Pensioni e demagogia in campagna elettorale

Tutte le pensioni a un milione, aveva promesso Berlusconi: in realtà, solo il 26% di quelle più basse c'è arrivato. Ciò nonostante rilancia: le porteremo a 800 euro, promette stavolta. Ma un intervento del genere dovrebbe essere fatto solo nell'ambito di una riforma più complessiva, altrimenti avrebbe pesanti effetti distorsivi su tutto il sistema
La tutela reddituale dei pensionati è un elemento importante nella campagna elettorale considerando il numero elevato di elettori anziani. Già nelle elezioni del 2001 Berlusconi intervenne su questo segmento di elettorato promettendo di innalzare a 1 milione di lire tutte le pensioni più basse. Nel nuovo programma del centro-destra il tema è ripreso con la nuova promessa di portare questa soglia a 800 euro.

Difficile contrapporsi a una promessa di aumento delle pensioni più basse: per coloro che hanno solo queste pensioni la sopravvivenza non è certo facile, e, tuttavia, si può da un lato verificare quanto la promessa del 2001 ha trovato effettiva realizzazione e quali conseguenze avrebbe nel sistema pensionistico italiano il portare le pensioni minime a 800 euro.

Con la finanziaria per il 2002 (art. 38, L. 448/2001) il governo Berlusconi ha varato il provvedimento annunciato in campagna elettorale. Nel 2002 i titolari di pensione con importo pari o inferiore a 516,46 euro erano pari a quasi 6 milioni. Di questi, poco più di 4 milioni, il 72,5%, erano i soggetti che avevano i requisiti di età previsti dall'art. 38 della legge (Rapporto annuale Istat 2003). I beneficiari dell'incremento delle maggiorazioni sono stati 1.565.364, pari al 36,4% dei soggetti con i requisiti di età  e a solo il 26% dei pensionati con reddito inferiore a 516,46 euro. La spesa sostenuta dall'Inps nel 2002 è stata pari, secondo il citato Rapporto Istat, a 968 milioni di euro.

La portata finanziaria dell'intervento e il numero dei beneficiari è stato, pertanto, inferiore anche rispetto a quanto previsto dalla stessa legge. Nelle previsioni di spesa erano infatti state stanziate risorse per 2.000 milioni di euro in previsione di un numero di beneficiari pari a circa 2.200.000. Negli anni successivi numero di beneficiari e ammontare di spesa non sono sostanzialmente cambiati e i 1.000 milioni di euro non utilizzati sono stati usati per altre finalità.

Va inoltre considerato che solo il 50% dei beneficiari dell'incremento ha visto la propria pensione raggiungere il tetto dei 516,46 euro mensili; la restante metà è rimasta comunque ad un livello reddituale inferiore.

La platea dei beneficiari è stata quindi estremamente limitata, solo il 26% dei pensionati con reddito inferiore a 516,46 euro, e solo il 50% di questi ha goduto dell'intero incremento promesso. 

Si può naturalmente osservare che un conto sono le promesse elettorali altro i limiti concreti derivanti da un bilancio pubblico in deficit e da una negativa situazione economica complessiva. E tuttavia pur con questi limiti il governo Berlusconi ha trovato risorse di ampiezza ben più notevole per due successive riforme fiscali a favore di redditi molto più alti di quelli dei pensionati al minimo.
 
Detto quanto dovuto sulla credibilità delle promesse elettorali del centrodestra, deve essere sottolineato un aspetto particolarmente negativo del provvedimento annunciato che aggraverebbe i guasti già prodotti dalla legge 448.

Nel nostro sistema pensionistico esistono, oltre alle pensioni di invalidità, pensioni derivanti dal lavoro con versamenti di contributi e pensioni sociali non derivanti da contribuzione. In quest'ultimo caso si tratta di pensioni assistenziali erogate in favore di persone con almeno 65 anni e prive di altri redditi.

Per le pensioni di tipo retributivo è prevista un'integrazione nel caso in cui l'importo a calcolo sia inferiore al trattamento minimo. L'importo del trattamento minimo che costituisce per tutti i titolari di pensione derivante dal lavoro, dipendenti e autonomi, il valore minimo della pensione, è stato sempre più alto della pensione o dell'assegno sociale e questa differenza derivava dal riconoscimento del "lavoro" e rispondeva all'esigenza di non rendere "inutile" il lavoro rispetto a un reddito di pari importo ugualmente ottenibile attraverso forme di assistenza.

Anche quando sono stati introdotti per legge incrementi delle pensioni o delle maggiorazioni sociali, questi hanno sempre lasciato differenziati gli importi complessivi derivanti da pensioni frutto, sia pure parziale, di lavoro rispetto alle pensioni o agli assegni sociali. L'importo delle pensioni integrate al minimo fino al 2001 è stato sempre superiore alle pensioni e agli assegni sociali anche in caso di maggiorazione di questi ultimi. Ancora maggiore la differenza risultava nel caso di pensioni integrate o di pensioni a calcolo incrementate con la maggiorazione sociale (vedi la tabella. Per tornare all'articolo clicca "indietro" sulla freccia del browser).

La legge 488 ha modificato questo principio. All'età di 70 anni pensioni a calcolo e pensioni assistenziali di importo inferiore sono state comunque portate a 516,46 euro, eliminando ogni differenza. Considerando che il limite dei 70 anni è stato posto esclusivamente per limitare la platea dei beneficiari, un suo superamento non farebbe che accentuare questo aspetto della 488 eliminando progressivamente qualsiasi differenza tra i valori minimi delle pensioni derivanti dal lavoro e quelle esclusivamente assistenziali.

In questo modo si corre, peraltro, il rischio di disincentivare il lavoro dei soggetti marginali o di spingerli al lavoro nero, dato che comunque il reddito da pensione, comunque basso, sarebbe in ogni caso uguale.

Il portare questo limite (arrivato nel 2006 a 551 euro) a 800 euro aggraverebbe il problema.

Un intervento con queste caratteristiche troverebbe una sua logica collocazione solo in una riforma del sistema pensionistico che avesse alla sua base la creazione di una pensione di cittadinanza uguale per tutti a cui aggiungere una pensione di tipo contributivo legata al lavoro. Una pensione di cittadinanza, corrisposta al compimento di una determinata età ed eventualmente sottoposta alla prova dei mezzi, uguale per tutti i cittadini, con un finanziamento fatto esclusivamente tramite il fisco. Fuori da un sistema di questo tipo l'eguaglianza tra importi minimi delle pensioni da lavoro e delle pensioni assistenziali non ha alcuna logica di sistema.
 
Giovedì, 16. Marzo 2006
 

SOCIAL

 

CONTATTI