9 novembre.

 

Il Papa ha osservato che “negli ultimi anni, quando si è parlato di Pio XII, l’attenzione si è concentrata in modo eccessivo su una sola problematica, trattata per di più in maniera piuttosto unilaterale”. Ciò avrebbe impedito di apprezzare “una figura di grande spessore storico-teologico”. Pio XII ebbe il merito di occuparsi “con vasta e benefica ampiezza” dei “doveri dei giudici, degli avvocati, degli operatori sociali, dei medici”. Si appassionò, in un discorso rimasto “famoso”, alla “raggiunta scissione dell’atomo”. Aveva una “memoria di ferro” e fu magistrale per il suo “insegnamento mariologico” culminato nella proclamazione del dogma dell’Assunzione. Un discorso deludente, ma soprattutto inquietante laddove non è elusivo nell’affermare che “l’eredità del magistero di Pio XII è stata raccolta dal Concilio Vaticano II” costituendo “una chiave interpretativa” dei testi conciliari. Sorprende che Papa Ratzinger non richiami e non valorizzi, invece, di Pio XII, i radiomessaggi natalizi del 1942 e del 1944 che delinearono una chiara apertura ai principi della democrazia dopo anni di estraneità e prepararono alla vita politica molti giovani futuri protagonisti dell’Italia repubblicana.

 

Il compito di affrontare la questione del rapporto fra Papa Pacelli e lo sterminio degli ebrei è stato invece affidato al cardinale Bertone. Il più stretto collaboratore del Pontefice ha ripetuto che fu “immensa e documentata” l’opera di soccorso disposta da Pio XII a favore dei perseguitati e degli ebrei. E quanto a “quello che venne bollato come silenzio” di fronte al crimine della Shoah, esso non nacque da neutralità o indifferenza, ma “fu invece una scelta consapevole e sofferta, basata su un giudizio morale e religioso chiarissimo”.

 

Orbene, cerchiamo di evitare i giudizi sommari. Combattiamo intolleranze e comode omissioni. Fra il 1919 e il 1945 il maestro unico di Predappio ebbe modo di prendere il potere e il suo movimento fascista riuscì a circolare, a penetrare e a permeare la società italiana grazie alla collaborazione attiva o al consenso passivo variamente motivato dei più disparati ambienti sociali e politici. La Confindustria, Giovanni Giolitti o il senatore Agnelli non erano fascisti e non erano entusiasti del fascismo. Però pensavano che, seppur con il deprecabile uso delle squadracce, il fascismo potesse conseguire l’utile obiettivo di allontanare il pericolo socialista e di normalizzare i disordini della conflittualità sociale: in un secondo tempo, si sarebbe trovato il modo di costituzionalizzare il fascismo, di depurarlo dagli eccessi di violenza, di obbligarlo a rientrare nell’alveo della legalità.

 

Non molto dissimilmente, la Chiesa cattolica sperò di utilizzare i regimi autoritari “ai fini di una restaurazione cristiana”. La Conferenza Episcopale Tedesca revocò nel marzo 1933 il divieto ai cattolici di prendere la tessera nazista solennemente proclamato neanche un anno prima. Pio XII “non tacque di fronte allo sterminio sistematico degli ebrei (..) ma la protesta fu sempre commisurata a preoccupazioni morali e diplomatiche. La prima preoccupazione fu quella di non aggravare con la pubblica denuncia le condizioni dei perseguitati e dei cattolici presenti nei paesi dominati dal nazismo”. Mentre con i regimi concordatari la Chiesa pensò di difendere la libertà di tutti difendendo gli spazi dei cattolici, la condanna della Germania nazista fu mitigata “dalla presenza dell’Unione Sovietica nel fronte antinazista”. Il segretario agli Affari Straordinari, monsignor Tardini, auspicava che dalla guerra il comunismo uscisse “già sconfitto ed annientato e il nazismo debilitato…e da sconfiggere”: la sconfitta del comunismo per mano della Germania era prospettata come primo passo verso una successiva eliminazione del nazismo. (vedi Pietro Scoppola, La Chiesa e le dittature, “Edizioni Famiglia cristiana”, p.122-127).

 

Nel conto delle responsabilità per l’ascesa europea del nazifascismo vanno dunque inseriti anche questi pronunciamenti di peso decisivo. Quanto ai silenzi sofferti, quello rivendicato dal cardinal Bertone non fu il solo. In effetti, fu sofferto anche il silenzio delle madri e delle spose che nel dicembre 1935, con l’oro alla Patria, offrirono una legittimazione popolare alla guerra imperialista contro l’Etiopia. E sofferto fu il silenzio di Benedetto Croce che si presentò all’altare della Patria per rinunciare alla sua medaglia di senatore. Soffrirono in silenzio i 1188 docenti universitari che nel 1931 accettarono di giurare fedeltà al regime lasciando soli nella resistenza i dodici che invece rifiutarono. Sofferto deve essere stato il silenzio di studenti, famiglie e insegnanti che assistettero all’espulsione degli ebrei dalle scuole e dagli impieghi pubblici disposta dalle leggi razziali del settembre 1938. Tutti ebbero rispettabili motivi - privati, ideali o contingenti – per scegliere la strada del silenzio sofferto. Molti vollero rimanere estranei alla lotta politica e preferirono obbedire al regime. Ma quel silenzio sofferto non salvò la loro libertà di parola e non evitò la tragedia della guerra. Di questo sarebbe saggio discutere, a meno che non si ritenga di poter confinare la memoria storica al ruolo di celebrativa custodia del ricordo e a retorica coltivazione dei riti della riconoscenza pubblica. Purtroppo, i segnali di imbarbarimento si moltiplicano e il Male si presenta oggi “in forme apparentemente innocue: quando si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, è un Nemico, si pongono le premesse – ha scritto Vittorio Foa introducendo Primo Levi – di una catena al cui termine c’è il Lager, il campo di sterminio”.

 

Chi scelse di tacere non aiutò né accelerò la fine della dittatura. Per buttarla giù non bisognava sparire. Fu addirittura necessario sparare. Poi, certo, guai a noi se dovessimo solo odiare e nient’altro.

 

Mercoledì, 19. Novembre 2008
 

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