Nucleare, i guadagni del non fare

Il programma avanza più lento di una lumaca, ma intanto un nugolo di società e di presunti esperti intascano laute prebende. E il governo, con un decreto, ha varato una piena copertura finanziaria e assicurativa per le imprese contro il rischio di ritardi nei tempi di esecuzione e messa in esercizio

Già da qualche tempo avevamo affacciato (non solo noi) il sospetto che il cosiddetto "governo del fare" fosse in realtà "il governo del non fare". Su questa tesi concordano, in pubbliche dichiarazioni, Luca Montezemolo, Emma Marcegaglia e i tre principali sindacati, una volta tanto uniti. Questa sensazione di continua attesa di interventi conclamati ma mai realizzati si riflette sull'anchilosi delle strutture produttive, come se un atleta fosse costretto ad un lunghissimo surplace. Vi sono settori nei quali ciò è più evidente: come nel caso che vogliamo approfondire, il programma nucleare.

 

L'occasione ci è offerta da una serie di circostanze. In primo luogo siamo all'inizio dell'anno, momento tipico dei buoni propositi. In secondo luogo, dall'uscita quasi contemporanea di due volumi, rispettivamente di Alberto Clò (che si dichiara nuclearista non pentito) "Si fa presto a dire nucleare", Il Mulino, ottobre 2010 e Roberto Rossi, "Bidone nucleare", Bur, gennaio 2011. In terzo luogo, negli ultimi due o tre mesi è stata lanciata una massiccia azione di propaganda subdola ma anche un po' ingenua a favore del nucleare. Essa si basa su sondaggi per così dire neutrali, dove le domande sono di questo tipo: vuole pagare meno l'elettricità o no?; oppure: vuole intossicarsi con tonnellate di anidride carbonica o preferisce l'aria pura delle centrali (magari tonificante, perché lievemente radioattiva)? e via ciurlando nel manico. Inutile dire che i risultati del sondaggio (Swg) segnano un moderato vantaggio di opinioni favorevoli al nucleare.

 

Vorrei osservare preliminarmente che per quanto concerne il nucleare pregresso - e cioè lo stoccaggio delle scorie della precedente stagione del nucleare italiano, ormai lontana da parecchi decenni - sembra che l'opinione pubblica sia stata toccata dalla bacchetta della Fata Smemorina. Le scorie non trattate giacciono per lo più nei siti originari, spesso a poche decine di chilometri da grandi città. Dopo il fallito tentativo di concentrarle a Scanzano Jonico, sembra che per il momento nessuno si occupi esplicitamente di indicare i siti definitivi. E' vero che una certa quantità di scorie sono state trattate sia in Germania che in Francia; ma le 20.000 tonnellate inviate negli Usa sono state restituite dopo due anni, perché il contraente americano non è stato autorizzato, dalle autorità del suo Stato, ad effettuare il trattamento. Queste cifre danno comunque un'idea del volume delle giacenze.

 

Di questa pesante eredità del passato, i cui effetti si protrarranno per centinaia di anni (sic!) non si è fatto cenno nei trionfalistici proclami sul reingresso dell'Italia nel nucleare civile. Tuttavia è stata tempestivamente predisposta una normativa a favore delle imprese italiane interessate alla costruzione e all'esercizio delle centrali. Ne è stato indicato orientativamente il numero, anche se non è chiaro se saranno 4 o 8, così come sono stati formulati alcuni obiettivi da raggiungere con questa scelta: obiettivi che, peraltro, sembrano più specchietti per le allodole che target realistici.

 

Li indichiamo sinteticamente: a) riduzione del costo dell'energia elettrica per l'utenza domestica e industriale; b) riduzione della dipendenza energetica del paese; c) abbattimento del livello di anidride carbonica. Osserviamo che il terzo obiettivo si può ottenere anche con altre fonti, dalla idroelettrica (le cosiddette minicentrali) alle rinnovabili. Si tratterà dunque di valutare i costi relativi fra dieci anni. L'obiettivo b) desta qualche perplessità, perché l'Italia non ha miniere di uranio, il cui costo è destinato ad aumentare rapidamente. Per quanto concerne la riduzione dei costi per gli utenti, innanzi tutto non sempre, come ben sanno gli automobilisti, una riduzione di costi si traduce in una riduzione di prezzi; ma in secondo luogo, dato e non supposto che la differenza di costo rispetto al metano sia del 20%, le centrali previste, tenendo conto del loro peso relativo, potrebbero consentire tutt'al più una riduzione del 5% del costo medio. Tutto ciò avverrebbe, inoltre, in un periodo di eccesso di capacità produttiva (per cui si dovrebbero chiudere centrali a metano non ancora ammortizzate, con una perdita secca) e in un arco temporale destinato a divenire sempre più lungo per i ritardi che si stanno accumulando.

 

Si è parlato, infine, di ricadute in termini di innovazioni tecnologiche sulle nostre imprese metalmeccaniche: ma non si vede bene come, se Areva (la società francese) afferma che il 60% del valore degli impianti è costituito dal cuore del sistema, e cioè il reattore e i meccanismi di controllo, che sono di sua spettanza.

 

A questo punto nasce un dubbio, che poco ha a che fare con il dibattito sulla fattibilità del nucleare. Dubbio che possiamo esprimere con questa domanda: esiste per certi soggetti economici (aziende o quelli che con cortese eufemismo si definiscono esperti) un vantaggio finanziario del "non fare"? A giudicare da quanto sta accadendo per il Ponte sullo Stretto sembra proprio di sì, se è vero che un altro miliardo e mezzo di euro è stato macinato da esperti, consulenti, progettisti, società di servizi e dirigenti nelle more della posa di una vera prima pietra e soprattutto di quelle successive....

 

Questa tesi un po' ardita trova, nel nostro caso, numerose conferme. Innanzi tutto i ritardi di tipo organizzativo sono enormi: l'Agenzia è stata istituita un anno dopo con 100 dipendenti invece dei 300 previsti. La sua attività normativa (definizione delle procedure di licensing, standard di sicurezza, criteri di vigilanza e di controllo) non è neppure cominciata. Ma - è forse questo il baco nella mela? - con il decreto legislativo nr. 31 è stata riconosciuta alle imprese che investiranno nel nucleare "una piena copertura finanziaria e assicurativa contro il rischio di ritardi nei tempi di esecuzione e messa in esercizio degli impianti per motivi indipendenti dal titolare dell'autorizzazione unica". Si tratta di una copertura amplissima, tenendo conto del fatto che normalmente i tempi di realizzazione delle opere di oltre 100 milioni di euro sono in Italia superiori ai 4.000 giorni, rispetto ai 5/6 anni previsti. Le stesse imprese si garantiscono un prezzo stabile nel tempo con l'accollo, di fatto, a carico dell'ignaro contribuente delle perdite eventuali derivanti dal fatto che alcuni consumatori decidano di acquistare energia altrove, a causa di innovazioni tecnologiche.

 

Quanto alla localizzazione, dei 13 presidenti di Regione eletti nel 2010, 7 sono contrari al nucleare, 5 lo vedono bene in Regioni diverse dalla propria e solo una (il Piemonte) sembra possibilista, forse perché da tempo siede, per così dire, sulle scorie non trattate di Trino Vercellese.

 

Nel frattempo i dirigenti e i tecnici della Sogin, avvolti in una nuvola di laute prebende per consulenze, approfondimenti et similia fingono di cercare i siti con la lanterna di Diogene; anche se, come tutti sanno, per la severità e molteplicità dei parametri di sicurezza essi non possono che essere quelli da tempo individuati.

 

Nella temperie dell'attuale dibattito politico, alcuni commentatori osservano che per valutare l'azione dei governanti non occorre cadere in un neo-puritanesimo, perché tale valutazione riguarda l'efficacia degli interventi e non la moralità dei protagonisti. Dato e non supposto che l'attuale classe dirigente sia angelicata, sembra che alcuni grandi progetti si stiano rivelando illusori; ma è proprio lo stand-by che consente alle aziende e ad una moltitudine di intermediari di trarre lauti profitti, senza correre neppure i rischi della controprova della validità delle scelte effettuate.

Giovedì, 27. Gennaio 2011
 

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