Occupazione al Sud: il problema non è il salario

Servirebbero politiche per agire su dimensione d'impresa e specializzazione produttiva

Il suggerimento del Fondo Monetario Internazionale, relativo all’introduzione di una “forchetta” che divarichi i salari corrisposti ai lavoratori del Nord rispetto a quelli del Sud, da ridurre, può giudicarsi non condividibile per almeno tre ragioni.
Prima di elencarle vale la pena ricordare la premessa alla base del suggerimento: il diverso grado di produttività tra le due aree del paese (minore nel Sud) cui non corrisponderebbe, secondo il FMI, un analogo divario retributivo, anzi, precisiamo, un divario più marcato rispetto a quello preesistente. Con conseguenti riflessi negativi sulla domanda di lavoro al Sud.

Ora, i dati disponibili (IRES-CGIL, Svimez) ci indicano con chiarezza come il differenziale di produttività e quello relativo al costo del lavoro, per la media e grande impresa meridionale, nell’industria in senso stretto, risultino assai più ridotti rispetto alle imprese di piccole dimensioni che operano nello stesso settore.

Infatti, per le piccole imprese industriali del Mezzogiorno, a fronte di un differenziale negativo di produttività, nei confronti del Nord-Ovest, pari a trenta punti, si registra un differenziale negativo sul costo del lavoro pari a solo diciassette punti.

Ma se osserviamo la grande impresa nel Mezzogiorno possiamo leggere una situazione capovolta: intanto un differenziale negativo di produttività più basso, rispetto a quanto rilevato in precedenza nei confronti del Nord-Ovest, e pari a circa otto punti. Con un divario negativo in relazione al costo del lavoro invece decisamente più elevato e pari a circa undici punti.

Ne deriva quindi che la presenza di un differenziale di produttività a sfavore del Mezzogiorno, al quale non corrisponde un differenziale del costo del lavoro di eguale entità, sembrerebbe determinata da una specializzazione settoriale (orientata verso settori a bassa produttività) e dimensionale (prevalenza di micro-imprese) propria del Mezzogiorno.

Ma allora sono prioritarie, rispetto a riduzioni salariali per legge, politiche industriali che agiscano sulle due variabili (specializzazione e dimensione) prima indicate. Al momento assenti malgrado la disponibilità di fondi aggiuntivi per il loro finanziamento assicurata da Agenda 2000.

La riduzione salariale per legge, consigliata dal FMI, si aggiungerebbe poi ad una realtà già di per sé discutibile: la precarizzazione istituzionale, cioè, del mercato del lavoro nel Sud. E contribuirebbe ad abbassare ulteriormente il “costo” del lavoro nero (che mantiene un suo aggancio con le retribuzioni ufficiali) aumentandone, per paradosso, la convenienza ed espandendo ulteriormente quindi l’economia sommersa.

Sembra misurarsi poco con la realtà, dunque, la proposta del Fondo Monetario Internazionale che pure trova in Italia autorevoli sostenitori (il governatore Fazio). Ma è alle politiche industriali per la produttività che, riteniamo, si dovrebbero dedicare, e il caso Sicilia risulta emblematico, maggiore attenzione e risorse.

Articoli correlati:
A. Lettieri, L'Fmi e le ricette 'estero-vestite'

 

Giovedì, 31. Ottobre 2002
 

SOCIAL

 

CONTATTI