Perché la Snam dovrebbe restare dell’Eni

Mentre tutti i grandi del petrolio puntano sul gas l’Italia si appresta a fare il contrario, separando la rete dalla capogruppo: una mossa che danneggerebbe soprattutto la prima, ridurrebbe il peso nel mercato mondiale del nostro gruppo energetico e lo spingerebbe a oriemtare il suo business sempre più lontano da noi

E’ di questi giorni la notizia che la Exxon Mobil è diventata il maggior produttore di gas negli Stati Uniti dopo l’acquisto, per 25 miliardi di dollari, della Xto Energy, concluso nonostante che il prezzo del gas continui a scendere negli Stati Uniti per la sovrabbondanza del gas “non convenzionale”. Qualche commentatore l’ha criticata per questo, ma l’Exxon Mobil ha ribadito che le prospettive del gas naturale sono ottime e lo saranno per parecchio tempo ancora. Lo stesso dice la Shell, i cui nuovi maggiori progetti comprendono gas naturale liquefatto, perforazioni profonde e gas non convenzionale.

 

Nello stesso tempo, la Exxon Mobil ha ceduto alla TonenGeneral Sekiyu, uno dei maggiori raffinatori giapponesi, la sua società di raffinazione e distribuzione giapponese, per 3,9 miliardi di dollari. Questa, dicono i commentatori, è la mossa più recente delle grandi compagnie petrolifere per portare al centro dell’attenzione lo sviluppo delle nuove fonti di petrolio e, soprattutto, di gas, mentre la parte “a valle” è sempre meno attraente, almeno in Europa.

 

Queste due majors sono esempi sufficienti dell’importanza che il gas naturale riveste e rivestirà nel quadro generale dell’economia dell’energia. Gli esperti parlano di ”momento storico” del gas, come combustibile e come carburante, e lo considerano un importante, e vincente, concorrente al petrolio. Tutti i paesi corrono con le loro aziende  alla ricerca di gas, e si moltiplicano i progetti di nuovi metanodotti, uno dei quali è stato completato di recente, dalla Russia alla Germania sotto il Mar Baltico. Altri progetti sono in discussione, alcuni dei quali d’interesse dell’Eni per ulteriori forniture al mercato italiano.

 

Ma l’Italia è un paese straordinario, che fa sempre tutto il contrario di quello che fanno gli altri. Proprio nel momento in cui tutte le imprese petrolifere scelgono il gas, e invidiano l’esperienza e la posizione dell’Eni nel settore, la Repubblica Italiana ha deciso di togliere il settore del gas della maggiore impresa petrolifera nazionale per darla... ad un organo dello Stato. Detto così sembra una re-nazionalizzazione, ma tutti dicono che in realtà è una privatizzazione. Viene da sospettare che prima o poi quel troncone sarà diviso fra i tanti piccoli e medi operatori che si credono capaci, e probabilmente non lo sono, di gestire un sistema così complesso e così delicato per l’economia e il nostro benessere.

 

Per spiegare la decisione, qualcuno ha sostenuto che bisogna fare nel gas come nell’energia elettrica, e porta l’esempio della Terna, che distribuisce l’energia elettrica nel paese. Dicono che serva bene l’utenza. Meglio così. La Terna distribuisce una produzione che in maggior parte avviene nel paese di cui essa è il solo distributore, o in paesi limitrofi. Non è certo questo il caso del gas. La produzione del gas è mille miglia lontana, ed i venditori non sono degli sprovveduti, anzi, russi e algerini hanno le loro strategie, e lo stesso avranno i libici quando avranno superato l’attuale momento di confusione dopo la caduta della dittatura. Per comprare bene le quantità richieste dall’economia italiana, ci vuole finanza, e in abbondanza, e l’Eni nel suo complesso, di finanza ne ha.

 

Per presentarsi come compratori credibili ci vuole, oltre alla finanza, un potere di mercato, cioè la credibilità del compratore, e la sua capacità di rappresentare al venditore uno scacchiere più complesso e variegato del mercato del gas. Nessun’altra azienda italiana ha mai costruito un metanodotto per rifornire il mercato italiano, il che era perfettamente possibile a chiunque ne avesse voglia. L’Eni lo ha fatto ed ha gestito il sistema con la Snam guadagnandosi l’esperienza operativa, e coprendo l’intero territorio nazionale, ricco o povero, vicino o lontano, pianeggiante o montano. Non si vede perché mai la Snam non debba oggi avvantaggiarsi del potere di mercato e finanziario dell’Eni nei suoi rapporti con i venditori. Se non l’ha, dovrà certamente pagare di più. Qualcuno potrebbe obiettare che la Snam è un monopolista, che tiene i prezzi alti. Un monopolista in mancanza di concorrenti, che ha fatto investimenti giganteschi per fornire un mercato che non c’era, e doveva essere creato, mentre altri non hanno investito, e ugualmente si ritengono  in grado di migliorare il servizio e di abbassare i prezzi.

 

L’Italia è il paese europeo più lontano dal maggior produttore mondiale, la Russia, e si può collegare con altri produttori solo con costose condotte sottomarine. Per stimolare la concorrenza sul mercato, la soluzione migliore è costruire d’urgenza almeno una coppia di altri gassificatori, che sarebbero comunque necessari, offrendo un’ulteriore garanzia di concorrenza, ma anche di maggior rifornimento del mercato. Dopo il primo piccolo impianto, a Panigaglia, l’Eni tentò di costruirne uno, più grande, a Monfalcone, ma non gli fu permesso dalle autorità locali. Viene il sospetto che l’idea  di “liberare“ la Snam dall’Eni potrebbe derivare direttamente dal carattere degli italiani e dal loro atteggiamento negativo verso le grandi imprese.

 

Eni è rimasta l’unica grande impresa internazionale italiana, con una reputazione mondiale, grande capacità tecnica e finanziaria ed operazioni in tutto il mondo. La privatizzazione parziale l’ha forse resa meno interessata al mercato italiano, e fino ad ora, ha tenuto bene anche la sua posizione nel paese: ma gli italiani non amano le grandi imprese, le considerano arroganti ed invadenti, portatrici di una cultura del lavoro che essi considerano dannosa, a meno che non prometta un arricchimento a breve termine.

 

Perdere il gas, cioè la Snam, ridurrà l’interesse dell’Eni alla parte a valle del settore petrolifero che ha oggi una redditività assai scarsa se non nulla. Perduta la Snam, l’Eni non avrà più opportunità importanti in Italia, e vedrà il mercato italiano come uno fra i tanti. E poiché il mercato “tira” spaventosamente nel vicino e lontano Oriente, a quell’area verranno diretti tutti gli sforzi, come avviene per le majors. Il mercato del gas “tira” in modo incredibile in Giappone, Cina, ed India, ed un’impresa che abbia del gas senza un immediato mercato in Europa, sceglierà di portare il suo prodotto dove c’è maggior domanda, cioè, nel Far East, dove guadagnerà di più.

 

Noi italiani siamo proprio sicuri di non aver bisogno nella nostra economia di grandi imprese? Vogliamo imparare dai nostri concorrenti tedeschi o francesi? Le loro grandi aziende comperano gli spezzoni delle nostre vecchie frazionate e privatizzate, perché hanno finanza, cosa che le aziende italiane non hanno perché i padroni non investono se non di non di rado i loro guadagni nell’impresa, la finanza italiana non esiste, e le banche si guadano bene dall’uscire dall’ossessione della garanzia reale. Così le imprese non possono crescere. Neanche l’Eni sarebbe cresciuta se, dopo la morte del fondatore, il governo italiano non si fosse reso conto dell’importanza del petrolio e non avesse aumentato il fondo di dotazione (ossia il capitale) dell’Eni a livelli sufficienti per la crescita dell’impresa, che ripartì nel suo sviluppo, che, nel bene e nel male, dura ancora. E speriamo che nessuno trovi il modo di fermarlo, o di dirigerlo verso lidi lontani.

Sabato, 25. Febbraio 2012
 

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