Più 'verde', più lavoro

Cresce anche in Italia il numero di occupati nei settori ambientali. Nel 2006 c'è stato un incremento di 25mila unità rispetto all’anno precedente: in tutto, 336mila occupati. Le nuove professioni richiedono più qualificazione ed un costante aggiornamento

La crisi finanziaria non spaventa l'industria delle energie rinnovabili che è sicura non solo di poter raggiungere, ma anche di riuscire a superare l'obiettivo del 20%, fissato da Bruxelles per le energie verdi entro il 2020. Lo si legge nella nuova Road Map preparata dall'EREC (European Renewable Energy Council), un'organizzazione che parla a nome dell'industria, del commercio e della ricerca europea delle rinnovabili. Produttori di pannelli solari e fotovoltaici, di eolico e di altre tecnologie ''verdi'' assicurano di poter fornire con le rinnovabili più del 20% del consumo energetico generale.

 

La tecnologia è in grado di farlo. Il settore, a seconda del grado di efficienza energetica raggiunta, coprirà una parte tra il 33 e il 40% dei bisogni europei di elettricità, il 25% del riscaldamento. Buone notizie anche per i biocarburanti che saranno in grado di sostituire il 10% del consumo di carburanti fossili. Le stime dell'industria rinnovabile sono basate su uno scenario di crescita annuale possibile, differenziato per tecnologie. Proiezioni da cui risulta che alcuni settori svilupperanno obiettivi più ambiziosi dimostrando, così, che l'industria europea può fornire molto più del 20% di energia verde deciso a Bruxelles.

 

Condizione sine qua non per raggiungere i traguardi indicati è che gli Stati membri continuino a sviluppare il proprio potenziale per le rinnovabili e ad investire nelle nuove tecnologie. Mentre alcuni paesi Ue vorrebbero fare marcia indietro sul fronte delle energie alternative, preoccupati dai costi ingenti che comporterà attuare la proposta della Commissione europea con obiettivi differenziati per le rinnovabili, l'EREC sposa la posizione assunta dall'esecutivo. Valuta che gli investimenti in energie verdi genereranno sul lungo periodo buoni profitti oltre a favorire l'occupazione. Il settore, che già impiega 400.000 addetti con un turnover di 40 miliardi di euro, secondo le stime EREC fornirà nuovo ossigeno all'economia europea con due milioni di posti di lavoro.

 

D’altronde, anche il neo eletto presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha dichiarato che scommetterà sul mercato dell’industria “verde” con un investimento che sarà intorno ai 150 miliardi di dollari e una previsione di crescita dell’occupazione stimata intorno ai 5 milioni di nuovi posti di lavoro.

 

Per quanto riguarda il nostro paese, sebbene con ritmi molto più contenuti, gli occupati nei settori “verdi” continuano ad aumentare. Lo rivela una ricerca condotta dall’Eurispes. Nel 2006, infatti, stando ai dati dello studio, si è verificato un incremento di 25mila unità rispetto all’anno precedente: 336mila occupati in tutto, 40mila con contratto a termine, 39.700 autonomi e il resto assunti a tempo indeterminato. Il settore agro-forestale, con una quota del 37%, detiene la leadership, seguito dal comparto rifiuti con il 25,1%. Vanno bene anche i settori del turismo ambientale (12,1%), della sicurezza (7,2%) e difesa, controllo e disinquinamento (7,2%). Sono il Sud e le Isole, con una forza lavoro che si aggira intorno al 40%, ad essere maggiormente interessate dal fenomeno, precedendo il Centro e il Nord, che si attestano ad un valore prossimo al 20%. Inoltre, il Nord-Est, generalmente considerato come l’area più rigogliosa del paese, occupa l’ultima posizione con un 18,2% di dipendenti.

 

Cresce anche la presenza delle donne, ma nonostante questo rimangono in numero inferiore rispetto agli uomini, che, nel 2004, sono intorno al 76% del totale. Dall’analisi condotta dall’Eurispes emerge pure un aumento del livello di istruzione: i diplomati ed i laureati passano rispettivamente dal 32,4% e 7,7% del 1993 al 43,6% e al 9% del 2001. Da questo punto di vista, incidono le nuove occupazioni legate al settore del turismo e dei rifiuti, che richiedono professioni specializzate.

 

Questa indagine conferma quanto era emerso in una precedente rilevazione effettuata dall’Istat: i dati relativi alle tendenze del mercato del lavoro ambientale presentano, infatti, un incremento progressivo. L’impressione che emerge è quella di un mercato del lavoro più aperto e di una società più disponibile alle trasformazioni, ma che certo non vede la tutela dell’ambiente come un freno all’economia, una perdita anziché un guadagno.

 

Inoltre, con l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, il legame tra economia ed ambiente si consolida ulteriormente. Per rispettare gli impegni presi, si punta molto sulle cosiddette fonti “rinnovabili” (eolico, fotovoltaico, biomasse, ecc.). Tutto questo determina il consolidarsi di nuovi settori di produzione che creano spazi per il lavoro anche in considerazione degli ingenti investimenti in energia pulita previsti per i prossimi anni.

Uno studio presentato dall’Ises Italia, che fa ricorso alla Tavola Intersettoriale dell’Economia italiana per valutare l’effetto complessivo degli investimenti, ha calcolato per il mercato delle fonti rinnovabili entro il 2010 un impatto occupazionale netto compreso tra le 59.600 e le 71.200 unità. Il risultato sarà determinato dall’applicazione delle tipologie presenti di fonti rinnovabili: nel caso in cui le diverse tecnologie si rivelassero al massimo delle loro potenzialità, si potrebbe raggiungere da una parte il massimo rendimento energetico e dall’altra il livello più alto di nuove unità lavorative. Oltre agli effetti strettamente occupazionali, lo sviluppo nelle zone agricole di attività connesse alla generazione di energia da fonti rinnovabili, aumentando il reddito in loco, metterebbe in moto un circolo virtuoso di cui avranno beneficio soprattutto le comunità locali (maggiore circolazione di denaro, aumento dei tributi locali riscossi, maggiori investimenti per infrastrutture ed informazione).

 

Con la firma del trattato di Kyoto, inoltre, si sta andando verso l’obbligo della certificazione energetica degli edifici, il controllo periodico dei generatori di calore degli impianti termici, l’etichettatura degli elettrodomestici e l’obbligo di uno standard di minima efficienza per frigoriferi e congelatori. Per l’assunzione delle regole di efficienza energetica negli edifici e nei posti di lavoro per produrre o utilizzare una componentistica più avanzata e competitiva che realizzi un’efficienza energetica più elevata negli edifici, recenti studi prevedono oltre 200mila nuovi impieghi addizionali permanenti.

 

Inoltre, in questo contesto, è nata una nuova figura professionale, quella dell’Energy manager. Le linee di intervento di tale figura necessitano di esperienze e conoscenze che vanno dall’uso razionale dell’energia allo sviluppo e redazione di bilanci energetici, all’ottimizzazione dei contratti al servizio calore ed elettricità, all’effettuazione di un audit energetico, alla conoscenza della legislazione nazionale, regionale e comunitaria in materia energetica, ambientale e della sicurezza. Si tratta, dunque, di una professione complessa, dotata di conoscenze interdisciplinari e che mette al centro del proprio intervento le interazioni tra il sistema produttivo dell’energia, della pubblica amministrazione e dell’ambiente.

 

Da tutto questo emerge come ambiente e occupazione non siano necessariamente categorie in conflitto tra loro. In una intervista rilasciata al mensile Modus Vivendi il segretario confederale Cisl Renzo Bellini ha sostenuto che “la strada da imboccare è quella dello sviluppo sostenibile e duraturo, che sia in grado di coniugare l’economia con i temi umani-sociali-ambientali e di soddisfare i bisogni del presente, senza compromettere quelli delle future generazioni. Va ricordato – continua Bellini – che l’unica forma di finanziamento alle imprese consentita dall’Europa è quella finalizzata al miglioramento delle tecniche ambientali. Quindi alla qualità. Servono nuovi indicatori di sostenibilità oltre il Pil, capaci di descrivere le reali componenti del benessere e della qualità della vita. E gli imprenditori hanno il dovere di usare i loro profitti per riorganizzare costantemente l’azienda, per cercare nuovi spazi di competitività che non siano esclusivamente sul costo del lavoro”.

 

(Matteo Auriemma lavora al Dipartimento Sviluppo sostenibile Cisl nazionale)

Martedì, 23. Dicembre 2008
 

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