Pensioni, sbagliare si può, perseverare è diabolico

E' stato un errore permettere che la previdenza "integrativa" (cioè "aggiuntiva") diventasse "complementare" (cioè "indispensabile"). Meglio riconoscerlo e comportarsi di conseguenza
Una piccola premessa. Non mi persuadono le spiegazioni che tendono ad attribuire la responsabilità di scelte discutibili (o addirittura sbagliate) al casuale sviluppo delle circostanze. Al confuso susseguirsi degli accadimenti. Penso infatti che quando le cose vanno per il verso sbagliato  è perché ci abbiamo messo anche molto del nostro. Provo quindi a chiarire il mio punto di vista rispetto a quello esposto da Benetti.

1) Per la sua genesi, lo 0,50 per cento non può essere scambiato con un antecedente delle pensioni integrative. La proposta dello 0,50 per cento trae infatti origine dalla duplice impennata messa a segno dai prezzi del petrolio negli anni settanta e dalle connesse conseguenze inflazionistiche. Conseguenze che in Italia si rivelarono assai più gravi e persistenti che altrove. Poiché, in quel contesto, diversi "consiglieri del principe" reclamavano, come unico modo per uscire dalla crisi, una riduzione del salario reale, con una diminuzione della quota di reddito destinata al lavoro ed un parallelo aumento di quella destinata al capitale, il sindacato decise di opporre una sua strategia alternativa.
 
Sostenne perciò la tesi che era possibile dare una risposta ai problemi dell'accumulazione senza ridurre la dinamica del salario reale. Ma semplicemente decidendo (di volta in volta) quale parte degli aumenti nominali delle retribuzioni fosse "salario spendibile", e quale dovesse invece concorre alla determinazione del "salario disponibile". A partire da questa distinzione venne formulata la proposta di ridurre il "salario spendibile" dello 0,5 per cento (ferma restando la titolarità dei lavoratori su questa quota) per destinarne le somme accantonate a progetti di investimento in grado di favorire la ripresa.
 
Pertanto lo scopo dello 0,5 per cento non è mai stato quello di favorire la "possibilità di intervento del movimento dei lavoratori nei mercati finanziari". Pensare infatti di trasformare il sindacato in un insider trader non sarebbe stato soltanto un errore. Ma soprattutto una sciocchezza. Ed è così vero che il sindacato, a cominciare dalla Cisl, non ebbe mai alcuna tentazione del genere. Del resto, non è affatto casuale che la istituzione dello 0,50 per cento, contenuta nell'accordo triangolare del 22 gennaio 1983, fosse finalizzata alla realizzazione di un "Fondo di Solidarietà" per investimenti nel Mezzogiorno. Quindi una scelta opposta ad ogni proposito speculativo. Come invece hanno, di norma, gli investimenti finanziari.
 
Il fatto poi che, su questo punto, l'accordo del 1983 non abbia avuto nessun sviluppo pratico, non ha niente a che fare con le sue motivazioni. Ciò che infatti ha pesato è stato l'insorgere, nei mesi immediatamente successivi, di una dialettica aspra tra le organizzazioni sindacali (le vicende sono note e non c'è alcun bisogno di riprenderle in questa sede) che ha finito per mettere in causa l'intera strategia con la quale si sarebbe dovuto affrontare la crisi e comportando anche il prezzo esoso dell'impotenza e della paralisi.

2) Concordo sul fatto che (considerato l'allungamento della vita media) a partire dall'inizio degli anni novanta si è imposto nel dibattito sociale e politico il tema di come assicurare la pensione pubblica alle nuove generazioni. Questa presa d'atto non è però in contraddizione con la convinzione (non soltanto mia) che la questione avrebbe potuto essere affrontata in altro modo. Oltre tutto, più lineare e più semplice. Allungando cioè l'età pensionabile, o aumentando la contribuzione previdenziale. Oppure con un mix di entrambi.
 
Come sappiamo, si è invece scelto la soluzione eccentrica di aumentare l'età pensionabile, riducendo contemporaneamente i contributi previdenziali. Così, come nel gioco dell'oca, si è ritornati al punto di partenza. Il risultato è stato che si è cominciato a discutere di "previdenza integrativa" non più in termini di "volontarietà" (come era avvenuto fino ad allora e come confermano le poche esperienze pregresse) ma di "necessità" (per evitare di ritrovarsi del tutto privi mezzi in quella parte della propria vita, quando aumentano problemi e bisogni).

3) Ciò che quindi continua a sfuggirmi è la "ratio" che avrebbe indotto il sindacato ad assecondare la trasformazione delle pensioni "integrative" (che cioè si "aggiungono") in pensioni "complementari" (che invece diventano "essenziali", "irrinunciabili"; tanto sul piano quantitativo che della struttura).

4) Perciò, senza voler in alcun modo offuscare le responsabilità di nessuno (comprese, dunque, quelle del sindacato e delle forze politiche del centrosinistra), alla domanda di Benetti se le pensioni siano una riforma da completare o da rivedere, risponderei con Sant'Agostino: Humanum fuit errare, diaboliucum est per animositatem in errore manere. (Errare è stato umano, ma sarebbe diabolico perseverare per ostinazione nell'errore.)
 
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Lunedì, 14. Novembre 2005
 

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