Non disperdete il 'tesoretto'

I conti pubblici vanno molto meglio grazie all'aumento delle entrate, dovuto anche in parte alla Finanziaria di Tremonti (altro che "meno tasse per tutti"!...). Anche la crescita va meglio, a dimostrazione che la pressione fiscale poco c'entra. Le ipotesi su come utilizzare l'imprevisto "surplus"
Tra un paio di settimane al massimo il Tesoro dovrebbe presentare le prime stime sulla Trimestrale di cassa che, subito dopo, approderà in Parlamento. Stando alle attese, la speranza è che i conti pubblici vadano meglio del previsto. In ogni caso, meglio rispetto al Programma di Stabilità presentato alla fine dello scorso anno a Bruxelles. I conti però continuano ad oscillare. La previsione di una crescita economica del 2 per cento, anche per il 2007, fatta dall'Unione Europea potrebbe rivelarsi ottimistica. Ancora più ottimistica quella dell'OCSE che si attesta al 2,2 per cento. I dati Istat sulla produzione industriale di gennaio (più 1,3 per cento su gennaio del 2006, ma meno 1,4 rispetto al dicembre scorso) inducono infatti ad una qualche cautela. E' comunque evidente che la stima sulla prevedibile crescita economica diventa essenziale per calcolare il livello del deficit pubblico nel 2007.

Come si ricorderà, il governo si era impegnato con la Commissione europea a contenere il deficit 2007 al 2,8% del prodotto interno lordo. Tenuto conto delle tenenze in atto, le stime che possono essere formulate lasciano presagire un risultato nettamente migliore. Il deficit potrebbe infatti scendere al 2,3 per cento. Questo significa che se il governo decidesse di mantenere l'asticella del deficit al 2,8 ci sarebbe mezzo punto di Pil da distribuire. In cifra, tra 7 e 8 miliardi di Euro. E' però difficile che si arrivi a tanto. Intanto perché il possibile assestamento delle previsioni di crescita potrebbe consigliare stime più caute anche sul deficit. E poi perché, già nel 2006 (al netto delle sentenza sull'Iva per le auto aziendali e del riordino dell'indebitamento per la Tav) il deficit era sceso al 2,4 per cento. A questo punto è piuttosto probabile che la Commissione europea possa obiettare che mantenere fermo un 2,8 per cento nel 2007 costituisca un passo indietro inaccettabile. Tanto più considerato il livello elevatissimo del debito pubblico italiano.

Sicché appare plausibile l'ipotesi che possa essere stabilito un nuovo obiettivo di deficit intorno a quota 2,5 per cento. In questo caso, e se tutto andasse secondo i pronostici, da ridistribuire rimarrebbero non più di 3 - 4 miliardi di euro. E' questo verosimilmente il "surplus", il "tesoretto" che potrebbe servire per cercare di risolvere qualche problema. Ora, sulla base di quanto viene fatto filtrare delle discussioni tra i ministri, i progetti ai quali sta lavorando il governo sarebbero: meno Ici sulla prima casa per le famiglie più numerose; aumento degli sgravi fiscali sulle pensioni più basse; "assegno" da versare ai redditi bassissimi, esenti dall'Irpef i quanto "incapienti". Le proposte saranno comunque portate ai "tavoli di concertazione" con  le parti sociali previsti a partire dalla fine del mese di marzo. Allo stato delle cose è quindi impossibile fare previsioni attendibili sulle misure che, alla fine, verranno concretamente adottate. Tuttavia, sin d'ora è possibile formulare qualche considerazione sugli aspetti (politici ed economici) più rilevanti che da qualche mese accompagnano il dibattito sull'andamento dei conti pubblici.

La prima riguarda il quesito (prospettato alla fine dello scorso anno quando si è incominciato a capire che i dati sui conti del 2006 sarebbero stati nettamente migliori rispetto a quelli degli anni precedenti) se il merito di questo risultato fosse da attribuire alle misure adottate dal governo Prodi o a quelle del suo predecessore. Sul punto si è aperta una inutile disputa. La ragione del contendere ha riguardato il quesito se i risultati più positivi fossero da ascrivere al ruolo di Padoa Schioppa, oppure al tentativo,  attuato da Tremonti  in  limine litis, per cercare di raddrizzare a barca che stava affondando. Disputa inutile, perché è ragionevole ritenere che vi abbia concorso l'azione di entrambi. Caso mai l'aspetto più illuminante è la constatazione come la parte di merito attribuibile a Tremonti sia il risultato di una opzione opposta rispetto al programma della destra ("meno tasse per tutti"; primo impegno del Contratto con gli italiani). Ideologia che, per la verità, annovera non pochi  devoti anche in altri settori della vita politica.
 
In ogni caso qual che conta è che, con la Finanziaria 2006, Tremonti ha aumentato la pressione fiscale di un punto percentuale al di sopra del livello a cui l'aveva trovata cinque anni prima. Essa è infatti passata dal 41,3 al 42,3 per cento del Pil. Per di più con una distribuzione dei costi dell'aggiustamento che ha aggravato le disuguaglianze tra le diverse fasce di reddito. Resta comunque il fatto che sul piano macroeconomico, il contributo di Tremonti al miglioramento dei conti pubblici è avvenuto in radicale contraddizione con la vulgata della destra. Se perciò un merito gli va riconosciuto è soprattutto quello di avere dimostrato nei fatti che la reiterata propaganda, secondo la quale l'Italia soffrirebbe di una pressione fiscale troppo elevata, con la conseguenza di scoraggiare gli investimenti e la crescita economica, non è altro che una bufala colossale.
 
In effetti i dati del 2006 stanno lì a dimostrare che al prelievo fiscale più alto degli ultimi sei anni ha corrisposto il tasso più elevato di crescita economica dell'intero periodo. Naturalmente non si deve nemmeno cadere nell'ingenuità di credere nella sciocchezza contrapposta. Vale a dire che quanto più cresce la pressione fiscale tanto più aumenta il ritmo di crescita dell'economia. Ma la presa d'atto di quanto si è verificato nel 2006 dovrebbe quanto meno spingere tutte le persone di buon senso a diffidare dell'opinione cervellotica, che ha purtroppo fatto numerosi proseliti negli ultimi anni, secondo la quale esisterebbe un rapporto inversamente proporzionale tra livello delle tasse ed incremento del reddito. Così che alla diminuzione delle prime corrisponde un immancabile aumento del secondo.

Valutazioni analoghe vanno fatte a proposito della improvvida promessa elettorale, a cui il governo di centrosinistra ha dato diligentemente e rapidamente seguito, di una riduzione di 5 punti del "cuneo fiscale". Oltre tutto con una curiosa destinazione. Tre dei cinque punti sono stati infatti attribuiti alle imprese (escluse le concessionarie). Due punti sono invece teoricamente andati ai lavoratori. Teoricamente perché in realtà questi due punti sono stati dispersi tra urbi et orbi et universa pecora. Con il risultato che nessuno ha potuto accorgersi di un miglioramento del suo reddito disponibile.
 
Ma anche a prescindere dalle discutibili scelte redistributive, la "riduzione del cuneo fiscale" si è rivelata soprattutto una misura inutilmente costosa. In effetti, malgrado nelle intenzioni avrebbe dovuto servire ad un rilancio degli investimenti, non si può non riconoscere che la "riduzione del cuneo" ha portato "ristoro" più ai profitti che agli investimenti. In ogni caso, anche se solo tra qualche mese quando saranno disponibili tutti i dati relativi ai bilanci aziendali e potrà così essere fatta una valutazione più accurata e precisa, già fin d'ora si può dire che, mentre il costo della riduzione fiscale è stato assai consistente, gli effetti sugli investimenti sono stati trascurabili. Se questo non basasse la spesa già impegnata a favore delle aziende appare destinata a lievitare ulteriormente. Perché Bruxelles ci chiede di estendere il taglio fiscale anche alle imprese concessionarie. Con il risultato che i profitti record che esse hanno realizzato nel 2006 saranno incrementati di un altro miliardo di euro. Miliardo che, naturalmente, dovrà essere sottratto dal "surplus",  dal "tesoretto" che il governo vorrebbe impegnare nel 2007, nella speranza di riuscire a risolvere qualche problema.

Ultima considerazione. Sulla destinazione delle risorse che il miglioramento dei conti pubblici può rendere disponibili si stanno facendo diverse congetture. Il presidente del Consiglio, nel corso di una lunga intervista televisiva, ha prospettato tre ipotesi: "riduzione fiscale, aiuti alle famiglie, interventi sulle pensioni minime". Indipendentemente dalle scale di priorità che possono essere anche del tutto diverse, si dovrebbe convenire almeno su una cosa: quando risorse limitate vengono disperse in mille rivoli è pressoché certo che nessun problema potrà essere effettivamente risolto. Sarebbe quindi un importante passo avanti se la prevista concertazione con le parti sociali riuscisse a portare ad una intesa almeno su questa banale conclusione di metodo.
Mercoledì, 14. Marzo 2007
 

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