Il vice presidente del Fondo dei metalmeccanici prosegue il dibattito ribattendo alle affermazioni di Pierre Carniti e Roberto Pizzuti
Discutere sul Tfr ai Fondi ha, ovviamente, senso e il mio precedente intervento non voleva affatto affermare il contrario, ma solo invitare a non ignorare/dimenticare alcuni dati di fatto.
Carniti afferma che gli sfuggono le ragioni per le quali il sindacato avrebbe assecondata la scelta dei Fondi pensione. Motivazioni diverse, a seconda della componente sindacale.
In Cisl, fin dagli anni ottanta, in particolare nella componente di cui Carniti era stato il leader, l'idea dei Fondi pensione gestiti dal sindacato era vista come una possibilità di intervento del movimento dei lavoratori nei mercati finanziari e nello sviluppo del paese (del resto Carniti non dimenticherà certo la proposta avanzata dalla Cisl nel 1980, se non ricordo male, dello 0,5% ad imitazione del piano Meidner in Svezia). Alcune categorie cisline fin dagli anni ottanta, prima quindi, del processo di riforma pensionistica, hanno creato Fondi pensione a capitalizzazione per i propri operatori.
In casa Cgil, tradizionalmente più restia a ogni novità, vi fu una svolta improvvisa a favore della previdenza a capitalizzazione nel 1994/95. Molte componenti diessine e cgielline furono folgorate, abbagliate dalla bolla finanziaria, dalla virtù del tasso composto offerto dal sistema a capitalizzazione che avrebbe risolto molti problemi finanziari e non solo. Chi ne ha voglia e interesse può andarsi a rivedere, ad esempio, il dibattito acceso intorno alla proposta di cartolarizzazione del Tfr avanzata dal governo di centrosinistra.
Un elemento decisivo per l'introduzione nel nostro paese di una previdenza integrativa è stata la forte riduzione dei tassi di sostituzione operata dalla riforma Amato del 1992 con l'estensione del calcolo della pensione alle retribuzioni dell'intera vita lavorativa, riduzione confermata dalla riforma Dini. La necessità di una previdenza integrativa, a prescindere dalla sua forma nasce da qui: la riduzione dei tassi di sostituzione offerta alle nuove generazioni dalla previdenza pubblica, problema che non si può ignorare.
E' certamente vero che l'uso del Tfr come principale fonte di finanziamento ricade sui lavoratori, ma trovare altre fonti di finanziamento avrebbe significato creare "nuova" contribuzione a carico di lavoratori o di imprese.
Qualunque sia la soluzione data al problema, mantenere il Tfr come oggi, mandarlo ai Fondi pensione, usarlo, come propone Pizzuti, per incrementare la previdenza pubblica, comporta comunque un peggioramento della situazione per le nuove generazioni rispetto alla situazione attuale. Chi va in pensione oggi, se lavoratore regolare, ha alti tassi di sostituzione e gode del Tfr; nel futuro in ogni caso o si avranno tassi di sostituzione come quelli attuali, ma perdendo il Tfr, o, mantenendo questo, si avranno bassi tassi di sostituzione.
Sgomberiamo quindi il campo dall'idea che comunque la situazione dei lavoratori futuri possa restare uguale a quella di oggi, a meno di non affermare, ma allora lo si dica, che i tassi di sostituzione della previdenza pubblica debbano tornare a quelli pre-Amato.
La soluzione trovata è la più efficiente? Personalmente ne dubito e comunque non condivido l'idea di condizionare la pensione di un lavoratore all'andamento dei mercati finanziari. Ritengo che un sistema a prestazione definita sia più equo e socialmente più giusto. Allora si discuta di questo e delle diverse soluzioni che si possono dare, non escluse forme parziali di capitalizzazione, non dimenticando in ogni caso che ci sono circa due milioni di lavoratori che da anni contribuiscono ai Fondi pensione, ai quali, forse, è difficile dire semplicemente "scusate ci siamo sbagliati".
Il problema non è allora quello della delega Maroni (non intendo qui difendere le - ultime - posizioni del ministro in materia di previdenza integrativa, che tuttavia non sono poi lontane da quanto fatto, proposto, ipotizzato dal centrosinistra e da componenti sindacali nella scorsa legislatura: ricordo la riforma Visco con l'apertura alle polizze individuali o l'affermazione di Cofferati che una nuova riforma della previdenza pubblica poteva essere fatta solo dopo un "rafforzamento" della previdenza complementare).
Si discuta delle scelte fatte nel 1992 e nel 1995 per rispondere alla diminuzione dei tassi di sostituzione, cercando di non dimenticare che se non si usa il Tfr bisogna trovare forme sostitutive di contribuzione o che, se si usa il Tfr, comunque è una perdita per i lavoratori e comunque le imprese perdono una fonte di finanziamento.
Buona parte dei rilievi di Pizzuti a quest'ultimo proposito riguardano anche la sua proposta di conferimento del Tfr alla previdenza pubblica: per le imprese quale sarebbe la differenza rispetto a una perdita del Tfr a favore dei Fondi pensione? Ci sarebbe comunque la richiesta di un risarcimento e ricadrebbe comunque sui lavoratori il peso di finanziare l'incremento del tasso di sostituzione pubblico con salario differito.
Dire ai lavoratori di tenersi stretto il Tfr per evitare "furti con destrezza" senza indicare soluzioni alternative è solo sfuggire ai problemi sul tappeto.
Considerando che è buon uso nella nostra parte politica affermare che "ben altri sono i problemi", provo a farlo anch'io.
Più che i Fondi pensione (ben) altri sono forse i temi principali da affrontare nel nostro sistema pensionistico a cominciare dal rapporto tra questo sistema e il mercato del lavoro. Sarebbe forse necessario discutere da un lato della (in)capacità del sistema pensionistico di assicurare in futuro pensioni adeguate ai lavoratori non regolari e, dall'altro, su come l'attuale forte differenziazione di aliquote contributive tra le diverse tipologie di lavoro rafforzi e favorisca la segmentazione nel mercato del lavoro.
Ma, probabilmente, sarebbe meglio discutere di tutto non dimenticando le responsabilità della sinistra e del sindacato nel percorso già fatto.
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Lunedì, 14. Novembre 2005