Nucleare, investimento sul passato

Mentre ci apprestiamo a spendere per una tecnologia che – quando ne disporremo – sarà ampiamente superata, i tempi si allungano ancora: già 15 Regioni hanno presentato ricorsi alla Corte Costituzionale o ai Tar. Ma anche molti altri fattori rendono questa scelta sbagliata

In altri articoli avevo evidenziato i dubbi che molti economisti e scienziati nutrono - al di là della quota rischio - sulle convenienze del Piano nucleare italiano. Nel frattempo sono maturate ulteriori decisioni. Desta comunque meraviglia che un tema di così fondamentale importanza (accanto a quello della privatizzazione delle risorse idriche) non costituisca ancora l'aspetto prevalente dei dibattiti sulle elezioni regionali, in luogo di dispute nominalistiche sui candidati che lasciano giustamente indifferente la pubblica opinione.

 

Innanzi tutto, sembra modificarsi il divario fra i calcoli di convenienza economica dei sostenitori del nucleare rispetto a quelli dei difensori delle energie rinnovabili. I primi hanno sinora affermato che a bocce ferme - cioè al livello attuale della tecnica ed escludendo gli incentivi ecologici - l'energia nucleare risulterebbe ancora più conveniente. Gli altri sostengono che i costi esterni e successivi del nucleare non vengono correttamente calcolati. Nel frattempo, secondo i dati più recenti, il costo di costruzione delle centrali sta lievitando, come appare da quelli della centrale finlandese.

 

Occorre inoltre tenere presenti gli oneri per le infrastrutture che circondano le centrali, per le barriere di sicurezza, per le somme elargite alle popolazioni locali (previste nel progetto governativo), per il massiccio prelievo e relativo inquinamento termico delle risorse idriche. L'opinione pubblica non sa che da molti anni stiamo ancora pagando, nelle bollette, un costo annuo di un miliardo e mezzo di euro per la sepoltura delle scorie e per il decommissioning (smantellamento) delle vecchie centrali italiane. Questi costi non sono tutti calcolabili perché sinora non è stata completata nessuna dismissione. I bagnanti di Latina folleggiano sul cuore non ancora spento di un vecchio reattore.

 

Ma l'argomentazione che mi pare decisiva riguarda i tempi di realizzazione delle opere. Quindici delle venti Regioni hanno già presentato ricorsi alla Corte Costituzionale o al Tar. Alcune delle altre Regioni si trincerano dietro frasi ad effetto: ad esempio, il governatore della Sardegna dichiara di voler frapporre il proprio corpo al passaggio delle scorie verso l'isola, che appare particolarmente vocata come deposito perchè è una parte del territorio italiano completamente asismica. Stando comunque le cose come sono, è ragionevole ritenere che se le centrali cominciassero ad essere costruite nel 2013, la loro messa in funzione non potrebbe avvenire prima del 2019/20. Un arco temporale così lungo lascia prevedere progressi tecnologici formidabili nel campo delle energie rinnovabili e dello stesso settore nucleare; è come se la Ferrari impiegasse le sue risorse per costruire la macchina di Nuvolari.

 

E' di questi giorni la notizia della messa in rete degli impianti solari, eolici e di altre fonti rinnovabili di nove paesi europei, esclusa l'Italia, che appare sempre più il Calimero d'Europa. Il sistema presenta rilevanti vantaggi economici perché, dedotte le perdite di trasmissione, normalizza il flusso di energia nell'area all'alternarsi delle condizioni climatiche nei vari paesi del gruppo.

 

Vi sono campi in cui i progressi tecnici e scientifici sono molto rapidi. Si pensi al rendimento e ai costi del fotovoltaico: il costo delle celle è sceso dell'80% e il rendimento si è raddoppiato in 8 anni. Assistiamo, inoltre, ad un rinnovato interesse verso fonti di energia tradizionali, come quella geotermica, in cui l'Italia fu all'avanguardia nel '900 e il cui sviluppo fu condizionato dal tasso di corrosione dei materiali; barriera abbattuta proprio in questo campo.

 

La dirigenza dell'Enel si è perfettamente resa conto dei potenziali rischi competitivi delle energie rinnovabili rispetto al nucleare: ha quindi richiesto di stipulare contratti di fornitura a prezzo fisso per lunga durata, fino a trent'anni, per garantirsi la redditività delle centrali. Naturalmente, a spese dei consumatori, soprattutto se le aspettative di fonti energetiche più economiche dovessero realizzarsi. Secondo l'opinione della maggioranza degli esperti, comunque, un'integrazione pubblica dei costi sarebbe in ogni caso indispensabile, almeno per quanto riguarda le diseconomie esterne. Secondo Roberto Rossi (su L'Unità del 19 gennaio) il 60% del totale della spesa di 18 miliardi per la costruzione di 4 centrali andrà alla francese Areva, che ha il brevetto esclusivo per il cuore del reattore. Ma secondo un'attenta analisi di Citigroup i rischi anche in termini di prezzo rimangono molto alti. I tempi di costruzione di Olkiluoto-3 sono già in ritardo di tre anni e il prezzo dell'energia conseguentemente continua a salire. Si parla ormai di 70 euro per mwh, ben al di sopra dei 40 euro che ci gabella, nei talk-show domenicali, il ministro Maurizio Sacconi. La domanda quindi sorge spontanea: perchè la collettività dovrebbe sobbarcarsi degli oneri addizionali per rendere apparentemente conveniente una forma di energia che ha almeno due controindicazioni: la potenziale pericolosità, seppure limitata, e l'assoluta rigidità dei flussi di produzione? Non dimenticate che questo è il motivo per cui la Francia è costretta a svendere sotto costo i suoi eccessi di energia nucleare durante la notte.

 

Ma anche sul nucleare il fronte della ricerca non è immobile. Al momento non si può prevedere il periodo in cui i reattori autofertilizzanti saranno operativi: ma l'incertezza non è sul se, ma sul quando. Tali reattori hanno la caratteristica di poter riutilizzare una parte considerevole delle scorie radioattive derivanti dal precedente processo di combustione, lasciando un residuo molto minore e a più rapido decadimento. Essi inoltre danno molto maggiori garanzie di sicurezza perchè in caso di incidente lo spegnimento diviene automatico. Appare singolarmente equilibrata quindi la scelta operata a suo tempo dal governo Prodi di attendere gli eventi del progresso scientifico, potenziando fortemente gli stanziamenti alla ricerca per fare dell'Italia il promotore delle nuove tecnologie anziché l'acquirente di quelle del passato.

 

Un fattore trascurato, nel raffronto fra nucleare e rinnovabili, è quello del coefficiente lavoro/investimenti. Nel caso del solare, eolico e energia da rifiuti è molto alto: ciò implica forti aumenti occupazionali per unità di capitale investito. Per contro, il nucleare ha un coefficiente occupazionale molto basso anche includendovi il personale di controllo e, di fatto, crea intorno alle centrali un'area dove qualunque tipo di insediamento, agricolo o industriale che sia, potrebbe non vedere mai la luce......

 

Del formidabile assorbimento di risorse idriche abbiamo già parlato. Cosa dirà il candidato governatore Luca Zaia ai suoi amati agricoltori quando comunicherà ad essi che una parte dell'acqua non servirà per i loro campi, ma per raffreddare i bollenti spiriti di un reattore?

 

Non vorremmo comunque che anche questa iniziativa del Piano nucleare finisse per rivelarsi un castello di sabbia e, conseguentemente, un'ulteriore fonte di sperpero di denaro pubblico, accanto al fantomatico Ponte sullo Stretto. A tale proposito, qualcuno si è chiesto come sarà il progetto esecutivo (peraltro non ancora redatto e soggetto alle osservazioni preliminari contenute in una recente relazione della Corte dei Conti, che pone in evidenza l'eccezionalità della tipologia tecnologica, con una campata che supera del 50% quella più lunga sinora costruita)? Dove finiranno inoltre le auto che vogliono andare a Messina se per la pendenza necessaria per scendere dall'alto del Ponte finiranno per atterrare molti chilometri dopo la città e quindi tornare indietro? La politica dei fumetti fa di tali scherzi. Non so se augurarmi o no che il Piano nucleare rientri in questa tipologia.

Domenica, 24. Gennaio 2010
 

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