Perché la Bce teme l'aumento dei salari

Di fronte alla crisi finanziaria la Federal reserve e la Banca centrale europea hanno tenuto due linee piuttosto diverse, la prima preoccupandosi della crescita, la seconda insistendo sui rischi di inflazione. Nonostante un aumento dei prezzi considerato fuori linea la Bce non ha però aumentato i tassi, perché lo ritiene temporaneo; teme però che una rincorsa retributiva lo consoliderebbe

La crisi finanziaria originata dai mutui ipotecari americani ha ormai assunto dimensioni globali. La crisi può essere vista come una conseguenza negativa del modo in cui l’innovazione finanziaria si è andata evolvendo. Le istituzioni finanziarie hanno trovato il modo di rendere “liquidi” i prestiti ipotecari, vendendoli sui mercati finanziari internazionali come fossero delle normali obbligazioni, facendo ricadere il rischio del recupero dei crediti su operatori diversi da quelli che li hanno concessi.

 

La crisi dei mutui subprime è “esplosa” in maniera eclatante il giorno 8 agosto 2007,

manifestandosi con un forte incremento dei saggi di interesse sui mercati interbancari dovuti alla diffidenza delle istituzioni finanziarie a concedersi prestiti tra loro e alla propensione a mantenersi in una posizione “liquida”. L’aumento dei tassi di interesse interbancari ha provocato una serie di reazioni da parte delle banche centrali dei principali paesi industrializzati, reazioni che stanno incidendo in maniera significativa sulla gestione della politica monetaria.

 

Dopo l’aumento dei tassi di interesse interbancari, sia la Federal Reserve che  la Banca Centrale Europea hanno immesso sui mercati quantità di base monetaria superiori a quelle messe in circolazione dopo l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001. La Federal Reserve ha provveduto a due emissioni straordinarie di base monetaria nel mese di dicembre e due nel mese di gennaio. Nello stesso periodo la BCE ha realizzato altre due emissioni straordinarie in dollari messi a disposizione dalla Federal Reserve e la banca centrale svizzera ha provveduto a un’ulteriore emissione straordinaria sempre in dollari messi a disposizione dalla Fed. La Banca d’Inghilterra è invece intervenuta negli stessi mesi con due emissioni straordinarie in sterline.

 

Oltre alla cooperazione tra le banche centrali, un altro elemento di novità deve rilevarsi nelle

procedure di emissione di base monetaria per il rifinanziamento delle istituzioni finanziarie

monetarie. Nel corso di questa crisi la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra hanno adottato un approccio più vicino a quello della BCE. Le due banche centrali anglosassoni avevano sempre mostrato attaccamento al ruolo tradizionale di “prestatore di ultima istanza”, privilegiando le operazioni di rifinanziamento delle singole banche a quelle realizzate attraverso aste rivolte ai mercati interbancari, aste che tendono a attribuire il ruolo di prestatore di ultima istanza più ai suddetti mercati che alla banca centrale. Nel corso della crisi, invece, anche la Fed e la Banca d’Inghilterra hanno privilegiato il rifinanziamento dei mercati interbancari attraverso emissioni di titoli swap e la Federal Reserve ha ammesso una più ampia partecipazione delle banche statunitensi, rispetto a quella ammessa in precedenza, alle aste effettuate nei mesi di dicembre e gennaio per l’emissione di base monetaria.

 

Passando alle priorità attribuite all’inflazione e alla crescita economica, la Federal Reserve, come già in altre occasioni, ha mostrato rispetto alla BCE un maggiore attivismo nella gestione della politica monetaria e una maggiore attenzione ai problemi connessi alla stabilizzazione dei livelli di produzione. Le variazioni dei tassi di interesse a breve termine sono state, ancora una volta, più marcate negli USA che nell’area dell’euro, confermando l’idea che la Federal Reserve tende ad attribuire priorità diverse da quelle attribuite dalla BCE alla lotta all’inflazione e alla recessione.

 

Per approfondire maggiormente questo punto è necessario però soffermarsi su un ulteriore elemento emerso nel corso di questa crisi. Diversamente dal passato, in questa occasione la Federal Riserve non ha considerato la lotta alla recessione e quella all’inflazione come obiettivi confliggenti. Secondo Frederic Mishkin, autorevole accademico e componente del Comitato della Fed che fissa i tassi di interesse, quando l’inflazione è importata dall’estero, come nella situazione presente in cui essa è dovuta agli aumenti dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli sui mercati internazionali, la banca centrale deve fissare i tassi di interesse in modo da stimolare prioritariamente la crescita della domanda e della produzione di beni, preoccupandosi solo di verificare che le pressioni inflazionistiche siano interpretate dagli operatori come temporanee.

 

La BCE non ha assunto posizioni esplicite di questo tipo. Non mancano però segnali di un

comportamento diverso da quelli sin qui mostrati. Pur in presenza di un saggio di inflazione che ha superato il 3% tra dicembre 2007 e febbraio 2008, la BCE non ha aumentato i tassi di interesse, come imporrebbe la linea di condotta sin qui seguita. Nell’area dell’euro i tassi di interesse, che negli USA sono notevolmente diminuiti, sono rimasti costanti. Questa costanza, se evidenzia un minore attivismo e una maggiore attenzione all’andamento dell’inflazione rispetto alla Federal Reserve, rivela un riconoscimento della peculiarità dell’attuale contingenza. La BCE sta di fatto dando maggiore attenzione rispetto al passato all’andamento dei livelli di produzione. Inoltre, nei suoi documenti (si veda il Bollettino Economico di febbraio 2008), essa sta anche riconoscendo, in sintonia con quanto detto da Mishkin, che l’inflazione è un fenomeno importato, generato dagli aumenti del prezzo del petrolio, delle materie prime e dei prodotti agricoli, che il saggio di inflazione al netto degli aumenti di questi prodotti continua a non superare la soglia del 2%, che la BCE fissa come obiettivo da raggiungere, e che le aspettative di medio e lungo termine degli operatori considerano l’aumento del tasso di inflazione un fenomeno temporaneo.

 

Muovendo da queste posizioni i documenti della BCE concludono che la lotta all’inflazione deve oggi principalmente realizzarsi attraverso una moderazione salariale, che impedisca che le spinte sui prezzi provenienti dall’estero interagiscano con quelle interne messe in moto dagli aumenti delle retribuzioni dei lavoratori volti a compensare le riduzioni nel loro potere d’acquisto. In quest’ottica la BCE sta sottolineando la necessità di una moderazione salariale volta a evitare l’innescarsi di una spirale inflazionistica prezzi-salari. Una politica, questa, in contraddizione con quanto affermato di recente dal governatore della Banca d’Italia, che ha invocato un aumento delle remunerazioni salariali per rilanciare i consumi e la produzione.

 

*Tratto dalla relazione al seminario "Mutui subprime ed efficacia dei controlli" svoltosi all'università Federico II di Napoli

Giovedì, 27. Marzo 2008
 

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