Si sente sempre più spesso evocare, per il Pd, lo spettro della scissione, se non addirittura della sua frantumazione. Quando penso a questa eventualità, mi domando chi sceglierei come compagno di strada. È ovvio che una parte, quella più a sinistra, sarebbe inevitabilmente attratta nellorbita di quellarea che abbiamo già visto allopera, e che va da Vendola a Ingroia. Ne verrebbe fuori un partito certamente posizionato a sinistra, che però conterrebbe un nodo irrisolto: sarebbe disposto ad andare al governo con qualcun altro, magari un partito di centro sinistra e/o di centro, nella prospettiva di governare? O preferirebbe rimanere puro e duro finché non arrivasse al 50 per cento più uno dei voti?
Se a questa domanda venisse data la risposta numero due, non credo che sarei interessato a questa prospettiva, nonostante mi senta più vicino alle istanze di sinistra. Anche perché si ricreerebbe un partito di sinistra pura, questo sì, ma senza voglia di governare, di incidere nella realtà, per quel (poco, forse) che è possibile fare in ogni circostanza.
Se invece prevalesse lipotesi numero uno, allora nascerebbe il problema di stabilire unalleanza non soltanto con laltra metà del Pd risultante dalla scissione ma anche, e di nuovo, con larea di Monti-Casini, tanto per intendersi.
Se lipotesi è quindi quella di arrivare al governo con unalleanza di centro sinistra, che significato avrebbe far esplodere il Pd? Farlo esplodere per poi ricomporlo come alleanza di governo? Se questa è la prospettiva, è insensato distruggere quel partito che già incorpora unalleanza di centro sinistra al suo interno, possibile base per unalleanza (inevitabile, se guardiamo a comè distribuito il voto popolare) con il centro.
Se queste premesse sono valide, se ne deve dedurre che se la sinistra uscisse dal Pd sarebbe più intenzionata a giocare una partita solitaria di testimonianza di cui io sono francamente stufo. In più, uscendo dal Pd, ci si renderebbe responsabili della distruzione di un brand creato faticosamente in questi anni e si perderebbe, come in unimpresa, il valore di questo marchio, dovendo ricominciare da capo.
Ma è vero che la scissione potrebbe arrivare anche dalla sola componente centrista del Pd. In questo caso le cose sarebbero più semplici: i fuoriusciti verrebbero inevitabilmente attratti da chi sta già al centro da tantissimi anni ed è più riconoscibile dallelettorato in quella funzione. Mentre il Pd si sposterebbe un po più a sinistra, forse, ma questo non inficerebbe la sua volontà di giocare una partita di governo. La fuoriuscita della componente centrista potrebbe secondo me essere gestita senza troppe difficoltà da ciò che resterebbe del Pd.
Se tutte queste premesse sono vere, né allala centrista né a quella di sinistra conviene in realtà uscire dal Pd, neppure se la separazione fosse consensuale e corrispondesse alla distruzione del brand Pd. Il che significa che le due anime, pur diverse, subiscono una spinta a rimanere insieme. È lo stesso elettorato, del resto, che spinge nella direzione centripeta, come si evince in qualche modo - pur con tutti i distinguo locali - dalle elezioni del Friuli, che hanno premiato il partito nonostante tutto.
Lelettorato, quello a sinistra e centro sinistra, vuole trovare un centro di gravità nel Pd, così come quello di centro-destra lo trova (o lo ha trovato) in Berlusconi. Un centro di gravità perché è un partito che corrisponde grosso modo a un terzo dellelettorato e che, solo, ha reali prospettive di andare al governo, di cambiare qualcosa, anche solo qualche piccola cosa, ma anche di attrarre altri alleati. La distruzione del Pd, di un vero perno della vita politica italiana, creerebbe due forze la cui somma non potrebbe mai essere quella del vecchio partito. Due partiti da 14-15 per cento ciascuno non sarebbero in grado di esercitare alcuna attrazione supplementare sullelettorato e anzi vedrebbero aumentare le forze centrifughe e alla fine andrebbero verso lestinzione o la mera sopravvivenza di testimonianza.