Piccoli passi, ma non sono inutili

Ma per i progressi su ambiente e povertà non bastano i vertici, serve un lavoro politico continuo

E' calato il sipario sullo "spettacolo" di Johannesburg. Senza applausi per un vertice che avrebbe dovuto fare scelte concrete sul futuro del pianeta e sulla povertà che minaccia la vita di miliardi di persone.

I documenti sottoscritti alla fine di interminabili discussioni, che hanno anche questa volta opposto le società opulente ai paesi sottosviluppati, hanno lasciato delusi quanti si attendevano, più che la ripetizione di discorsi sulle strategie, la assunzione di concreti impegni. Questa distanza tra le parole e i fatti è stata presa a pretesto dagli scettici che considerano "utopia" i progetti dei "terzomondisti", i quali anche in questa occasione hanno comunque mobilitato molti giovani in proteste di piazza contro l'inerzia dei governi.

Ma si deve riconoscere che l'assenza di Bush ha pesato più della presenza dei capi di governo europei. La "potenza egemone" non vuole essere condizionata dalla polemica contro la globalizzazione e contro "l'Impero", e l'insofferenza che ha accolto l'intervento del segretario di Stato Colin Powell, colomba tra i falchi, non ha fatto che approfondire questa frattura.

L'Europa, che pure si é battuta su alcune questioni (difesa dell'ambiente, energia) con determinazione, é stata indebolita dal collateralismo di alcuni governi nazionali, dallo scetticismo degli Stati Uniti. I quali, specie sulle scelte relative al futuro dell'energia (e sulle ricadute che questo tema ha sulla questione climatica) hanno potuto contare sull'alleanza di alcuni paesi sottosviluppati e dei paesi produttori di petrolio.

Sarebbe comunque sbagliato considerare del tutto inutile la politica dei "piccoli passi", come sarebbe sbagliato restare in attesa di un altro "spettacolo" ed affidare solo alla mobilitazione contro i "vertici" dei governi la costruzione di un mondo più giusto.

Da Johannesburg esce rafforzato il ruolo delle Organizzazioni non governative nelle iniziative da assumere nella lotta contro gli squilibri sociali ed economici, che pesano soprattutto nei paesi più poveri, quasi sempre oppressi da regimi dispotici.

Si vedrà quali comportamenti seguiranno alle affermazioni di principio, ma non è senza significato che Russia e Cina abbiano corretto la loro posizione sul protocollo di Kyoto, come non è senza importanza l'impegno a rendere più consistenti gli aiuti ai paesi poveri e più incisiva la lotta contro la fame e contro l'AIDS che colpiscono soprattutto i popoli dell'Africa. La lotta contro la povertà è l'azione più efficiente nella lotta contro il terrorismo.

Qualche critica riguarda comunque anche l'Europa: la contraddizione che ad esempio è evidente tra la PAC (la polotica agricola comunitaria), che esprime una sorta di "protezionismo" a favore dell'agricoltura del vecchio continente, e la necessità che il mercato europeo si apra alle produzioni dei paesi in via di sviluppo.

Che fare? Le soluzioni non dipendono solo dalla volontà politica dei governi, e non si tratta solo di far accettare alle "corporazioni" le regole del commercio internazionale, che anche gli USA piegano alle loro convenienze (questione dell'acciaio).

L'economia globale nasconde anche le contraddizioni dei paesi in via di sviluppo, che nella fase di transizione da un'economia chiusa ad un'economia aperta potrebbero vedere compromessa la vita delle fasce sociali più deboli, che vedrebbero ridursi le risorse alimenteri tradizionalmente a loro disposizione e crescere il loro costo.

Queste contraddizioni rendono più evidenti le responsabilità che ha la politica non soltanto nei confronti della mondializzazione dei mercati ma anche dove il mercato è cieco nei confronti della misura umana dell'economia.

Lunedì, 23. Settembre 2002
 

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