Perché mai una crociata sul MES?

Vari soggetti politici continuano a premere perché si chieda subito quel prestito, ma una cosa è certa: se mai servirà, di sicuro non è questo il momento. Il Tesoro, approfittando delle condizioni favorevoli, ha emesso titoli in abbondanza, e ad agosto la liquidità giacente in tesoreria ha superato i 100 miliardi

Secondo un copione ormai collaudato, la conferenza stampa di Conte sulle misure per far fronte alla recrudescenza della pandemia è stata inaugurata dalla domanda di un giornalista sul MES. Ogni occasione è buona: si dovrebbero fare più tamponi? Se avessimo preso i soldi del MES avremmo potuto comprarli. E assumere decine di migliaia di infermieri, e fare scorta di vaccini anti-influenzali, e acquistare in anticipo milioni di dosi di vaccini in corso di sperimentazione.

Il tema MES continua ad occupare il primo posto nei pensieri dei nuovi “volonterosi”, a costo di risultare stucchevole nella sua ripetitività e di suscitare sempre più sospetti. Anche perché qualcuno potrebbe domandarsi come mai, mentre continua questa campagna su ogni genere di organi di informazione (?), si tace , o si stravolge, la seguente “notiziola”: al 31 agosto le disponibilità liquide (il “fieno in cascina”) del ministero del Tesoro hanno superato i 100 miliardi di euro. Questo è avvenuto grazie all’andamento delle emissioni, che ha visto il Tesoro collocare titoli in misura maggiore dello stretto necessario, approfittando dei tassi favorevoli. Basti pensare che i BTP a tre anni sono ora emessi a cedola zero, per la prima volta nella storia della Repubblica, mentre quelli di durata più breve sono già da tempo a interesse negativo.

Di questo parlano pochi iniziati, mentre i titoli a grandi caratteri sono riservati al “nuovo record del debito” che, effettivamente, sale a 2.579 mld in agosto, aumentando di 18 mld sul mese precedente: un aumento che corrisponde però quasi per intero a quello delle disponibilità liquide del Tesoro, visto che il fabbisogno è cresciuto per meno di mezzo miliardo.

Ci sarebbe da domandarsi, se la domanda non fosse puramente retorica, che interesse hanno i media “mainstream” a far credere al pubblico che il motivo per cui mancano tamponi, o infermieri, sta nell’ostinazione di Cinquestelle e sinistra varia, che impediscono di ricorrere al MES: infatti, non è la disponibilità liquida che manca e ci sarebbero quindi le coperture nei limiti del debito corrente, se fosse quello il problema.  Stenta, invece, ad avviarsi il percorso di ricostruzione di un sistema sanitario che torni ad essere quello originariamente immaginato dalla riforma del’78, fatto oggetto negli ultimi vent’anni di un attacco feroce, tra tagli di risorse e devoluzione al privato “profit”, anche quando si presenta sotto mentite spoglie: un percorso che non si esaurirà in pochi mesi e che, anzi, deve ancora compiere i primi passi. Non solo, ma dovrà coinvolgere, oltre al governo chiamato a restituire allo stato centrale il suo ruolo determinante, le istituzioni decentrate cui spetta di offrire alla popolazione i servizi cui hanno diritto.

Ma ci si può porre la stessa domanda, in questo caso assai meno retorica, per la posizione assunta dal PD, peraltro (particolare ancora meno scontato) senza che si sia levata una voce per riportare la questione nei suoi termini reali. Che non sono quelli, su cui pure si esercita un duello accanito tra opposte fazioni, se le condizionalità del MES siano state sospese o accantonate, con atto formale o con impegno solo “politico”. La questione, molto più banale nella sua concretezza, non riguarda neanche la necessità o meno di una disponibilità aggiuntiva, rispetto ai fondi Next Generation UE, di ulteriori 37 miliardi in prestito a tasso agevolato (anche ammessa l’assenza di condizionalità). Questa decisione non si pone comunque nell’oggi, come continua sommessamente a spiegare il ministro dell’Economia che ricorda evidentemente di aver giurato fedeltà alla Costituzione, prima che alla sua segreteria di partito. Per questo motivo, di nuovo, assai banale, sorge il dubbio circa le reali motivazioni della richiesta avanzata dal PD e dalla destra liberista, da Brunetta a Calenda passando per Renzi, di decidere, ora, che, sì, ne abbiamo bisogno e avanziamo pertanto, ora, in questo preciso frangente politico, la richiesta di accesso a quei fondi. Dubbio a cui si associa quello se il fatto di essere i primi a sottoporre alla UE la richiesta di un prestito di 37 miliardi, a un tasso basso ma comunque superiore a quello di collocamento dei titoli fino a 3 anni, non avrà effetti sulla rischiosità del Paese percepita dai mercati. A chi giova un movimento dello spread verso l’alto, in misura imprevedibile, ma certo?

Naturalmente, questa domanda è retorica: dall’annuncio del Recovery Fund, lo spread ha mantenuto un trendcostante, o al ribasso, anche se andando oltre i tre anni si attribuisce evidentemente un certo peso alle incognite che continuano a gravare sulla nostra economia e alle incertezze sulla tenuta politica di un paese chiamato a confrontarsi con sfide di portata straordinaria.

La fase è straordinaria per il pianeta intero, ed è proprio questo che rende i mercati molto cauti nel valutare il futuro del nostro paese: l’eccezionalità allinea un po’ tutti ai nastri di partenza e costringe a “resettare”, ad azzerare qualche rendita e demolire certezze del passato. Tradotto nella contabilità venale della speculazione finanziaria, questo significa che con i nuovi equilibri che si stanno delineando nello scenario globale, e in particolare in quello europeo, certi giochi speculativi molto allettanti, sostanzialmente scommesse contro l’Italia, non sono più praticabili con i pregressi profitti. Che poi tali scommesse sappiamo essere un vizio antico della finanza “de’ noantri”, magari riciclata off shore: se ne videro gli effetti già nella primavera del ’92, quando, con la scusa dell’aumento dei tassi tedeschi di un quarto di punto, il saldo annuo dei movimenti non bancari di capitale passò da un attivo di 33.800 miliardi di lire ad un passivo di 24.500, con tutto quello che poi ne seguì.  Altri tempi, stessi intendimenti.

Lo “stigma” di cui si parla è dunque il timore che i mercati traducano in un aumento del rischio connesso al nostro debito l’annuncio formale che ricorreremo al MES. Ossia, che non ce la faremo e che avremo bisogno che un Fondo esterno venga a salvare il nostro Stato concedendoci un prestito oneroso. Che Monti lo consideri una fake news, non stupisce. Preoccupa, però, che lo sostenga il PD e faccia del MES un vessillo da innalzare (solo?) per distinguersi dagli alleati di governo, senza soffermarsi sulle conseguenze: a parte il solito Renzi, cui prodest?

Per di più, l’indirizzo che sta prendendo il Ministero del Tesoro va nella direzione, che dovremmo sostenere con decisione (ne abbiamo parlato in un precedente intervento), di colmare per quanto possibile la distanza tra l’alto debito pubblico e il non meno alto risparmio privato nel nostro paese. Tema annoso: ma se non è questo il momento, ora che la società si interroga su sé stessa ed è portata a non dare più per scontata nessuna delle verità presentate da qualche decennio come assolute, senza alternative, in nome del dio mercato e del profitto che lo sovrasta, allora quando?

Giovedì, 5. Novembre 2020
 

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