Obama e McCain, due programmi a confronto

Un sistema elettorale con regole diverse in ogni Stato, complicato dalla tecnica del “gerrymandering”. Un paese che nelle ultime dieci elezioni ha fatto vincere sette volte i Repubblicani. Ma stavolta la crisi preme. Che cosa propongono sui temi più essenziali i due candidati

Mentre si avvicina il giorno della verità, proviamo a ricostruire il complesso modello elettorale americano e i molti insondabili rischi che vi sono connessi e le sgradevoli sorprese che in passato ne sono derivate. Nel 2000 Ralph Nader, candidato indipendente, con i 2.882.000 voti sottratti ad Al Gore rese cruciali i voti elettorali della Florida, permettendo l’imbroglio legale che consentì alla maggioranza di repubblicani che formavano la Corte Suprema di dare la vittoria (per 5 a4) a Bush junior. Quando, comunque, Gore rispetto a Bush aveva preso 800.000 voti di più.

Se ne sono viste le conseguenze negli otto anni di bushismo che hanno afflitto l’America e il mondo. Non funziona sempre, certo, a favore dei repubblicani. E, in effetti, i repubblicani – a dimostrazione dell’assunto per cui questo paese è per natura, cultura, storia, un paese naturaliter di centro-destra – hanno vinto sette delle ultime dieci elezioni presidenziali.

Delle altre tre (Carter e, due volte, Clinton) solo la prima, in reazione alle malefatte di Nixon, vide i democratici vincitori nel voto popolare. In realtà, anche se non lo ricorda nessuno, Bill Clinton è andato due volte alla Casa Bianca solo grazie a Ross Perot, il candidato miliardario del terzo partito che, come Nader da sinistra nel 2000, tirò via da destra un 12% (nel ‘92) ed un 26% (nel ‘96) di voti che sarebbero andati altrimenti al partito repubblicano.

Dobbiamo poi aver presente che negli USA non si vota come nel resto del mondo sommando a scala nazionale i voti dell’uno e quelli dell’altro e vince chi ne ha di più. Ogni Stato anche nelle elezioni federali – quelle del presidente - vota con sistemi e procedure sue, senza una legislazione nazionale che regoli l’elezione. 51 Stati, insomma, 51 sistemi: voti da tracciare a matita su scheda, voti elettronici, voti con macchine a schede perforate come quelle ormai obsolete dappertutto ma qui ancora usate in diversi Stati: voti che una volta espressi si possono verificare perché lasciano una traccia e voti che non si possono verificare perché ingoiati per sempre dal computer. E chi in uno Stato vince per un voto di maggioranza – contato così, poi – vince tutto il “cucuzzaro” dei voti elettorali di quello Stato. Che sono, in teoria, proporzionali al numero dei cittadini di quello Stato. Ma solo in teoria perché ogni governo e ogni maggioranza di legislatura statale ridisegnano le circoscrizioni elettorali come pare loro, definendone i confini in modo da favorire la propria parte.

E i repubblicani, dal dopo Kennedy in poi almeno, di questa specifica tecnica sono i maestri. Si chiama “gerrymandering”, intraducibile se non con un ragionamento che si rifà alla sua origine doppia: viene, infatti, da Elbridge Gerry che, da governatore dello Stato del Massachusetts, quasi due secoli fa, ridisegnò per la prima volta secondo convenienza politica i confini delle circoscrizioni elettorali per far emergere il risultato, per quanto possibile, da lui desiderato; e da “salamander”— salamandra, camaleonte, la lucertola che cambia pelle per meglio adattarsi. In questo quadro, quelli che decidono sono i voti degli indecisi nel Minnesota e nell’Ohio, quello che conta è concentrare soldi e tempo e spot elettorali (a favore delle proprie idee e, soprattutto, contro quelle dell’avversario) non tanto in California (55 voti elettorali) o a New York (31), quando ne servono 270 per vincere, ma in posti come il Colorado, il Michigan e la Florida che di voti ne hanno molti di meno ma, in una corsa ravvicinata, deciderebbero loro. Negli ultimi giorni, anche sull’onda d’urto della crisi, sembra che Obama stia recuperando voti appunto nei grandi stati, superando la situazione pericolosa che si era creata a metà settembre quando un sondaggio della National Freedom of Information Coalition (cfr. Anchorage Daily News) forniva questo quadro:

 

Elezioni 2008

Obama

McCain

 

 

 

Gli Stati in bilico

Obama

McCain

Florida

44.4

48.9

Ohio

45.1

46.6

Michigan

47.3

45.0

Virginia

45.4

47.7

Minnesota

47.0

45.7

Colorado

47.3

44.8

Iowa

50.7

41.7

Nevada

44.6

45.6

New Mexico

46.8

45.5

New Hampshire

48.0

44.7

 
 
Le proposte sull’ECONOMIA

 

La crisi economica è da tempo, ed ormai in modo acuto, diventata una delle preoccupazioni maggiori, quella forse decisiva, più forte oggi dell’apprensione per l’Iraq.

 

J. McC. = Taglierebbe le tasse sulle famiglie del ceto medio-alto;  manterrebbe tutti i tagli alle tasse fatti da Bush ma riducendo la spesa pubblica; intende riformare sicurezza sociale e sanità; sul mercato e Wall Street, tutti i guai vengono dall’avidità di pochi che mette a repentaglio gli interessi di tutti: è necessario il pentimento e, poi, una riduzione virtuosa dell’ingordigia eccessiva. E’ nei guai, però. Ancora il giorno dopo la nazionalizzazione di Lehman Brothers e la svendita forzata di Merrill Lynch, se ne andava in giro per comizi e talk-shows raccontando il mantra che “i fondamentali dell’economia americana sono sempre solidi”…<>< />

Domenica, 5. Ottobre 2008
 

SOCIAL

 

CONTATTI